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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Texas Chainsaw Massacre , uscita: 18-02-2022. Budget: $20,000,000. Regista: David Blue Garcia.

Non Aprite Quella Porta (2022): la recensione del film di David Blue Garcia con Leatherface invecchiato

19/02/2022 recensione film di Francesco Chello

Il sequel scritto da Fede Alvarez è un degno comeback dello spietato assassino texano. Qualche incertezza di scrittura non compromette più di tanto l’efficacia di un'opera che punta prepotentemente su violenza, brutalità e sangue. E che rende giustizia al concetto di massacro.

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Dal 18 febbraio è disponibile su Netflix il nuovissimo Non Aprite Quella Porta, probabilmente uno dei titoli più attesi di questa parte di stagione. Non fosse altro per il nome che porta, quello di un franchise horror storico e di lunga data come quello di The Texas Chainsaw Massacre, in cui risulta essere l’installment numero 9. Mi è sempre piaciuto il termine ‘installment’, succede raramente di poterlo usare in una frase. Nono capitolo, dicevo, che si pone come sequel diretto (e con velleità da reboot) del primo film del 1974.

Come dite? L’avevate già sentita questa cosa? In effetti, su otto titoli usciti dopo il primo, è il terzo caso di sequel direttamente collegato al capostipite di Tobe Hooper – il secondo che allo status di seguito tenta di annettere l’ambizione di rebootare. Insomma, parliamo di una saga che in quanto a casini di continuity, linea temporale e capitoli che si sputtanano tra di loro, non ha nulla da invidiare a quella di Halloween. Un film che attendevo ma che allo stesso tempo temevo, sia per gli ultimi precedenti che per alcune vicissitudini produttive non esattamente incoraggianti.

Non aprite quella porta film 2022 poster netflixVabbè, vi dico subito com’è, che poi c’ho diverse cose di cui parlare e va a finire che i più pigri tra voi non arrivano fino alla fine per scoprirlo. Non Aprite Quella Porta versione 2022 è promosso, questa nuova (ennesima) ripartenza si rivela un degno capitolo delle gesta di Leatherface: brutalmente violento, sanguinoso, compatto, lineare nei suoi 75 minuti di durata (al netto dei titoli di coda).

Tornando al discorso della saga ‘incasinata’, ho approfittato della nuova uscita per fare un bel rewatch di tutta la serie. Che mi offre lo spunto per fare con voi quanto meno un recap della suddetta continuity. Giusto qualche riga di riepilogo della timeline e degli ingarbugliamenti vari. Non entreremo troppo nello specifico dei singoli film, per quello servirebbe un dossier e non è questa l’occasione, dalla regia mi dicono che il biglietto di oggi vale per un solo spettacolo, mentre per lo speciale serve l’abbonamento al ‘Cineocchio Superpiù’ … Ah no scusate, quelli non siamo noi, qui è tutto orgogliosamente gratis!

Comunque sia, parlavamo di ricapitolare:

– partiamo naturalmente dall’inimitabile originale, quel The Texas Chainsaw Massacre diretto da Tobe Hooper (che lo aveva anche scritto insieme a Kim Henkel) nel 1974. Spartiacque dopo il quale un certo cinema dell’orrore non sarà più lo stesso (la recensione).

Non Aprite Quella Porta 2, 1986. Negli anni ’80, Hooper firma un contratto multifilm con quegli adorabili matti della Cannon. Il passo naturale è tornare sul suo più grande successo in carriera per dargli un sequel a distanza di 12 anni. Tobe fa una scelta intelligente ma coraggiosa: riprende il filo dei personaggi e della storia ma cambia prepotentemente tono; la famiglia Sawyer trova un nome ed un nuovo membro (il Chop-Top di Bill Moseley).

Leatherface – Non Aprite Quella Porta III, 1990. Subentrare al creatore originale è una patata bollente che finisce nelle mani di Jeff Burr che, come se non bastasse, non viene aiutato da una New Line che lo licenzia per poi riassumerlo e gli chiede tagli/modifiche non sempre pertinenti, sottovalutando l’importanza dei diritti appena acquisiti che verranno poi mollati subito dopo – quando avrebbero potuto essere affiancati a quelli di Freddy e Jason e dare vita a chissà quale folle crossover – per risalire a bordo qualche anno dopo col remake.

