Home » Cinema » Sci-Fi & Fantasy » Predator: Badlands, la recensione del film disneyficato di Dan Trachtenberg

Voto: 4/10 Titolo originale: Predator: Badlands , uscita: 05-11-2025. Budget: $100,000,000. Regista: Dan Trachtenberg.

Predator: Badlands, la recensione del film disneyficato di Dan Trachtenberg

05/11/2025 recensione film di William Maga

Il regista trasforma il cacciatore alieno in un eroe empatico e digitale, sacrificando mistero e ferocia in nome della pucciosità

Elle Fanning in Predator Badlands (2025)

Con Predator: Badlands, il regista Dan Trachtenberg tenta il gesto più audace e più controverso della saga Yautja: restituire al cacciatore un cuore. Dopo aver riconquistato pubblico e critica con Prey (2022), l’autore di 10 Cloverfield Lane sembra qui desideroso di portare la creatura iconica del cinema anni Ottanta fuori dal mito del corpo e dentro quello della coscienza. Ma nel farlo, spinge il franchise verso un terreno nuovo e incerto: la favola morale travestita da film di sopravvivenza.

Il protagonista è Dek, giovane Yautja interpretato da Dimitrius Schuster-Koloamatangi, ritenuto troppo gracile per la caccia. Per conquistare il rispetto del padre e il mantello d’invisibilità, simbolo del rango, sceglie una missione suicida: scendere sul pianeta Genna, abitato da flora e fauna letali, e affrontare il leggendario Kalisk, una creatura mai sconfitta.

La cornice iniziale – il duello fraterno, l’espulsione dal clan, la prova di sangue – ha la struttura epica di un racconto iniziatico. Ma appena Dek atterra su Genna, la narrazione si apre a un registro quasi fiabesco: il cacciatore incontra Thia (Elle Fanning), androide Weyland-Yutani priva delle gambe, e il piccolo Bud, un cucciolo alieno che sembra uscito da un manuale Disney su “come costruire una mascotte irresistibile”.

È qui che Badlands rivela la sua natura: non un film di mostri, ma una riabilitazione sentimentale del predatore. Il tono è avventuroso, il ritmo costante, ma la violenza è filtrata da una lente “family friendly”. Niente sangue umano, solo schizzi verdi, scintille robotiche e un’abbondanza di computer grafica. Il film riceve infatti un rating PG-13, scelta che segna la fine del Predator come creatura horror. L’orrore viene sostituito da empatia e ironia, in una versione “per tutte le età” del mito.

Nel primo Predator (1987) di John McTiernan, con Arnold Schwarzenegger, l’alieno era un simbolo di violenza pura, un’entità primordiale che metteva in crisi la virilità machista del cinema d’azione. Il celebre “Se sanguina, possiamo ucciderlo” condensava il terrore e la rivalsa umana.

predator badlands filmTrachtenberg invece ribalta il paradigma: il predatore diventa il protagonista, la vittima è l’ambiente stesso, e la morale è quella della compassione come forma di forza. Un cambio concettuale coraggioso, ma che toglie mordente alla saga.

Il primo limite di Badlands è comunque la sovra-spiegazione. Il film apre con un prologo che illustra lingua, gerarchia e rituali Yautja; poi Thia funge da guida per lo spettatore, spiegando ogni concetto e perfino “decidendo” di parlare in lingua comune “per comodità”. È un segnale di sfiducia: il cinema della caccia, fondato sul non-detto, viene tradotto in didascalia.

Proprio questa tendenza a “parlare al posto delle immagini” porta al risultato di un prodotto che toglie mistero a ciò che era puro enigma. Laddove Prey costruiva tensione sul silenzio e la distanza, Badlands spiega, mostra, addolcisce. È il sintomo della “disneyficazione del trauma”: un processo che trasforma il predatore in un personaggio accessibile, capace di emozioni, utile al marketing.

Dal punto di vista visivo, Badlands è un paradosso: grandioso e impersonale insieme. Il pianeta Genna è ricco d’invenzioni (erbe-lama, vermi acidi, fauna simbiotica), ma la resa digitale lo priva di fisicità. La fotografia artificiale, i fondali di studio e la CGI dominante riducono la percezione del pericolo. Le rare sequenze in ambienti reali – come quella della cascata – mostrano invece quanto basti poco per restituire profondità e corpo all’immagine. È la stessa frattura che divide il cinema analogico da quello algoritmico: Predator (1987) sudava, Badlands luccica.

Il Predator in costume di un tempo, pesante e tangibile, è qui sostituito da una creatura completamente digitale. Trachtenberg, che aveva mostrato un senso tattile in Prey, cede alla patina lucida dello spettacolo Disney-Fox. Il risultato è un universo coerente, ma sterilizzato: la selva primordiale diventa parco tematico.

Inoltre, Trachtenberg costruisce Badlands come una rete di riferimenti pop.

Il modo in cui Dek porta Thia sulla schiena cita esplicitamente L’Impero colpisce ancora (C-3PO e Chewbacca).

Il piccolo Bud, con occhi enormi e comportamento imitativo, è un evidente rimando a Grogu/Baby Yoda di The Mandalorian.

Il linguaggio visivo, saturo e spirituale, riecheggia Avatar di James Cameron.

predator badlands film 2025La presenza della Weyland-Yutani Corporation collega l’universo Predator a quello Alien, preparandone un probabile crossover.

Il film funziona così come contenitore di marchi, non come opera autonoma. L’effetto finale è quello di una saga che, invece di evolversi, si dissolve nel meta-brand Disney, dove ogni creatura deve diventare peluche, ogni dramma deve trasformarsi in morale.

Eppure, tra le pieghe del racconto, resiste una traccia d’interesse. La relazione tra Dek e Thia ricalca la coppia classica del cinema di fantascienza “filosofico”: il selvaggio e il sintetico, l’istinto e la logica. La Fanning, pur costretta a un copione infelice, dona al personaggio un’umanità ambigua, ironica e tenera.

Il film suggerisce che la vera forza non è nella caccia ma nella cura dell’altro – un concetto che rovescia l’etica Yautja e trasforma la brutalità in empatia. Tuttavia, la sceneggiatura preferisce ripetere questa idea anziché incarnarla visivamente. Ogni intuizione viene verbalizzata, neutralizzando l’ambiguità che è da sempre il motore del mito.

Ad ogni modo è giusto riconoscerlo: Trachtenberg resta un regista capace di visione. Ha il coraggio di contaminare il genere con una sensibilità quasi spirituale e di trasformare il Predator in un simbolo di crescita personale. Ma è anche vittima di un sistema produttivo che non gli consente di sporcare l’immagine. Badlands è un film che vorrebbe parlare di ferocia e sacrificio, ma lo fa senza ferirsi mai.

La colonna sonora di Sarah Schachner e Benjamin Wallfisch, possente e carica di atmosfera, regge bene la tensione, e alcune sequenze d’azione – come il duello fraterno o la battaglia con il Kalisk – possiedono un ritmo quasi epico. Tuttavia, l’eccesso di montaggio e la mancanza di sangue vero riducono tutto a esercizio estetico.

predator badlands filmA questo punto sorge la domanda inevitabile: che cosa rappresenta oggi il Predator? Negli anni Ottanta incarnava la paura del corpo e dell’altro, il ritorno del colonialismo come incubo tropicale. In Prey, era ancora una metafora del dominio e della resistenza. In Badlands, invece, diventa immagine della riconciliazione, figura del diverso che impara a essere buono. È un segno dei tempi: l’industria non tollera più la zona d’ombra. Tutto deve essere leggibile, vendibile, empatico.

Il Predator non caccia più: sopravvive per essere amato.

Predator: Badlands non è un brutto film, ma un film “corretto”, costruito per piacere senza turbare. È l’esempio perfetto di un cinema senza rischio, dove ogni spigolo viene limato in nome dell’inclusività e del mercato globale. L’universo di McTiernan e Stan Winston, fatto di sudore, muscoli e fango, è diventato una metafora pedagogica sul valore della gentilezza.

C’è intelligenza, c’è cura visiva, ma manca la fame. Il Predator, una volta simbolo di morte e istinto, ora guarda il cielo di Genna e scopre di avere un’anima. Peccato che, nel frattempo, abbia perso i denti.

Di seguito trovate il trailer doppiato in italiano di Predator: Badlands, nei nostri cinema dal 6 novembre:

l'uovo dell'angelo film
Zachary Quinto e Chris Pine in Into Darkness - Star Trek (2013)
stretta di mano iconica predator film
Sci-Fi & Fantasy

Chien 51: la recensione del film sci-fi francese di Cédric Jimenez

di Sabrina Crivelli

Roschdy Zem e Adèle Exarchopoulos sono i protagonisti di una distopia crime ambientata in una Parigi futuristica, più promettente nei presupposti che soddisfacente nei risultati