Voto: 5/10 Titolo originale: American Fable , uscita: 17-02-2017. Regista: Anne Hamilton.
[recensione] American Fable di Anne Hamilton
20/02/2017 recensione film American Fable di Alessandro Gamma
La regista esordisce con un racconto di formazione ambizioso e allegorico in cui la giovanissima Peyton Kennedy rifulge
L’undicenne Gitty (Peyton Kennedy) ascolta suo padre (Kip Pardue) mentre le dice che il luogo in cui vivono – i terreni agricoli del Wisconsin – è il posto migliore sulla Terra. Più tardi, quando lei gli chiede il motivo per cui non vanno mai a visitare nessuno dei paesi lontani che ha visto sul mappamondo nella biblioteca, un lampo di disagio appare sulla sua faccia. Non ha una risposta, ma la sua espressione va più in profondità. Se lei scegliesse di andarsene una volta grande, sarebbe un rifiuto del suo modo di vivere? Sua figlia è un maschiaccio, partner perfetta di scherzi e indovinelli, crescerà, lo abbandonerà.
L’idea della perdita sfarfalla sul bordo di quel momento di quiete. Queste sono solo due piccole sequenze nel primo film di Anne Hamilton come sceneggiatrice e regista, e sono le basi tematiche di tutta la storia, che si dipana in un paesaggio dalla bellezza, dai colori e dalla stranezza dolente, un vivido Eden sul punto di scomparire. La Hamilton ha creato un’atmosfera surreale e magica per questo melodrammatico thriller per famiglie, ed è l’atmosfera a dominare la scena. La capacità della regista di sostenere l’umore febbrile-sognante stabilito nei momenti in apertura, così come il suo interesse verso i momenti più piccoli trafitti da intima realtà, rendono difficile credere che sia un’esordiente. American Fable è ambizioso, forse anche troppo a volte, ma c’è un intenso piacere nell’audacia stilistica del film, nella sua confidenza con la materia trattata.
Gitty vive nella fattoria di famiglia con il padre, grande lavoratore, la madre in stato di gravidanza avanzata (Marci Miller) e il fratello maggiore Martin (Gavin Macintosh), che si diverte a tormentarla psicologicamente in modo crudele. Siamo negli anni ’80: Ronald Reagan è in televisione, e quella della catastrofica Crisi Agricola del Midwest, durante la quale le multinazionali piombarono come falchi sulle piccole aziende agricole a conduzione familiare sommerse dai debiti, è l’aria che si respira quotidianamente. Gitty assorbe l’ansia dei suoi genitori, sbirciando attraverso le porte nei loro litigi esplosivi. Una donna misteriosa (Zuleikha Robinson), che indossa lunghi guanti di pelle nera e sfoggia un’acconciatura raccolta alla Betty Grable, si avvicina il padre di Gitty alla fiera della contea e gli parla in privato. Il padre sembra conoscere questa donna.
Forze oscure si stanno radunando. Il nucleo familiare è minacciato. Gitty non ha molti amici, ma va bene così, lei ha il suo pollo (di nome Happy) e un’apprezzamento puro della vita. E’ una bambina curiosa. Quando suo padre le dice di stare lontana da un silo abbandonato ai margini di un campo nella proprietà, non può fare a meno di andarci. Sguscia fuori per indagare, e vi trova un uomo chiuso dentro. Poiché l’intero film è girato dal punto di vista di Gitty con pochissime deviazioni, in un primo momento non è così evidente se l’uomo nel silo sia reale oppure no. Sussurra la sua urgenza di essere lasciato libero. Lui le dice che le concederà tutto quello che desidera, se lei lo aiuterà. Egli è in parte un troll e in parte un Genio / fata-padrino. La sua disperazione è palpabile. E’ interpretato dal meraviglioso Richard Schiff, e, mentre la storia di quest’uomo si rivela, con Gitty che si avvicina a lui durante le sue visite segrete, egli spalanca le tenebre site nel cuore della famiglia, i profondi disturbi che minacciano di farla a pezzi, trascinarli tutti nel baratro.
La Hamilton, e il direttore della fotografia Wyatt Garfield, inzuppano American Fable in stranezza, bellezza, ombre e colori profondi, angoli di ripresa angosciati, di surreale che filtra nel quotidiano (la regista si è fatta le ossa con Terrence Malick durante The Tree of Life e mostra una sensibilità affine per la natura e i diversi tipi di luce). Anche nella fase iniziale, prima dell’uomo nel silo, prima della donna coi guanti, è ovvio che nulla sia esattamente al suo posto in questo mondo. Una normale cena in famiglia detona in scene di tensione, con la telecamera che fa capolino da sotto il tavolo. Con la prima sequenza, che mostra Gitty farsi strada attraverso schiere torreggianti di mais, American Fable annuncia le sue intenzioni. Si tratta di una “fiaba”, dopo tutto.
Una bambina va contro forze tanto intimidatorie e compatte quanto le piante di mais che si estendono a perdita d’occhio. Il senso di terrore di Gitty si manifesta tutto intorno a lei. Una figura misteriosa su un cavallo nero appare vicina all’orizzonte, mentre attraversa i campi, gironzolando intorno all’abitazione. Qualcosa sta arrivando per questa famiglia. Forse questa famiglia lo ha condotto a sé. Lo scenografo Bret August Tanzer ha reso la casa colonica un luogo terrificante e magnifico. Le pareti sono di un verde intenso, i mobili rossi, la notte brilla attraverso le finestre fredde e blu. Questa non è la quotidiana fattoria nel cuore dell’America. Si tratta di uno scenario da incubo emotivo.
La giovane Peyton Kennedy è una rivelazione. Quando suo padre le racconta una storia della buonanotte (la bambina ne ha chiesta una spaventosa), lei lo ascolta con partecipazione e humor, con piccoli commenti e risate, e il suo comportamento è così naturale da trascinare quelle scene – e il loro rapporto – nel mondo reale, in contrapposizione a una versione sentimentalizzata che abbiamo visto molte volte prima. Nel corso del film la Kennedy, che è in ogni scena, deve passare da innocente a esperta, dall’oblio alla conoscenza. Offre una prestazione adulta nella sua comprensione di quel doloroso arco tipico del coming-of-age.
American Fable mostra il suo simbolismo con orgoglio, nella maniera in cui i racconti a volte lo fanno. I simboli non hanno però la risonanza che alcune delle singole immagini create dalla Hamilton hanno: Gitty penzolante da una corda, circondata dalle pareti scure del silo; alcuni bambini che catturano lucciole di notte in grandi vasi di vetro; una sequenza di sogno realmente inquietante; i colori all’interno della fattoria, l’espressione sul viso della madre di Gitty quando la piccola le chiede se Dio li ami davvero. Questi sono i momenti che rimangono impressi, che persistono una volta che la pellicola finisce. Sono le immagini della Hamilton – più della trama, più dei simboli – che raccontano la storia.
American Fable è un’elegia di uno stile di vita ormai quasi scomparso, una fantasmagorica concezione di come un evento realmente avvenuto come la crisi agricola possa essere – e soprattutto sembrare – se visto dagli occhi innocenti di un bambino intelligente. Il sentimento della perdita pulsa attraverso ogni fotogramma. Si tratta di un debutto estremamente interessante.
Di seguito il trailer ufficiale di American Fable:
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