La continuity inizia a mostrare una confusione che d’ora in avanti andrà solo a peggiorare; la didascalia iniziale fa riferimento ai fatti del primo film ed un fantomatico processo, anche se poi un cameo di Caroline Williams e la scritta ‘The Saw is Family’ sulla fighissima motosega fanno pensare di non voler ignorare del tutto il secondo capitolo. Fatto sta che Leatherface in qualche modo (e senza spiegazioni), ha cambiato famiglia di pazzi assassini (tra cui Viggo Mortensen), ma c’è ancora la presenza del nonno che incasina ulteriormente la logica continuativa.

Non Aprite Quella Porta IV, 1994. Se qualcuno si stesse chiedendo in che misura ripartire i meriti dell’originale, ci pensa Kim Henkel a spazzare via ogni dubbio che realizza il capitolo peggiore dell’intero franchise con la sua prima ed unica regia in carriera. Si parte con la solita didascalia che fa riferimento ai fattacci degli anni 70 e che si chiude con un rapidissimo accenno ad ‘episodi minori’, ovvero l’inside joke con cui il simpatico Henkel crede di sfottere secondo e terzo capitolo che in realtà mettono le palle in testa al suo film. Continuity ancora una volta ignorata, con lo spuntare dal nulla di un’ulteriore nuova famiglia di gente (tra cui Matthew McCounaghey) che, credendosi folle, recita insopportabilmente sopra le righe. Le facce note restano il nonno (inspiegabilmente vivo e vegeto) ed una pessima versione di Leatherface in formato Mrs. Doubtfire.

Non Aprite Quella Porta, 2003. La saga si era incartocciata su sé stessa, a trent’anni dall’originale i tempi erano ormai maturi per un rifacimento. Compito (per certi versi ingrato) che spetta alla Platinum Dunes di Michael Bay in collaborazione con la New Line che torna nuovamente a bordo. Un film che dividerà il pubblico in due parti manco impugnasse una motosega. Io sono tra quelli che apprezzano parecchio il nuovo corso, ma non è il momento per fare a botte.

Non Aprite Quella Porta – L’Inizio, 2006. Il successo del remake porta inevitabilmente a un sequel. Per la precisione ad un prequel, primo esempio (di due) di questo tipo nel franchise. A mio parere meritevole come il predecessore e forse anche di più, raccoglie meno al botteghino, motivo che spinge la Platinum Dunes a scendere dalla barca quando era ancora in attivo.

Non Aprite Quella Porta 3D, 2013. I diritti vengono acquistati da Millennium Films e Lionsgate, che anticipando la Blumhouse (col suo Halloween) di pochi anni, optano per un’operazione di reboot camuffandola da sequel che si aggancia direttamente all’originale, bypassando anche un secondo capitolo che, essendo di Hooper, aveva tutto il diritto di essere considerato in canone. Il prologo si ricollega direttamente alla fine del film del 1974 (mostrato nei flashback), Bill Moseley prende il post di Jim Siedow nei panni di Drayton, si rivede il nonno di John Dugan e c’è pure Gunnar Hansen tra i Sawyer che senza una ragione apparente sono aumentati esponenzialmente di numero.

L’errore più pacchiano e deficiente arriva col salto temporale: si passa ai giorni nostri, la bambina superstite dovrebbe essere diventata una quarantenne, peccato venga scelta un’attrice che ne dimostra a malapena 25. Nel frattempo saltano fuori una certa Verna Sawyer in Carson (fa piacere vedere di nuovo Marilyn Burns) ed una nuova casa senza grosse spiegazioni a riguardo.

Leatherface – Il massacro ha inizio, 2017 (la recensione). Il film si pone come prequel dell’originale, anche se poi in realtà tenta di tirare dentro il predecessore del 2013 – entrambi targati Millennium Films/Lionsgate. Ecco spiegata la presenza di Vera Sawyer in Carson, particolare che manco a dirlo incasina di nuovo la continuity. Nel precedente, infatti, Verna risultava nata nel 1937 (discrepanza con questa versione già adulta) e si diceva che fosse la zia (e non la madre) di Leatherface – aspetto su cui cercano di mettere una pezza con una battuta dello sceriffo Hartman (padre del sindaco del capitolo in 3D) che non sa se la donna sia, appunto, la madre o la zia dell’assassino. Restano perplessità sull’aspetto fisico del tizio che nel giro di pochi anni dovrebbe trasformarsi in Gunnar Hansen prendendo peso e centimetri che nemmeno con gli ormoni della crescita.

non aprite quella porta 2022 filmMillennium e Lionsgate progettavano lo sviluppo di svariati capitoli, legati chiaramente ai risultati al botteghino di quelli già distribuiti. Buoni propositi che vanno in frantumi nel momento in cui l’uscita dell’ultimo Leatherface viene posticipata al punto da far perdere i diritti agli studios, in funzione di un accordo che prevedeva la possibilità di confermarli a fronte di un tot di film realizzati in un determinato lasso di tempo, condizione non rispettata che invece costringerà la Lionsgate a dire addio al franchise nel dicembre del 2017.

Si passa ad agosto del 2018, quando entra in scena la Legendary Pictures che imbastisce una trattativa per l’acquisto dei diritti di The Texas Chainsaw Massacre. Tra i produttori anche il regista Fede Alvarez che firma il soggetto (insieme a Rodo Sayagues) che poi diventa sceneggiatura tra le mani di Chris Thomas Devlin, oltre a Kim Henkel (che si sarà limitato a ritirare l’assegno) alla prima da orfano di Tobe Hooper. Alla regia vengono assunti Ryan ed Andy Tohill che vengono licenziati dopo appena una settimana di riprese da un team produttivo insoddisfatto che li rimpiazza con David Blue Garcia (Tejano), il quale cestina tutto il girato e decide di ripartire da zero.

Il nuovo Non Aprite Quella Porta inizia a prendere forma, previsto al cinema nel 2021 viene sottoposto ad alcuni test screening (il primo caso dopo la pandemia da COVID-19) che qualcuno definisce disastrosi, motivo per cui viene poi spostato su Netflix che ne acquisisce volentieri la distribuzione esclusiva. Che per molti versi si rivela un fatto positivo vista la visibilità che in questo momento storico può offrire il colosso dello streaming, oltre alla possibilità di evitare completamente una censura che avrebbe potuto far danni ad un prodotto del genere; d’altro canto, visti i precedenti in terra italiana, questa cosa mi fa temere per una mancata distribuzione in home video e sinceramente mi roderebbe non poter aggiungere in collezione il nuovo capitolo di una saga così importante.

Svariate righe più su, citavo il franchise di Halloween. Le similitudini non riguardano solo il caos logico/continuativo dei vari capitoli, ma anche la struttura di questo progetto. L’ultimo Non Aprite Quella porta si pone come sequel diretto dell’originale, che quindi non tiene conto di tutto quello che c’è stato nel mezzo; si sposta ai giorni nostri con un boogeyman invecchiato e la final girl dell’epoca che ricompare (ingrigita e agguerrita) per ottenere la sua vendetta.

non aprite quella porta 2022 film (2)Insomma, qualcuno definirebbe come minimo sospetti i punti di contatto di questa operazione con quella dell’Halloween targato Blumhouse, anche se poi sotto questo aspetto i due film prendono direzioni diverse. Nello specifico, la riesumazione di Sally Hardesty non solo è più marginale di quanto facesse pensare il battage pubblicitario, ma è anche poco determinante ai fini della trama (a differenza dell’ultima Laurie Strode), andando un po’ a svilire sia un personaggio che probabilmente poteva essere lasciato in pace, che l’idea stessa di un confronto atteso (quasi inutilmente) per circa cinquant’anni.

Lasso di tempo che forse non viene calcolato alla lettera nella delineazione anagrafica di Leatherface, che qualcuno in fase promozionale aveva definito 65enne (cosa che trasformerebbe in 17enne la versione del film originale di Tobe Hooper). Una Sally che mi offre il gancio per completare il quadro delle critiche spostandomi su alcuni comportamenti illogici dei personaggi, come nel momento in cui la donna può finalmente prendere a fucilate il nostro amico faccia di cuoio ma preferisce parlargli e contemplarlo permettendogli così di allontanarsi; scelta che fa il paio con altre scemenze similmente senza senso come spostamenti dell’azione da un luogo all’altro troppo repentini per essere credibili o le sorelle che salgono sul pullman chiedendo all’autista di andare via senza dargli grosse spiegazioni, cosa che un attimo dopo non impedisce al tizio di fermare il mezzo credendo di aver investito qualcuno anziché partire a manetta.

Ecco, ci siamo tolti il dente su quelle innegabili ‘imperfezioni’ sparse che stanno già mettendo in crisi i fanatici della trama ma che, a mio parere, non compromettono la riuscita di un film che invece annovera un numero sufficiente di meriti che gli permettono di andare oltre e centrare il bersaglio previsto. Perché nel giudicare un risultato bisognerebbe tenere conto anche dei target prefissati a monte.

Parliamone bene, quindi, cominciando dalla location che trova una doppia valenza, sia logistica che significativa. Le città fantasma hanno sempre il loro fascino macabro, se non siete d’accordo siete degli insensibili. Quel misto di suggestione ed inquietudine, il mistero che nasconde il pericolo, l’abbandono come antipasto della morte, lo scricchiolio del legno che accentua il senso di minaccia.

La texana Harlow non sfugge a questa regola, pur essendo texana solo sulla carta, visto che i set vengono abilmente ricostruiti in quella Bulgaria che accoglie la produzione a braccia aperte (ed agevolazioni fiscali …). Ambientazione che serve anche a veicolare uno sguardo metaforico sull’omologazione dettata dalla modernità, la ricerca continua di un finto cool, di parametri imposti dalla massa, a discapito di quell’America più rurale, delle tradizioni, dell’appartenenza.

non aprite quella porta 2022 film netflixIn questo discorso si va ad inserire la vicenda di protagonisti di Non Aprite Quella Porta 2022, che dietro le buone intenzioni di borghesi che fingono di rigettare la propria natura in nome di un’uguaglianza solamente teorica, non si fanno scrupoli a compiere quegli stessi gesti che si affannano a condannare. Che è praticamente quello che succede con la donna che viene malamente sfrattata, possibilmente prima che arrivino gli investitori che poi sembra brutto.

Una reputazione più social che sociale, la critica verso quei Social – e la generazione che ne fa (ab)uso – che diventano parametro di vita ed a cui sembra non si possa rinunciare di fronte a nulla, quelli che portano Leatherface nel nuovo millennio attraverso le dirette dei malcapitati armati di smartphone condite da commenti dei diffidenti cronici che accusano le immagini di essere fake (che ricordano i famosi ‘noncelodicono’). A quel punto ci sta che a Leatherface girino i coglioni.

E qui arriviamo al protagonista indiscusso del film. Leatherface, appunto. Tutto ruota chiaramente intorno a lui, fin dal prologo (che cita nostalgicamente il film originale attraverso le polaroid dell’epoca) in cui si parla di un assassino sfuggito alla legge (altra piccola imprecisione, visto che non si nominano gli altri membri della famiglia). Una centralità della scena che lui dimostra di meritare, altroché. A partire dalla sua entrata in azione, studiata a puntino, in un crescendo graduale.

La foto sfocata sul muro, l’ombra, la sagoma. Il correre in soccorso della donna anziana (un’azzeccata Alice Krige) e lo stare tranquillamente tra la gente (quando tu spettatore hai la posizione privilegiata di sapere cose che i personaggi non sanno). La scena toccante della morte della signora, preludio all’esplosione di violenza che di lì a poco investirà il film come un tornado devastante. Il rito dello scuoiamento, il ritorno della maschera che in questo caso ha una valenza simbolico/affettiva.

Il grembiule, il ritrovamento della cara vecchia motosega, il truccarsi. Lo spuntare della sagoma tra i girasoli. La motosega che taglia il legno allo stesso modo di una pinna di uno squalo nel mare. La camminata claudicante, il particolare modo di correre, di impugnare l’amata arma a motore, la strana danza finale.  Linguaggio del corpo e dettagli evidentemente studiati da Mark Burnham, che fa un buon lavoro in abiti iconici come sono quelli di Leatherface. Una macchina da morte necessaria a dare concretezza al merito più grande dell’ultimo Non Aprite Quella Porta.

non aprite quella porta 2022 film netflixUn livello di gore e violenza oltre le più rosee aspettative. Una violenza cruda, esplicita, sempre a favore di camera e spesso frutto di buoni effetti tradizionali e make up preciso nei dettagli (per dire, mi è rimasto impresso il piccolo bernoccolo della tipa che fa l’incidente all’inizio). Arti spezzati, mozzati, teste sfondate, decapitazioni, persone smembrate, sviscerate, sventrate, tranciate in due. Volti sfigurati, sangue che scorre copioso. Non priva di ‘momenti ouch!’, in cui viene difficile non immaginare la sensazione di dolore.

Una vera e propria mattanza che passa attraverso una serie di sequenze da ricordare. Il poliziotto ucciso col suo stesso osso sporgente, i colpi di accetta inquadrati attraverso la porta saloon, l’intera colluttazione col redneck. E ovviamente la scena del bus, anticipata dal trailer, con gli spazi stretti che diventano il teatro di un bloodfest incredibile decorato da emoglobina, parti di corpi che volano e mani che battono disperatamente sui vetri dei finestrini. Il sangue che si mescola con pioggia e fango, ingredienti di un contesto amabilmente decadente che David Blue Garcia inquadra con la giusta fotografia (lui che proviene da quel settore), settando un’atmosfera cupa, sudicia e tesa che confluisce puntualmente nella morte barbaramente violenta, a cui contribuisce lo score di Colin Stetson che avvolge con discrezione la macelleria.

Il casting dei ragazzi punta ad un’apprezzabile normalizzazione di volti potenzialmente comuni, a partire da Sarah Yarkin ed Elsie Fisher nel ruolo delle due sorelle; personaggi che hanno caratterizzazioni piuttosto minime ma funzionali, forse giusto la questione della strage del liceo (leggi anche trauma precedente) ha il sapore della cosa buttata dentro un po’ a caso, così come alcuni tratteggi risultano un tantino superficiali – il redneck che ascolta metal per darci l’impressione (sbagliata) di avere cattive intenzioni (evidentemente nel 2022 qualche autore crede di essere ancora nella Bomont di Footloose …).

Abbiamo detto della scrittura scricchiolante della nuova Sally Hardesty, che comunque non impedisce di provare a giocarsela con grinta all’irlandese di origine francese Olwen Fouéré, che per forza di cose deve sostituire Marilyn Burns (scomparsa del 2014).

non aprite quella porta 2022 film netflixInutile dire che anche questo capitolo finirà per ‘squartare’ il pubblico in due, separandone le sezioni in maniera abbastanza netta. Per dire, in mezzo pomeriggio ho visto la mia bolla social cinefila quasi impazzire, persone che sembravano aver visto film diversi tra loro. Tra cui gli haters di Netflix, ma non credo che questo si possa includere tra i parametri oggettivi.

Io mi ci sono divertito e neanche poco. Inutile fare paragoni con l’originale, col suo significato socio/culturale, il suo impatto sul cinema horror e non solo. Inutile perché da allora ne sono usciti altri otto, la formula nel frattempo si è spostata su una combinazione differente di elementi sicuramente più semplice e meno ambiziosa.

Il nuovo Non Aprite Quella Porta sposa quella nuova formula con coerenza, commette qualche peccato veniale su cui si può tranquillamente soprassedere. Per il modo in cui rende orgogliosamente giustizia al concetto di massacro. Segnando un efficace comeback di un’icona come Leatherface. La stessa natura da reboot tutto sommato ci può stare, perché la saga non aveva questa grossa concatenazione di eventi da rispettare (a differenza degli ultimi Halloween, che concettualmente sfanculavano con scorrettezza una serie di film che avevano il diritto pluriennale di essere considerati canonici), se non vagamente negli ultimi due capitoli, che però francamente meritavano il colpo di spugna narrativo.

La romantica scena post credits in stile John Rambo (la recensione) sembra infine aprire uno spiraglio su un futuro che sarei proprio lieto di conoscere. Per cui no, non chiudete quella porta.

Di seguito trovate il trailer italiano di Non Aprite Quella Porta, nel catalogo di Netflix dal 18 febbraio: