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Voto: 5/10 Titolo originale: L'uomo del labirinto , uscita: 30-10-2019. Budget: $4,000,000. Regista: Donato Carrisi.

L’uomo del labirinto: la recensione del film di Donato Carrisi con Hoffman e Servillo

02/11/2019 recensione film di Giovanni Mottola

Al suo secondo film da regista, lo scrittore sbaglia tutto: sceneggiatura incomprensibile, direzione priva di amalgama, atmosfere inesistenti. L'unico vero dedalo è la sala: lo spettatore trovi l'uscita il prima possibile.

l'uomo del labirinto film servillo

Secondo il beffardo Alberto Arbasino, arriva prima o poi per lo scrittore italiano – ma il concetto è applicabile a ogni categoria di artista o di intellettuale – il momento in cui nella considerazione collettiva si passa dalla fase di “brillante promessa” a quella di “solito stronzo” (per approdare infine, se l’età lo consentirà, a quella di “venerato maestro”). Uno sberleffo geniale non solo verso gli scrittori o chi per essi, ma anche e soprattutto verso chi, commentandone il lavoro, lo banalizza con retoriche etichette.

Adeguandoci al gioco e nel rispetto dello spirito scherzoso di Arbasino, dopo aver visto il secondo film di Donato Carrisi, L’uomo del labirinto, dovremmo concludere che egli come regista sta bruciando le tappe. In questo lavoro, tratto come il precedente La ragazza nella nebbia da un suo romanzo (la sua professione principale è quella di scrittore), non si scorge infatti più alcuno dei pregi che ne connotarono l’esordio cinematografico. È vero che i debutti vengono genericamente guardati con indulgenza, perché si è privi di aspettative e dunque pronti a imputare all’inesperienza anche i più gravi difetti per valorizzare ogni piccolo pregio, mentre le opere seconde s’infrangono contro platee ansiose di conferme e perciò implacabili di fronte alle minime mancanze.

l'uomo del labirinto film posterNel caso di Donato Carrisi, queste aspettative non erano però legate a un impatto emotivo, ma del tutto giustificate, dal momento che con La ragazza nella nebbia aveva ottenuto un David di Donatello come Miglior regista esordiente e un incasso di circa 4 milioni di euro al botteghino.

Con L’uomo del labirinto, invece, egli dimostra che l’esperienza acquisita non soltanto non gli ha portato in dote i pregi del bravo regista, ma anzi ha maturato in lui i difetti di quello mediocre: quella ingenua e un po’ raffazzonata voglia di stupire lo spettatore che caratterizzava in negativo il finale del suo primo film, pare ora diventata un brutto marchio di fabbrica studiato a tavolino e ottenuto con i più banali manierismi del mestiere, cioè inquadrature forzate, ambientazioni costruite al computer, attori costretti a una recitazione sopra le righe.

In primo luogo al film manca dunque l’anima necessaria a farne un buon giallo, anche a volerlo declinare sui toni del thriller o dell’horror. Ma quel che è peggio è che Donato Carrisi mostra un’involuzione anche sul terreno che dovrebbe essergli più congeniale, quello della scrittura. Egli ha dichiarato spesso d’inventare le sue storie partendo dal finale e costruendole a ritroso.

Non sappiamo se questa tecnica abbia una buona resa sulla pagina (perché non abbiamo letto i suoi libri), ma è evidente che al cinema il sistema crei dei problemi, zavorrando l’intero L’uomo del labirinto con scene che solo al finale risulteranno (forse) pienamente comprensibili. Ne La ragazza nella nebbia ciò era sopportabile perché il cuore del film non era la trama, quanto piuttosto le atmosfere simenoniane di una provincia insanguinata e la denuncia contro lo sciacallaggio mediatico-giudiziario.

In questo caso, al di là di qualche banale riferimento al fatto che anche in alcuni ambienti religiosi possano trovarsi dei mostri, il mistero e quindi la trama diventa l’unico elemento per dare un senso al film. Invece per almeno quaranta minuti non si capisce quasi nulla, perché esso procede su due binari che restano distinti e minano l’amalgama che dovrebbe avere l’opera.

Da un lato c’è una stanza asettica, forse di ospedale, con un letto dove è attaccata a una flebo Samantha (Valentina Bellè), appena ricomparsa dopo quindici anni di sequestro e incapace di ricordare alcunché. Con lei, per aiutarla a ritrovare la memoria, una figura a metà tra il medico e il poliziotto, incarnata da un invecchiato Dustin Hoffman. Dall’altro lato c’è Bruno Genko (Toni Servillo), detective privato di mezza tacca e prossimo a morire di cuore, solitamente dedito a incarichi di recupero crediti, che però a suo tempo era stato incaricato d’indagare sulla scomparsa di Samantha ed è tuttora sulle tracce del mostro.

L'uomo del labirinto carrisi filmL’uomo del labirinto alterna questi due scenari senza mai farli confluire uno nell’altro, aumentando così le perplessità dello spettatore ancora sveglio. Chi ha ingaggiato Bruno? Perché continua a indagare se la ragazza è stata ritrovata? Perché non va a trovarla? Non si sa, come non si capisce se le due vicende si svolgano su piani temporali diversi.

Quando lentamente la matassa comincia a dipanarsi, tra ripetuti e inutili colpi di scena e un numero eccessivo di personaggi, l’interesse del pubblico è ormai venuto meno. Anche per colpa di banalità a pioggia, come per esempio il fatto di far camuffare il mostro con una testa da coniglio e chiamare Alice una delle sue vittime. Gli aspetti avvicinabili all’horror sono del tutto scolastici, quelli noir sono penalizzati dalla mancanza di ambientazione, il mistero è troppo fitto per coinvolgere.

In questo guazzabuglio annaspa vistosamente Toni Servillo nella parte di un detective stropicciato, troppo ridicolo per assomigliare al Philip Marlowe di Raymond Chandler, ma al tempo stesso troppo poco ironico (salvo il fatto che giri in sandali da frate) per essere avvicinato al Lazzaro Santandrea del compianto Andrea G. Pinketts.

Privo del suo mentore Paolo Sorrentino, l’attore non azzecca un film. Forse è ormai prigioniero del particolarissimo immaginario del regista premio Oscar e dei suoi personaggi, che lo rendono inadatto a incarnare qualunque altro genere di personaggio. È troppo “ingombrante” per non fare il protagonista, ma al tempo stesso, da napoletano atipico, gli manca quella naturale empatia che da sempre connota i grandi protagonisti del cinema italiano.

L’unica cosa da salvare de L’uomo del labirinto è, come prevedibile, l’interpretazione di Dustin Hoffman. Il quale, pur apparendo comprensibilmente un po’ svogliato, grazie alla sua classe e alla sua esperienza è l’unico a mantenersi su toni sussurrati, smarcandosi da quelli esageratamente sopra le righe di tutti gli altri, forse adottati sulla base di errate indicazioni di regia. Il vero mistero, che nemmeno con un arzigogolo di Donato Carrisi si potrebbe risolvere, è dunque cosa lo abbia spinto a partecipare a un film tanto scombinato.

Di seguito il trailer internazionale di L’uomo del labirinto, nei cinema italiani dal 30 ottobre: