Voto: 7/10 Titolo originale: Logan , uscita: 28-02-2017. Budget: $97,000,000. Regista: James Mangold.
Logan – The Wolverine: la recensione del film diretto da James Mangold
18/02/2017 recensione film Logan - The Wolverine di Alessandro Gamma
Il cinema dei supereroi dice addio a uno dei suoi personaggi più iconici in un western che incastonerà per sempre Hugh Jackman nella storia del genere
L’anno è il 2029 e il mutante precedentemente noto come Wolverine non è così invincibile come un tempo. Dopo aver vissuto per quasi 200 anni, sta finalmente iniziando a mostrare i segni della sua età. E’ ossessionato da qualcosa del suo passato (dovete aver visto i film precedenti per scoprire cosa, o andarli a ri-visionare per ricordarlo) e fa molto male a qualcuno nei suoi incubi. Sta marcendo dall’interno, ha bisogno di occhiali per leggere e i suoi poteri di guarigione non riescono a tenere il passo con le ferite.
Ha salvato il mondo qualcosa come otto volte, ma è ormai un autista Uber di Las Vegas che si preoccupa più della limousine che per la propria vita. Potrà anche essere l’unico uomo sulla Terra che non può ubriacarsi fino alla morte, ma certamente questo non gli ha impedito di provarci. E’ praticamente una canzone di Johnny Cash con gli artigli di adamantio. Logan era invincibile una volta, ma ora è dannatamente umano.
Se il misero, violentissimo Logan – The Wolverine di James Mangold si risolve in un addio così adeguato al personaggio – o almeno al suo inimitabile ritratto garantito dal totalmente immedesimato Hugh Jackman – è perché il film è umano, troppo.
Meglio come Western agitato che come atto finale di una saga di supereroi al capolinea (o come svogliato inseguimento on the road attraverso gli Stati Uniti), il rabbioso ultimo saluto dell’X-Man è un passo indietro verso qualcosa di più intimista rispetto ai precedenti blockbuster di larga scala che sa comunque come garantire emozioni forti. Solo occasionalmente più espansivo del Deadpool dello scorso anno (e altrettanto ansioso di sbandierare il suo V.M. 18), Logan scortica l’omonimo protagonista fino allo scheletro di metallo, sbrindellando gli strati della preziosa costruzione di mondi immaginifici e la finta CGI che hanno reso molte delle precedenti avventure sul grande schermo poco più di spot pubblicitari per giocattoli emotivamente castrati.
Non ci sono aeronavi futuristiche, nessun laser che spara verso il cielo, nessuna trama agonizzante e senza senso che coinvolge viaggi nel tempo. In realtà, ci sono pochissimi trucchetti soprannaturali, in quanto il film è più o meno un “Villaggio dei (bambini) mutanti”.
Ambientato 25 anni dopo la nascita dell’ultimo ‘dotato’, Mangold reintroduce Logan in un futuro prossimo tristemente credibile in cui tutto sembra uguale al presente odierno, solo più arido e più deprimente. I mutanti sono storia in tutti i sensi – potete trovarli nei libri di scuola e nelle graphic novel (un fumetto degli X-Men fornisce anche un punto cruciale per la trama), e i membri sopravvissuti sono più introvabili di un posto a sedere sulla metro all’ora di punta.
Logan, che sventra con noncuranza alcuni aspiranti ladri durante i titoli di testa, non è mai stato un tipo felice, ma ora è semplicemente un miserabile – l’unica volta che sorride nella prima metà della pellicola è quando una futura sposa ubriaca durante un addio al nubilato si cala il corsetto dal sedile posteriore della sua limousine (X-Men, vi presentiamo la nudità. La nudità, questi sono gli X-Men). Vuole solo raccogliere abbastanza soldi per vivere il resto dei suoi giorni su una barca in mezzo al mare, e vuole portare la sua vecchia figura paterna, il professor Charles Xavier (Patrick Stewart, naturalmente) con sé.
Ma Charles non è esattamente concorde con questo piano; l’uomo, sotto farmaci e blaterante filastrocche dall’interno di una torre per l’acqua crollata lungo il confine messicano, è vicino alla demenza senile e perde spesso il controllo dei suoi poteri. La sua mente è stata classificata come arma di distruzione di massa, e sta essenzialmente disperdendo uranio nel mondo.
Come se questo non fosse abbastanza da gestire, il nostro eroe scopre presto di dover prendersi cura di un’altra mutante. Il suo nome è Laura (Dafne Keen), lei è solo una bambina, ma ha più di un paio di cose in comune con Wolverine. Un momento Logan pensa che potrebbe essere l’ultimo della sua specie, il successivo ha il compito di guidare Laura fino a un rifugio sicuro in Canada ed è costretto a diventare una sorta di genitore adottivo per la sua muta Mini-Me. Inutile dire che non sarà un viaggio facile. Non soltanto il Professor X di tanto in tanto soffre di intensi episodi psichici che minacciano la vita di chiunque nei paraggi, ma Laura è inseguita da un cowboy cyborg di nome Donald (Boyd Holbrook), tanto blando quanto ostinato.
Sì, questo è un altro film di supereroi che soffre di un cattivo privo di alcun valore, ma qui il punto è che Logan in ultima analisi sta combattendo contro sé stesso, e Mangold non lo dimentica mai (al contrario, a volte prende questa idea di gran lunga troppo alla lettera). Storia tirata un po’ per le lunghe di redenzione, in cui la destinazione è molto più interessante e importante del viaggio, Logan ha molto più chiaro dove sta andando del come arrivarci.
Il protagonista ha sempre rappresentato una sfida drammatica unica – gli scienziati sono riusciti a entrare sotto la sua pelle, ma gli sceneggiatori devono ancora decifrare quanto Wolverine possa cambiare in maniera significativa quando le sue ferite riescono a guarire velocemente quanto sanguinano – e ora che il suo corpo non riesce più a rimarginarsi allo stesso ritmo, lui è praticamente solo una massa burbera di tessuto cicatriziale.
“Abbiamo sempre pensato che fossimo parte del piano di Dio“, ringhia. “Forse siamo stati errori di Dio“. Mangold ha creato una storia che permette al suo protagonista brizzolato di spostarsi da un capo all’altro di quel pensiero e viceversa, ma poco di quel percorso caparbio è lastricato dello stesso obiettivo per cui Logan lo sta compiendo.
Laura è una new entry divertente (il non parlare le impedisce di diventare presto fastidiosa, ed essendo messicana consente al suo personaggio di accedere più direttamente a tematiche più ampie come la disumanizzazione sistemica), ma l’ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è l’ennesima versione di un uomo vecchio e brontolone che forgia un legame improbabile con una ragazzina.
E quel legame, per quanto dolce possa essere, è troppo poco approfondito per via delle varie deviazioni della trama e delle frammentarie sequenze d’azione. Laura insegna inevitabilmente a Logan come amare di nuovo, questo solo perché il motto “terribili cose accadono a quelli a cui tengo” non significa che non dovrebbe preoccuparsi delle persone, ma non c’è abbastanza carne al fuoco nel mezzo della loro avventura per colmare il divario tra le sequenze che pongono le basi nel suo primo atto e il risultato emotivo del terzo.
Perchè è davvero un finale emotivo. Wolverine – L’immortale del 2013 ha dimostrato – nei suoi primi e migliori momenti – che Mangold è in grado di arrivare a toccare i giusti tasti della rabbia ferina del mutante. Trapiantando il supereroe in Giappone senza perdere nulla nella traduzione, il regista ha utilizzato un genere per chiarire il ruolo di Logan in un altro, ri-concepirlo come un ronin errante asservito al piacere dei suoi demoni interiori.
Qui, il regista ripete la magia con uguale successo, scaraventando l’iconico nomade di Jackman nel bel mezzo di un western dal taglio rude e dandogli la possibilità di cavalcare verso il tramonto. Logan avrà un finale trionfale come Il cavaliere della valle solitaria? Oppure si accascerà sulla sella, mentre scompare all’orizzonte, come Il cavaliere della valle solitaria?
Logan non è sempre un film totalmente soddisfacente, ma ci sono risposte molto soddisfacenti a quelle domande che aspettano gli spettatori alla fine di esso. Soddisfacenti non solo perché Mangold risolve alcune questioni con immagini brillantemente espressivi, o perché dona a questa storia un velo di onestà che dà un taglio alle cavolate e che sfida le sue origini e giustifica l’estrema violenza spettacolare e il vocabolario colorito, ma perché dimostra quanto iconico Jackman abbia reso questo personaggio nel corso degli ultimi 17 anni.
Wolverine era famoso prima che l’attore lo impersonasse, e i dettami di Hollywood insistono sul fatto che un altro attore alla fine troverà prima o poi la sua strada verso il ruolo, ma sta dicendo che lui è uno dei pochi grandi X-Men mai interpretato da altre star più giovani lungo il percorso. La performance offerta da Jackman è riuscita a colpire più in profondità dello spandex indossato – non è stato un veicolo per questo personaggio, il personaggio è stato un veicolo per lui.
E nei momenti di chiusura di questo film, ci rendiamo conto che ci ha lasciato con uno dei pochi supereroi del grande schermo in grado di trasmettere davvero il potenziale di queste storie e il perché le persone sono attratte da loro come falene alla fiamma, non importa quante volte ci si è scottati. Mentre la maggior parte dei personaggi prendono in prestito dal mito, il Wolverine di Jackman è diventato abbastanza umano da modellarsi il proprio.
Mentre la maggior parte di questi personaggi sono plasmati dalle annotazioni di un grosso studio hollywoodiano e annacquati dal fan service, l’incarnazione ringhiosa di Jackman della stella delle copertine dei fumetti è stata costruita per sopravvivere al sequel di Brett Ratner, guarire dai cammei di Will.i.am ed elevare una solida azione da sala cinematografica fino al firmamento della cultura pop. E’ stato grande anche quando i film si sono fatti piccoli, e ancora più grande quando non lo sono stati. “Non essere quello che ti hanno reso,” dice Logan a Laura. Questa potrebbe essere una riga di dialogo vuota, ma quando è Jackman a pronunciarla, significa qualcosa. Forse persino tutto.
Di seguito il trailer ufficiale italiano di Logan – The Wolverine, nei cinema italiani dall’1 marzo:
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