Voto: 7/10 Titolo originale: The Fog , uscita: 07-02-1980. Budget: $1,000,000. Regista: John Carpenter.
Ombre dal passato: Fog di John Carpenter (1980)
02/10/2017 recensione film Fog di Jurij Pirastu
Tra i film low budget, ma non certo minori, del regista, si inserisce la pellicola del 1980, in cui i fantasmi dal passato tornano, nella nebbia, per minacciare la tranquillità di una cittadina costiera.
Si apre oggi la nostra nuova rubrica “Ombre dal passato”, con la quale intendiamo riportare alla memoria e dare lustro a opere minori, ma di valore, dei grandi maestri dell’horror.
Il centenario della fondazione di Antonio Bay si sdoppia in una strage nella nebbia. Rinchiuse nel fumo bianco, figure sovraumane uccidono per vendetta. Nessuna casa può proteggere. Cercando lo slancio verso un’attenzione maggiore, dopo i primi lavori per la televisione (Pericolo in agguato ed Elvis, il re del rock), John Carpenter dirige il film horror Fog (The Fog), nelle sale nella primavera del 1980. Una storia di spettri, con qualche punto di contatto col precedente Halloween (e i suoi futuri film), che ribalta la calma di una piccola cittadina. Perché anche i posti più vivibili covano il Male.
La sinossi
Ci troviamo ad Antonio Bay, di notte, sulla spiaggia. Un vecchio pescatore narra a dei bambini la storia di uno sfortunato veliero che, molto tempo prima, era naufragato presso gli scogli di quella costa, tra una fitta nebbia e illuminato dalla luce di una falò in riva. È quasi mezzanotte. La mezzanotte del 21 aprile, data in cui la cittadina celebra i cento anni della fondazione.
In questa notte accadono fatti insoliti: si spostano oggetti, si attivano allarmi, si frantumano vetri, si accendono e spengono luci; ma soprattutto compare una nebbia dal mare, che trasporta delle ignote figure sanguinarie, che bussano alle porte degli abitanti, per uccidere.
Come il prete, padre Malone (Hal Holbrook), legge nel diario del nonno, rinvenuto nella sacrestia, la compagnia del marinaio Blake, quella del naufragio della storia (avvenuto sempre il 21 aprile di cent’anni prima), è tornata come spettri per vendicare l’accaduto: questo perché 6 uomini, che hanno contribuito alla fondazione della comunità, hanno desiderato la morte dell’equipaggio per repulsione verso di loro e per impossessarsi dell’oro; la morte è avvenuta, poi, per altri fattori.
Stevie Wayne (operatrice alla radio), Nick Castle (un abitante del luogo) ed Elisabeth Solley (un’autostoppista appena giunta), indagheranno sul mistero e, come tutti gli altri civili, cercheranno di sfuggire alla vendetta, in un giorno di festa e nella ricorrenza di diverse morti. Potranno mai avere pace?
La storia
Carpenter torna al grande schermo. Le sue due precedenti esperienze per la televisione rimandano a una rigida organizzazione di troupe, cui doveva sottostare, o a conflitti di produzione (per questo motivo accantona il montaggio per il viaggio di nozze con la moglie, Adrienne Barbeau, la Stevie Wayne di cui sopra).
Il lavoro dietro a Pericolo in agguato (titolo reinterpretato dall’originale Someone’s watching me!) e a Elvis, il re del rock non entusiasma il regista, nonostante siano prodotti riusciti. Carpenter cerca quindi il rilancio con Fog. L’impulso al film viene quando visita il London Film Festival nel 1977: “La sua intenzione è quella di creare un film in cui la nebbia sia l’antagonista centrale”, come viene riportato dal sito dell’American Film Institute.
Viene affiancato un’altra volta nella stesura del film da Debra Hill (co-sceneggiatrice anche in Halloween), al suo fianco anche in molte pellicole successive, e con la quale avrà una relazione privata. La Hill sarà in seguito attiva con altri noti autori horror, come David Cronenberg (nella produzione de La zona morta nel 1983) e Rob Zombie (nel soggetto di Halloween – The Beginning, 2007). Jamie Lee Curtis, Nancy Kyes e Dean Cundly sono alcuni altri nomi che ricorrono nella filmografia di Carpenter; con il film si circonda quindi nuovamente delle fidate presenze con cui aveva già lavorato e che gli avevano fatto desiderare una nuova pellicola per il cinema.
La produzione
Accolta l’idea del film dalla compagnia indipendente AVCO Embassy, Carpenter e la Hill sfornano la sceneggiatura di Fog, per la quale ci vorranno “quasi tre mesi, a causa delle difficoltà tecniche connesse alla realizzazione degli effetti speciali” (John Carpenter, Fabrizio liberti, 1997); si pensi all’intenso lavoro di post-produzione per ricreare la nebbia proprio come il regista aveva previsto.
Fog costerà alla fine 1.5 milioni di dollari (Rated H for horrors, New York Magazine, vol. 13, nº 7, 1980, p. 50). Un’altra pellicola a basso costo che si aggiunge a tutte le poche altre per il cinema distribuite in precedenza, comunque in un crescendo di denaro per le rispettive produzioni (si è partiti dai 60.000 dollari di Dark Star nel 1974).
Ogni titolo raggiunge piccoli traguardi in termini di plauso e accoglienza (anche se Distretto 13: le brigate della morte nel 1976 riceve, negli Stati Uniti, critiche negative e, al Festival di Cannes, una certa indifferenza) e ottiene sempre più finanziamenti dagli studi, rimanendo comunque in una fascia bassa. La vera ambizione del regista è di dare il meglio di sé: tecnica, passione ed esperienza da spettatore che porta a un colto citazionismo.
“Un film con un budget ridotto è una sfida. Un regista deve essere risoluto, intelligente e inventivo. Alcuni direbbero soprattutto creativo. E’ bello avere un po’ di dollari. Ho avuto anche 50 milioni per fare un film. E non l’ha reso più semplice. Un budget realistico è probabilmente la soluzione migliore”, come ha dichiarato a Battleroyale Withcheese.
Dentro il film
Narrazione e medium
Un’abilità che rende grande un regista è quella di raccontare una buona storia, e raccontare una buona storia implica la precisa conoscenza di quante informazioni si abbiano da dare e la sensibilità di capire quando trasmetterle al pubblico. Non si può dire tutto subito: troppi omicidi uno dopo l’altro, troppo sangue, troppa velocità o troppo orrore svuotano di significato le immagini (non prese da sole, ma nel rapporto le une con le altre) e riducono l’informatività (perché non variano tono).
“Il mezzo più nobile, il migliore e più efficace che sia mai stato escogitato per far paura, per quanto riguarda il pubblico, è non mostrare troppo!” ha detto Carpenter.
“Soprattutto non sforzarsi di essere chiari!”. E non sforzarsi di essere chiari troppo presto, ma essere abili a distribuire i contenuti lungo la narrazione. La storia del passato è da ricomporsi nel corso delle scene ed essa si dispiega in tutto il film. Accanto ai tre filoni narrativi principali, le vicende di Nick ed Elizabeth (Jamie Lee Curtis), quelle di Stevie (soprattutto alla radio, nel suo faro) e di Padre Malone, vi sono narratori che raccontano e rivelano insieme a poco a poco.
John Carpenter prende la storia del veliero, la lega alla leggenda e la affida alla voce del marinaio dell’inizio. Poi la rielabora nella veste di documento storico (un diario), la frammenta e la mette in bocca a Padre Malone (pezzi iniziali e finali molto brevi, corpo centrale lungo, inframmezzato alla scena di Nick ed Elizabeth); il prete spinge lentamente la successione di fatti che la nostra attenzione desidera conoscere, in una negoziazione del tipo “rimani a guardare e ti mostro il continuo”. Entrambe le versioni sono sostenute da un incalzante sottofondo, prodotto dalla mente del regista stesso. Un altro narratore è l’operatrice radiofonica Stevie Wayne, che riporta i fatti del presente filmico, contro la leggenda e la storia.
Come in altri film, anche in Fog vi è un medium autorevole, la radio, da cui i cittadini ricevono informazioni per conoscere e vengono influenzati dagli accadimenti (nessun giornale, né televisione, né computer, figuriamoci!). In Essi Vivono (1988) la pubblicità e la propaganda sovraproducono messaggi criptati (decifrati da speciali occhiali da sole); ne Il seme della follia (1998) i libri di Sutter Kane hanno effetti pervasivi sui lettori. Notiamo una costante che lega questi film (il medium; anche se in Fog ha minore rilievo), che delinea la presenza di istituzioni che permettono il trasferimento di informazioni: la radio, l’editoria, il governo.
Biodegradabilità e citazionismo
Fog è un richiamo (e un tributo) al passato, anche ai suoi film. Il cinema di John Carpenter nasce per gran parte da un processo di biodegradabilità: il regista, uno spettatore esperto, accanito (in particolare di sci-fi e di western, con i quali è cresciuto), si diverte a smembrare film (ma anche libri) in parti semplici per ottenere elementi “subito disponibili alla produzione di nuovi composti” (John Carpenter, Fabrizio liberti, 1997). Temi, archetipi, personaggi, inquadrature, ambientazioni, paure, da Howard Hawks, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Sergio Leone, la fantascienza anni ’50 e ancora H. P. Lovecraft e P. K. Dick, rivivono nei suoi film, divenendo a volte un colto citazionismo.
Fog e Halloween
L’inizio del film ci cala nel contesto della storia. Un marinaio, Mr. Machen (omaggio ad Arthur Machen, autore di ghost stories) racconta storia e leggenda del naufragio di cent’anni prima, di fronte a un falò e un pubblico di bambini.
Il tema è una storia di fantasmi, un archetipo, destinata a giovanissimi che hanno paura, ma da cui, al contempo, sono attratti, perché “ciò che è perturbante ci seduce poiché è un rappresentante fantasmatico del nostro desiderio” (Il buio oltre lo schermo, Riccardo Strada). La paura è ansia e dolore mentale, e dunque proibizione, sdoppiata nel piacere del superamento di questo, che ci avvicina all’ignoto che vogliamo conoscere.
Questo per chiunque, ma soprattutto per bambini. E se la paura coincidesse con il reale? Ma nessuno lo sa ancora. I fantasmi non aspettano molto a materializzarsi e ad assumere le sembianze dell’uomo nero: Blake e gli altri spettri sono figure oscure rischiarate dalla nebbia; essi bussano alle porte altrui per uccidere (cercando anche di prelevare i soggetti interessati). Ma lasciamo il ruolo di uomo nero al deviato Michael Myers di Halloween: questo è un vero cattivo che puoi trovarti in casa quando meno te l’aspetti!
Ghost stories e bogeyman (uomo nero) sono classici archetipi dell’immaginario popolare e un punto di contatto tra i due film di Carpenter. Non solo: Halloween e Fog hanno la stessa struttura temporale (notte-giorno-notte, presente anche in Distretto 13: le brigate della morte e che il regista incomincerà ad abbandonare); sono ambientate in un paese di provincia, in cui vive pace e coesione, ma che viene contaminate dal Male, che è una riemersione di orrori del passato; si celebra una ricorrenza (Halloween; la fondazione), che richiama alla memoria i morti, e che si sdoppia in un eccidio.
Rimandi a passato e futuro
Il film segna una ripresa con i prodotti per il cinema, fermi al 1978, e che con alcuni elementi di questo (visti sopra) riprendono il corso. Ma in Fog non ritroviamo solo Halloween. Si è parlato di storia di fantasmi in una nebbia misteriosa, che rappresenta un fenomeno mosso da una forza soprannaturale; possiamo trovarci un legame con Gli Uccelli di Alfred Hitchcock, “non solo perché Antonio Bay è molto simile a Bodega Bay, ma anche perché elementi e fenomeni naturali vengono manipolati da forze sovrannaturali che ‘sentono’ la presenza di individui che hanno una cattiva fortuna” (John Carpenter, Fabrizio Liberti, 1997).
L’isolamento è spesso un aspetto importante dei film di Carpenter.
Antonio Bay è una piccola comunità lambita dal mare (barriera naturale) e confinante con la campagna, che con l’arrivo del Male è ancora più isolata: letteralmente la nebbia attacca i sistemi elettrici e poi il generatore del paese, isolandolo, nell’oscurità, dalla tecnologia e dalla comunicazione (“ricorda molto da vicino quello che avveniva in Ultimatum alla Terra di Robert Wise”, come scrive sempre Liberti) ; il faro è l’unico posto, con un proprio generatore, che rimane attivo, ed è l’unica speranza di contatto a distanza, ma solo con l’auto di Nick Castle (Tom Atkins).
Il 13° Distretto di polizia di Los Angeles, in Distretto 13: le brigate della morte è in un’area isolata e minacciata. Un massimo isolamento si vede in La Cosa, nei laboratori di ricerca, in cui le diverse personalità inserite in uno spazio comune collidono non trattenendo il conflitto dato dalla paranoia (tutti possono essere “la cosa”).
Ma isolamento è anche quello che attraversa Arnie, in Christine – La macchina infernale, dai rapporti sociali (sempre più attratto dalla diabolica cadillac), che lo cambiano dentro. La difficoltà dell’isolamento pone in uno stato di paura che porta all’adattamento, da cui poi il conflitto o la solidarietà verso gli altri per un sostegno reciproco (in Fog è questa la reazione). Il Male è spesso una presenza difficile da combattere.
Anche i punti e i luoghi di riferimento simbolici come le istituzioni possono non offrire la difesa e la forza morale di cui gli individui hanno bisogno.
In Fog la chiesa diventa un rifugio assediato dai fantasmi del passato riemersi per cercare vendetta: vetrate e finestre rotte, un crocifisso tolto dal muro dalla mano di uno spettro, la nebbia e le figure nemiche tra i banchi all’interno, indicano un Male senza limiti. Padre Malone non trova più conforto da quando ha saputo del complotto del naufragio da parte degli antenati, a cui si lega la vendetta, e si abbandona ad un’accettazione remissiva della maledizione che ricade per colpa dei padri; anche se nessuno dei vivi si è macchiato di cattiva condotta.
La chiesa (un fortino assediato da ombre oscure, come nei western tanto cari al regista), viene attaccata come centro di rifugio e sostegno delle anime. L’autorità della chiesa è messa in difficoltà anche in Vampires, in cui i crocifissi non funzionano contro i vampiri (diversamente dalle solite pellicole di vampiri), e un crocifisso nero, inversamente, dona ai succhiasangue l’abilità di mostrarsi alla luce del sole. In Distretto 13 è infine proprio il distretto di polizia a essere oggetto di attacco e a perdere il suo potere; ormai nessuno lo teme e i vendicativi Street Thunder si scatenano.
Contro il sogno americano
Perché attentare alla calma di un delizioso paesino costiero? Perché uccidere innocenti senza un’apparente motivo? La lotta contro il Male e la buona condotta potranno redimerci? Gli spazi della realizzazione identitaria non promettono una vita sempre prospera, come invece troviamo nel concetto di “sogno americano”, e il Male non conosce la buona condotta. Questo perché per Carpenter il sogno è ipocrisia. Antonio Bay è un luogo ideale di individui in pace tra di loro e uniti sotto la stessa identità comunitaria (durante i festeggiamenti per il centenario, gli isolati sono vuoti perché tutti, o quasi, sono riuniti per la festa).
Portano avanti una simpatia o una sottintesa benevolenza, e non ci sono i conflitti che rimangono concentrati più che altro nelle metropoli (grovigli sociali e culturali con difficoltà di sintesi tra le persone). Ma anche negli spazi più pacifici il Male riesce a insinuarsi. Questi spesso sono presi di mira dai quei registi che si divertono a rovesciare gli scenari apparentemente tranquilli. La verità però (come ci ha mostrato Tobe Hooper nel suo Non Aprite Quella Porta) è che non bisogna mai fidarsi della realtà rivestita di silenzio e pace.
Il Male è reale, e sempre in agguato. Tenete alta la guardia quindi! Nei lungometraggi in cui il passato riporta alla mente fatti orrendi, il Male non smette infatti di esistere, ed è covato in profondità, riemergendo al momento giusto, come uno Xenomorfo nella Nostromo, il perturbante rimosso, un elemento estraneo e inspiegabile.
In Fog, il Male del passato è la maledizione del presente. La vendetta è sempre irrazionale, ma qui lo è ancora di più. Un paese subisce un eccidio perché servono 6 uomini per vendicare quei 6 padri cospiratori; e chiunque va bene. La colpa dei padri (antenati) è ereditata dai figli (discendenti), come in un meccanismo genetico. Un archetipo dell’immaginario americano è la consacrazione dell’elezione, predestinazione divina attraverso una sfida del Male al Bene, che sappia testare la preparazione morale degli individui, e il patto con Dio.
Ciò che il Male attacca è nemico del Male, dunque è riflesso dello schieramento opposto, ovvero il Bene, gli eletti, stando alla lotta portata avanti dal demonio. Chi subisce un attacco, qualunque posto venga minacciato, come Antonio Bay, deve rispondere positivamente difendendo il proprio territorio, in ogni posto (che diventa fortino assediato), con tutte le proprie forze. Gli eletti vincono perché sono protetti dall’alto, mentre i dannati, i reprobi, soccombono, insieme al Male. Tuttavia in Fog è diverso: vi è sempre una lotta contro il Male (che viene dalla frontiera, come gli indiani del West nell’800, i nemici rossi dei pionieri), Nick Stone e gli altri che lottano si salvano, ma la buona condotta di padre Malone non viene ripagata.
Egli si sente marchiato sin dall’inizio dalla cattiva sorte, si abbatte per la vendetta che viene di notte e, riconoscendo come tale il suo destino, non può che aspettare l’ineluttabile ora mortis. Alla fine vuole immolarsi come sesto uomo per porre fine al massacro, però tenta il possibile restituendo l’oro che appartiene a Blake, sottrattogli dopo la morte.
Non rimane quindi che discutere della scena finale, quando gli spettri sembrano essere andati via e tutto sembra finito, con il prete assassinato dallo stesso capitano del veliero fantasma. Se l’eletto merita di essere salvato, perché allora Padre Malone non si salva?
Chi giostra le carte in tavola ha un solo nome: John Carpenter. Le sue ambientazioni notturne sono componenti necessarie “per raffigurare il ripiegamento su se stesso del sogno americano, vaticinato da Carpenter” (John Carpenter, Fabrizio Liberti, 1997). Il sogno americano è per lui un’ipocrisia. Non esiste più quella libertà degli spazi, la ricerca della Terra Promessa, in cui estroflettere la propria idea di vita. Perché la realtà è altra, vi è un controllo sociale, barriere, una politica rigida. E l’America è cambiata, minacciando la speranza.
Il Male torna verso l’innocenza e l’ingenuità esposta. Antonio Bay rimane isolata e in preda al panico. E la notte dura a lungo. Fog è un film originale e ribalta i modelli classici, facendoci immaginare cosa significhi quasi perdere la speranza e rischiare di darla vinta al Male. Attraversato da notevoli richiami colti al cinema precedente e pienamente collocabile nel solco carpenteriano, rimanendo un importante traguardo realizzato con un budget limitato, resta ancora oggi una pellicola di valore, da tenere stretta.
Di seguito il trailer:
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