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Voto: 8/10 Titolo originale: 살인의 추억 , uscita: 02-05-2003. Budget: $2,800,000. Regista: Bong Joon-ho.

Memorie di un Assassino (2003): la recensione del film crime di Bong Joon-ho

14/02/2020 recensione film di William Maga

A inizio millennio, il regista coreano gettava Song Kang-ho in mezzo alle difficili indagini su alcuni terribili delitti, ispirati a un serial killer realmente esistito, stravolgendo le convenzioni del thriller procedurale

memorie di un assassino film Kang-ho Song

Arrivato solo ora nelle sale italiane dopo una ‘latitanza’ di 17 anni e sull’onda dell’entusiasmo per Parasite (la recensione), il thriller Memorie di un Assassino (Memories of Murder / Salinui chueok) ha rappresentato nel 2003 il vero biglietto da visita del regista sudcoreano Bong Joon-ho per il mondo del cinema. Ha preceduto The Host, creature feature del 2006 che ha attirato l’attenzione internazionale e i suoi due film più noti all’estero fino a qualche mese fa, ovvero Snowpiercer e Okja (la recensione).

Basato almeno parzialmente sulle gesta di un vero serial killer, si adagia nel solco del poliziesco procedurale che ha contagiato pesantemente gli anni 2000. Somiglianze superficiali con i programmi TV statunitensi come Law & Order e C.S.I. a parte, Memorie di un Assassino si distingue per le sue qualità uniche: detective imperfetti, indagini condotte senza il beneficio delle ultime tecnologie e la mancanza di una risoluzione.

Il caso, denominato ‘gli omicidi seriali di Hwaseong‘, all’epoca era ancora ampiamente aperto (solo nel 2019 è arrivata la confessione del principale indiziato, Lee Choon-jae) e Bong Joon-ho scelse – giustamente – di non discostarsi dalla realtà per il finale. Se qualcuno potrebbe storcere il naso per alcune della stranezze del film, compresi i cambi di tono e i protagonisti non certo immacolati, la conclusione (o la mancanza di essa) è l’aspetto potenzialmente più problematico. Ironia della sorte, tuttavia, aiuta Memorie di un Assassino a distinguersi dalla media del genere.

memorie di un assassino film poster bongIl film si apre nel 1986, con la scoperta di un cadavere in un campo. La giovane vittima è stata violentata e assassinata e non è l’unica. I due detective locali assegnati al caso, Park Doo-man (Song Kang-ho) e il suo partner volubile, irascibile, Cho Young-koo (Kim Roi-ha), sono presto sopraffatti dalla gravità dei crimini e incerti su come procedere. Gli esami di laboratorio sono da escludere, così la coppia si fa strada usando l’istinto e metodi inaffidabili. Quando non arriva una confessione, non esitano a ricorrere alla violenza e alla tortura.

Un ragazzo sfregiato e handicappato si ritrova in cima alla loro probabile lista di assassini (ammette di aver avuto una cotta per una delle ragazze morte) ma, quando si dichiara innocente, i due iniziano una campagna di terrore nei suoi confronti (incluso fargli scavare la sua stessa tomba) per spaventarlo e portarlo all’ammissione di colpa. Non importa se lo ha fatto o meno – semplicemente in quel modo il caso sarebbe finalmente “risolto”.

Come è stato dimostrato, quando vengono commessi crimini orribili, la necessità di incolpare qualcuno (chiunque) diventa una preoccupazione prioritaria. Bong Joon-ho usa la mancanza di una risoluzione per gli omicidi seriali di Hwaseong come un’opportunità per esplorare questa ossessione psicologica. Ogni mossa fatta dai detective viene seguita dai media e le notizie dei telegiornali sono a getto continuo.

Entra allora in scena Seo Tae-yoon (Kim Sang-kyung), un giovane e ambizioso detective di Seoul prestato alle forze dell’ordine locali. Porta con se una nuova prospettiva basata sulla logica delle indagini e, sebbene inizialmente visto con un misto di disprezzo e scetticismo da parte di Park, il suo approccio di Seo porta a qualche novità.

