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Il diario da Venezia 79 (2022), episodio 2: “Xe peso el tacòn del buso”

02/09/2022 news di Giovanni Mottola

La vita da Festival procede, tra complottismo, Codici QR presto obbligatori per entrare in città e messaggi del solito Zelenskyy. Ma vi parliamo anche un po' dei film presenti dai.

venezia affollata turisti

Xe peso el tacòn del buso, per dirla alla maniera locale (ovvero ‘è peggio la toppa del buco’). Prima la politica ha provveduto a fare di Venezia un divertimentificio, incrementando in ogni modo il turismo mordi e fuggi e ignorando gli allarmi di residenti e studenti fuori sede. Ora ci si accorge che la città non può resistere a lungo a una tale barbarie e per mettervi una pezza si fa ricorso a un provvedimento liberticida.

La giunta Brugnaro ha infatti deliberato che a partire dal prossimo 16 gennaio a Venezia si potrà entrare soltanto se muniti di apposito Codice QR. Uniche categorie escluse da tale obbligo i residenti, i lavoratori, gli studenti e tutti coloro che risultano proprietari di una casa. Gli altri dovranno registrare online la propria volontà di accedere alla città, ottenendo cos’ il QR code e pagare un tributo variabile dai 3 ai 10 euro in base all’affollamento (Venezia va all’asta, insomma).

Esentati dal pagamento, ma non da questa trafila burocratica, gli ospiti degli hotel (in quanto versano già la tassa di soggiorno), i bambini al di sotto dei 6 anni, i disabili, i nati a Venezia, coloro che arrivano in città per visite mediche, funerali o attività sportiva, chi viene ospitato da amici veneziani. Anche i veneti, ma questi ultimi soltanto se non è già stata superata in quel giorno una certa soglia di ingressi, ancora da stabilire.

Le opposizioni sono insorte. Riportiamo qualche loro commento. Marco Gasparinetti (“Terra e acqua”): “Schedatura di massa di lavoratori, visitatori e ospiti. Non siamo disposti a lasciare un assegno in bianco sulle libertà fondamentali dei cittadini”. Giovanni Andrea Martini (“Tutta la città insieme”): “Saremo costretti a dichiarare chi sono i nostri amici. E’ inammissibile, folle”. Altri segnalano i prevedibili disagi degli anziani, costretti a scaricare i QR code per i loro eventuali ospiti.

venezia 2022 ZelenskyyA questo punto cominciano a rivelarsi parzialmente fondati i timori di quanti, durante la campagna vaccinale, con una punta di complottismo sostenevano che il vero obbiettivo non fosse proteggere il più ampio numero di persone possibile, ma piuttosto abituarle a un meccanismo di schedatura che da quel momento si sarebbe diffuso a macchia d’olio.

Un identico sistema viene infatti da quest’anno adottato alla Mostra del Cinema per gli ingressi nelle sale: non è più sufficiente il possesso di un accredito valido, e nemmeno l’avvenuta prenotazione. Deve essere mostrato alle maschere all’ingresso il biglietto di ogni singola proiezione, preventivamente stampato o scaricato su telefono, con evidente complicazione per tutti. D’altra parte Alberto Barbera ha dichiarato che immaginare di tornare a consentire un ingresso senza prenotazione sarebbe “antistorico”.

Non si capisce perché il titolare di un accredito, a ridosso dell’inizio di un film, non possa entrare in una sala mezza vuota per il solo fatto di non aver prenotato, dal momento che non sussistono più le ragioni sanitarie che richiedevano il tracciamento. Ma non è questo l’unico inasprimento dei controlli.

Da quest’anno infatti è obbligatorio mostrare l’accredito per accedere all’area della Mostra, la quale occupa anche parte della principale arteria del Lido, quella sul lungomare. Quindi un residente privo dell’accredito si trova costretto a non poter percorrere quelle strade, ma deve obbligatoriamente allungare fino a quella posta all’altro capo del Lido, sul lungo-laguna. Abbiamo però il dubbio d’inventarcele tutte queste cose, dal momento che siamo solo noi a scriverle mentre, sul resto della stampa, si legge di un ritorno alla libertà perché all’ingresso non viene più misurata la febbre …

Ora che abbiamo descritto il contorno possiamo entrare nel cuore della Mostra del Cinema numero 79.

Essa sembra stata connotata di angoscia e preoccupazione. Di commedie non vi è quasi traccia nel programma, nemmeno quello collaterale. I film sono tutti improntati all’impegno e a una certa pesantezza, in linea con un’attualità non serena sotto molti punti di vista. Ma il pubblico sembra non gradire appieno questa impostazione.

Alla serata inaugurale è intervenuto a sorpresa – ma non troppo, dato il precedente a Cannes – il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy con un messaggio di quattro minuti. Gli applausi per lui, soprattutto se confrontati con l’ovazione avvenuta poco prima per Catherine Deneuve, sono stati tiepidi, quasi freddi. Forse la gente preferisce tenere distinti i due piani, forse ha ripensato al suo servizio inopportuno su Vogue. Comunque sono stati invitati tre film ucraini e, con scelta assai infelice, nessun film russo.

In questo modo la Biennale Cinema si è posta nel solco di quella filosofia in base alla quale vengono cancellati i corsi su Fëdor Dostoevskij, vengono cacciati validi direttori d’orchestra come Valery Gergiev dalla Scala di Milano perché non si dichiarano apertamente nemici di Putin e, cosa più ignobile, vengono esclusi gli atleti disabili russi dalle Paralimpiadi. Non è questa la migliore professione del sentimento di pace, e nemmeno di cultura e libertà artistica.

barbera venezia 2022Un’altra situazione su cui la Biennale ha inteso mandare un segnale forte – questa volta in una maniera da noi condivisa – è quella del regista iraniano Jafar Panahi, in carcere per aver criticato in un film il regime di Teheran, del quale è stato selezionato il film “Kehrs Nist” (“No bears”).

Quanto al resto del programma spiccano, tra le altre cose, la nuova opera del fresco Leone alla Carriera Paul Schrader (“Master Gardener”), il film postumo di Kim Ki-Duk (“Call of God”), il lavoro controcorrente di Oliver Stone sul nucleare (“Nuclear”) e due opere di argomento sacro: “Padre Pio” di Abel Ferrara e “In Viaggio” di Gianfranco Rosi, documentario su Papa Francesco.

Nel Concorso principale vi è una netta preponderanza di tre paesi, USA, Francia e Italia con cinque film ciascuno. Per noi sono in gara Gianni Amelio (“Il signore delle formiche”), Andrea Pallaoro (“Monica”), Susanna Nicchiarelli (“Chiara”), Emanuele Crialese (“L’immensità”) e Luca Guadagnino con “Bones and all”, che come produzione è da considerarsi americano.

Una fin troppo ampia rappresentanza per una cinematografia che, secondo lo stesso Alberto Barbera, scarseggia in qualità. Per questo risulta clamorosa una dichiarazione del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al termine della serata inaugurale. “E’ paradossale che ad un momento così d’oro del cinema italiano corrisponda la crisi delle sale. La pandemia ha determinato un certo orientamento che noi lavoriamo a cambiare“.

Il Signor Ministro sembra arrivare da Marte. Oltre a una valutazione molto discutibile sul valore del nostro cinema, dalle sue parole sembrerebbe che questo “orientamento” sia stato determinato dagli alieni. La risposta più azzeccata a queste parole viene da altre sentite in questa stessa Mostra, che non volevano costituire una replica ad esse (anzi: sono state pronunciate prima …), ma sembrano proprio esserlo. Le ha pronunciate la madrina, Rocio Munoz Morales: “Mi permetto di dire che c’è stata una comunicazione sbagliata. In Spagna cinema e teatri sono sempre pieni, non si capisce perché in Italia sia passata l’idea che è pericoloso per la pandemia andare al cinema“.

Forse perché qualcuno l’ha fatta passare. A Franceschini saranno fischiate le orecchie?

Il Diario num. Zero, per chi se lo fosse perso (molto male!)

Il Diario num. Uno, per chi se lo fosse perso (molto male, bis!)

Di seguito una clip di Padre Pio: