Voto: 8/10 Titolo originale: 어쩔수가없다 , uscita: 24-09-2025. Regista: Park Chan-wook.
No Other Choice: la recensione del film di Park Chan-wook (Venezia 82)
31/08/2025 recensione film No Other Choice - Non c'è altra scelta di William Maga
Il regista sudcoreano torna sulle scene con una commedia nera che unisce satira sociale e riflessione sul lavoro, la casa e l’identità

Di No Other Choice colpisce subito la doppia natura: commedia nera lucidissima e, allo stesso tempo, radiografia morale di un paese che affida all’impiego la misura dell’identità. Park Chan-wook ambienta il suo racconto nella zona grigia dove il lavoro non è solo reddito, ma religione privata.
Man-su (Lee Byung-hun) è un dirigente del settore della carta che perde il posto dopo venticinque anni; invece di reinventarsi, decide di “razionalizzare” il mercato eliminando i pochi rivali che potrebbero impedirgli di ottenere l’unico incarico per cui si sente ancora adatto. L’assunto è feroce, ma mai compiaciuto: Park usa il riso per allargare la ferita, non per rimarginarla.
Un film ricco, la cui forza – o il suo limite, per chi non ne accetta il rischio – sta nell’oscillazione controllata tra farsa e tragedia.
In Park, la forma è sempre argomento. La fotografia di Kim Woo-hyung incide gli spazi con rigore architettonico: vetri, corridoi, rampe, specchi stradali convessi che trasformano ogni inquadratura in un dispositivo di sorveglianza. La macchina da presa orchestra raccordi maliziosi, scarti, ingrandimenti improvvisi; ogni dettaglio seminato in anticipo diventa, più avanti, ingranaggio comico o trappola morale.
La musica classica, scelta con intenzione ironica, avvolge l’incipit domestico in un velo di armonia che sappiamo già falsamente rassicurante. È cinema di regia, ma non esibizione sterile: la precisione visiva è la controfigura dell’ossessione di Man-su per il controllo, destinata a sbriciolarsi quando il mondo – banca, padroni stranieri, colloqui umilianti – risponde con un accecamento di riflessi e burocrazie.
La casa è il vero centro simbolico. Non l’oggetto da conquistare, ma il luogo da difendere: l’abitazione d’infanzia ricomprata, il giardino dove i petali cadono come benedizione, la serra illuminata in cui il protagonista coltiva bonsai e autoinganni. “Ho tutto” dice all’inizio: la frase non annuncia solo la caduta, ma definisce la malattia. Quel “tutto” non riguarda gli affetti, bensì l’immagine di sé che il possesso garantisce.
Quando arrivano il licenziamento, i conti in rosso, la necessità di tagliare spese e orgoglio, la casa smette di essere rifugio e diventa altare: si sacrifica tutto pur di non perderla. Anche in questo No Other Choice dialoga con altri grandi film coreani sulla disuguaglianza, ma lo fa da un’angolazione diversa: non racconta la scalata o l’invasione, bensì l’ostinazione a non scendere di un gradino.
Sul piano tematico il film è una parabola sulla fede nel mestiere come unica definizione possibile dell’io. Man-su non è spinto da ambizione smisurata, ma da una paura piccola, quotidiana, riconoscibile: non diventare “nessuno”. Park ricama intorno a questa vertigine una galleria di episodi che alternano umiliazione e grottesco: un colloquio devastato da un raggio di sole, telefonate fuori tempo che sabotano un delitto, pedinamenti che scivolano letteralmente nel fango, fraintendimenti sonori che coprono la violenza.
La comicità non annulla la colpa, la rende più imbarazzante e, quindi, più umana. Per alcuni spettatori questi sbalzi alleggeriscono troppo la posta in gioco, per altri sono la chiave: rappresentano l’instabilità emotiva di chi è stato espulso dalla comunità produttiva e prova a rientrarvi con gli strumenti sbagliati.
No Other Choice potrebbe essere allora la commedia più “umana” di Park Chan-wook: pur disseminando cadaveri, il film difende la pietà per chi sbaglia in nome della dignità perduta, non giustifica, ma capisce. D’altro canto, si potrebbe sottolineare la presenza di un centro narrativo che, a metà percorso, vacilla, come se la ricerca di gag visive sacrificasse a tratti la tensione. Ma anche questo scarto può essere interpretato come riflesso della condizione raccontata: la vita di Man-su è una sequenza di slittamenti, inciampi, esitazioni; la messa in scena aderisce a quel ritmo rotto per mettere lo spettatore nella stessa condizione di instabilità.
Rilevante, e non ornamentale, il ruolo dei comprimari. La moglie Miri (Son Ye-jin) è il principio di realtà: riorganizza spese, torna a lavorare, impone scelte dolorose. Non è un’ombra giudicante, ma la misura etica che il protagonista rifiuta di adottare. Gli altri candidati-bersaglio non sono caricature: uomini spezzati, ironicamente simili a lui, con cui condivide orgoglio professionale e vergogna. È l’intuizione più acida del film: per salvarsi, Man-su tenta di sopprimere versioni alternative di se stesso. Non uccide “il nemico”, elimina lo specchio.
Il contesto storico e produttivo apre un altro livello di lettura. L’opera nasce dal romanzo “The ax. Cacciatore di teste” di Donald E. Westlake ed è già passata attraverso un celebre adattamento europeo del 2005; Park dedica il film a Costa-Gavras e, al tempo stesso, lo radica nel presente coreano, con la gerarchia aziendale, l’ossessione per la competenza, la mascolinità ferita che non sa chiedere aiuto. L’ultima svolta guarda al futuro prossimo: l’automazione come nuovo volto dell’arbitrio economico. La frase “non c’è altra scelta”, ripetuta lungo tutto il racconto, diventa la formula con cui ci si autoassolve mentre si abdica alla responsabilità. Il regista la rigira come un guanto: mostra quanto spesso esistano, invece, altre strade – le intravede Miri – e quanto sia comodo non vederle.
Sul piano stilistico No Other Choice si colloca accanto a Mademoiselle e Decision to Leave, ma con un registro più terreno: meno barocco, più concreto, e proprio per questo capace di accogliere esplosioni di invenzione senza perdere credibilità. La durata generosa non pesa quando ogni scena introduce un’idea visiva o un tornante emotivo; può affaticare se ci si aspetta la tensione continua del thriller. Ma in una filmografia che ha reinventato vendetta, desiderio e colpa, questa commedia nera sul lavoro e sulla paura di perdere la faccia aggiunge un tassello necessario: la risata come strumento critico, non come evasione.
Insomma, No Other Choice è un film che divide e, proprio per questo, resta. Chi cerca la perfezione di un congegno troverà una macchina volutamente sgangherata al centro – come il suo protagonista . tenuta insieme dalla grazia della regia; chi cerca una riflessione sul nostro tempo troverà un’analisi tagliente: la casa come simulacro, il mestiere come credo, la famiglia come ultimo argine, la violenza come scorciatoia che non risolve nulla.
Nella Mostra di Venezia la sua presenza ha il peso delle opere che chiedono allo spettatore di scegliere da che parte stare: con il conforto dell’ordine o con l’inquietudine del vero. Park Chan-wook, ancora una volta, preferisce l’inquietudine. E ci ricorda che la frase “non c’è altra scelta” è spesso la più pericolosa di tutte.
Di seguito trovate il teaser trailer doppiato in italiano di No Other Choice, che arriverà nei nostri cinema a gennaio 2026:
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