Tuttavia, col conteggio dei corpi che sale e la polizia che impara a prevedere quando si verificherà un altro omicidio, il gruppo di sospetti non si restringe e la frustrazione aumenta. Mentre il caso si trascina stancamente, Seo diventa sempre più imprevedibile, mentre Park impara il valore dell’introspezione. Sebbene i due non si scambino completamente le personalità, ognuno viene cambiato in modi differenti dalla catena di omicidi. E le loro trasformazioni sono la polpa di Memorie di un Assassino.

Il tono del film, così come le personalità dei suoi protagonisti, muta. All’inizio, il borbottio dei detective si presenta con sfumature di dark humor. La loro inettitudine, specialmente se vista attraverso gli occhi di Seo, l’estraneo, è oltraggiosa e zotica. A poco a poco, tuttavia, Bong Joon-ho dirige la sua opera verso acque più oscure e più tragiche. Alla fine, non tutte le vittime sono senza volto e c’è almeno una scena (mostrata dalla prospettiva dell’assassino mentre sceglie quale delle due donne attaccare) in cui la tensione sale ai livelli di un thriller puro. L’acume alla regia del filmmaker coreano è evidente nel modo morbido e infallibile con cui conduce la narrazione attraverso i cambiamenti di tono.

La maggior parte dei procedurali esiste per illustrare le meraviglie della moderna tecnologia per la risoluzione dei crimini. Che si tratti di impronte digitali, analisi del sangue, esami della lampada a luce nera o del DNA, i metodi disponibili per gli investigatori sono in continua evoluzione. In Memorie di un Assassino, tuttavia, ci viene aperta una finestra su un mondo dove queste tecniche non sono disponibili o non vengono utilizzate. C’è un senso di frustrazione per il fatto che il killer non venga mai catturato perché, se fossero state seguite procedure migliori, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente. Gli spettatori lo capiscono fin dall’inizio. Solo molto in là nella narrazione, invece, i personaggi diventano consapevoli delle opportunità mancate.

memorie di un assassino bong filmUn aspetto di Memorie di un Assassino che potrebbe andare perduto per il pubblico internazionale è lo sfondo politico molto specifico su cui si svolgono gli eventi. Immagini di disordini civili vengono mostrate quotidianamente in televisione (sono legate alla rivolta democratica del giugno 1986, in cui le proteste portarono a nuove elezioni e riforme democratiche).

Esercitazioni della protezione civile, in cui le luci vengono spente e tutti corrono in cerca di riparo, venivano praticate regolarmente in caso di un attacco militare da parte della Corea del Nord. Bong Joon-ho usa proprio un’esercitazione come sfondo per un omicidio: quando le luci vengono spente, l’assassino colpisce e non c’è nessuno in giro che possa salvare la vittima.

Nei panni di Park, Song Kang-ho offre una straordinaria performance multistratificata. Le nostre impressioni iniziali sul personaggio non sono buone – sembra essere pigro e un po’ stupido. A poco a poco, tuttavia, iniziamo a capirlo. Park diventa un individuo completamente sviluppato e imperfetto e le sue azioni alla fine di Memorie di un Assassino – così diverse da quelle che ci saremmo aspettati in principio – sembrano adeguate considerato il suo arco di crescita. Non a caso l’epilogo si concentra su di lui e, sebbene non vengano risolti i crimini, offre un ironico senso di chiusura.

Tra i film più importanti di Bong Joon-ho, Memorie di un Assassino è stato il meno visto al di fuori della Corea del Sud. E, sebbene non realizzato con le risorse di Snowpiercer o Okja, mostra già abbondantemente i semi che sarebbero germogliati con l’età e l’esperienza. Paradossalmente, pur non offrendo una risoluzione convenzionalmente piacevole e appagante, è per molti versi più soddisfacente a causa della complessità dei suoi personaggi e della credibilità di come vanno le cose. Scostandosi da formule familiari all’interno di un genere spesso prevedibile, il film si afferma come degno dell’investimento di tempo necessario (127 minuti) per sperimentare ciò che ha da offrire.

Di seguito trovate il trailer italiano di Memorie di un Assassino, nei nostri cinema dal 13 febbraio: