Voto: 6/10 Titolo originale: 無限の住人 , uscita: 29-04-2017. Regista: Takashi Miike.
L’immortale – Blade of the Immortal: la recensione del film di Takashi Miike
19/10/2017 recensione film L'immortale di Alessandro Gamma
Il 100° film del regista giapponese è un adattamento live action del manga di Hiroaki Samura tanto affascinante nella ricostruzione visiva quanto anestetizzante nel reiterare le stesse dinamiche
Il prolifico regista giapponese Takashi Miike qualche anno fa era riuscito a spiazzare i suoi fan infilando nel suo curriculum due film drammatici sui samurai come 13 Assassini e Hara-Kiri: Death of a Samurai, sorprendentemente più misurati e ‘autoriali’ rispetto a opere che l’hanno reso celebre come Ichi The Killer o Audition. Ora, dopo essere passato dal Fantastic Fest, L’Immortale (Blade of the Immortal o Mugen no jūnin), 100° film di Miike e adattamento live action dell’omonimo manga di Hiroaki Samura (uscito in Italia come L’Immortale appunto) è passato pure da Sitges, lasciando però l’amaro in bocca.
Takuya Kimura interpreta Manji, un samurai tormentato dal sangue che ha sulle mani, che tuttavia non può trovare la pace nella morte a causa di una stregoneria che guarisce ogni sua ferita e mantiene il suo cuore pulsante. Vive isolato dal mondo e si è lasciato le battaglie alle spalle.
Questo almeno fino a quando una ragazza di nome Rina (Hana Sugisaki) si presenta alla sua porta con una storia straziante e una grande sete di vendetta. Rina supplica Manji di aiutarla a uccidere la banda che ha assassinato i suoi genitori. Spronato dai rimpianti del suo passato, il samurai eterno decide quindi di impugnare la sua katana e utilizzarla per ammucchiare pile di cadaveri e far scorrere fiumi di sangue.
Per il pubblico occidentale – o comunque per quello poco avvezzo al materiale odi partenza -, il film potrebbe essere riassunto come un incrocio tra Logan e Il Grinta. E proprio come Wolverine e Rooster Cogburn, Manji è un tipo burbero, che inizialmente rifiuta di farsi coinvolgere nel piano dell’indifesa ma determinata giovane, che gli offre una possibilità di riscatto e forse addirittura l’agognata morte.
Il volto e il corpo segnati da profonde cicatrici, la testa pesante e disillusa, Kimura appare immediatamente come una figura tragica subito riconoscibile e con la quale empatizzare malgrado le sue urla e gli sguardi torvi. A portar luce e speranza nella sua oscurità e disperazione è la Sugisaki, una visione di giovinezza che possiede una forza più dolorosa e ferma dei piccoli pugnali che Rina prova a utilizzare per difendersi.
Forse però, proprio perché questa strana coppia è un archetipo assai familiare, il fiato di L’Immortale si fa presto molto corto. Le pulsioni emotive sono prevedibili e ripetitive, con Rina che agisce impulsivamente, costringendo Manji a correre in suo aiuto. Al di là di questo, questa soluzione non sortisce altro effetto se non di farci prendere quam primum le distanze dal personaggio della ragazza, che non attraversa alcuna evoluzione, gettandosi sempre a capofitto nella mischia, senza però dimostrare la minima crescita personale, nè come guerriera nè intimamente. Invece, strilla per Manji, grida per la sua vendetta, alza i toni contro i nemici. In risposta, lo spettatore vuole solo abbassare il volume.
Con una relazione centrale tanto stagnante, si guarda pertanto ai personaggi di supporto per cercare eccitazione, specie per il cattivo principale, Anotsu Kagehisa (Sôta Fukushi). Miike ricrea con dedizione i costumi, le armi e le acconciature distintive del manga, soffiando vita in ogni presentazione con riprese sognanti e monologhi avvolgenti, che si incuneano imprevedibilmente all’interno di scontri violentissimi. I 50 anni passati da solo hanno apparentemente arrugginito un po’ la mano di Manji.
Il guerriero che nella sequenza di apertura – girata in conturbante bianco e nero – fa strage di un’orda armata fino ai denti, viene ora seriamente sfregiato in ogni scontro, e spesso lasciato stordito o bloccato abbastanza a lungo perché l’avversario di turno abbia il tempo per declamare una storia strappalacrime. Non c’è alcuna eleganza però in questo. L’azione si blocca per una funesta backstory, poi i personaggi escono di scena all’improvviso, chiaro segnale che naturalmente li rivedremo più avanti, secondo modalità assolutamente artificiose.
Un intreccio semplice che viene reso inutilmente elaborato da questa decisione è letale per il ritmo, dilatando all’infinito il film. Per provare a rinvigorire l’entusiasmo, è necessario quindi ignorare tale aspetto e lasciarsi cullare dal delirio visivo delle lunghe scene di combattimento ordite da Miike, che non sono certo poche.
Il loro montaggio è tuttavia erratico, scavalcando la linea dell’azione, confondendo smembramenti e colpi di vitale importanza. E con due ore e venti minuti di durata, Miike non sembra essere consapevole di quando sia il momento di darci un taglio. Al contrario, i duelli si trascinano ancora e ancora, anestetizzanti.
Il sangue viene versato a fiumi e i corpi si accumulano a decine, ma mentre Manji affetta chiunque gli si pari davanti uno dopo l’altro, l’esaltazione iniziale lascia il posto alla grossolana routine. Ogni colpo che penetra nel petto, ogni grugnito di dolore, ogni nuova guarigione di una ferita, è meno efficiente dei precedenti. E poi arrivano altri guerrieri ululanti e sbruffoni che chiaramente vengono abbattuti rapidamente come manichini. Ancora una volta Rini cerca di aiutare, ma sempre in modo sconsiderato, e così inevitabilmente fallisce di nuovo. E ancora una volta verrà salvata. Ancora una mugugnerà il soccorso della sua guardia del corpo a pagamento mentre lui è intento a scatenare geyser di sangue e sembrare stanco di questo mondo.
Alla fine non ci si può non chiedere come mai Takashi Miike non abbia dedicato la stessa attenzione riservata ai costumi anche ai risvolti della trama. Forse è per questo motivo che il film sembra un adattamento tanto dedicato quanto impreciso. Se da un lato è infatti impreziosito da scene d’azione in cui i costumi colorati e i movimenti sinuosi giocano un ruolo primario, Blade of the Immortal è però dall’altro tronfio e indulgente.
Magari la sua eccessivamente generosa attenzione per i monologhi, per i salvataggi e per gli scontri armati sarà apprezzata dagli appassionati del materiale primigenio, o anche da coloro che non ne hanno mai abbastanza di samurai e del regista giapponese. Tutti gli altri, quasi sicuramente passeranno da uno stato di curiosità alla noia, sentendosi soffocati e ansiosi di fuggire lontano dall’immortale Manji.
Di seguito il trailer integrale e senza censure (sottotitolato) di L’Immortale:
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