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Voto: 7/10 Titolo originale: The Sisters Brothers , uscita: 19-09-2018. Budget: $38,000,000. Regista: Jacques Audiard.

I fratelli Sisters | La recensione del film western di Jacques Audiard

12/09/2018 recensione film di William Maga

Il regista francese si cimenta con il genere western, scegliendo Joaquin Phoenix, John C. Reilly, Riz Ahmed e Jake Gyllenhaal come protagonisti del suo ritratto dell'America in agrodolce, sospeso tra il peso del passato e l'utopia di un futuro impossibile

John C. Reilly and Joaquin Phoenix in The Sisters Brothers (2018)

Presentare Jacques Audiard non dovrebbe essere necessario, in quanto la sua filmografia parla già sufficientemente per lui. Dopo la Palma d’Oro vinta a sorpresa nel 2015 con Dheepan – Una nuova vita, torna ora sulle scene con I fratelli Sisters (The Sisters Brothers), un progetto che fa registrare diversi primati. Si tratta infatti del primo film in lingua inglese per il regista francese, infarcito di star americane, ma è segna anche la prima collaborazione con il direttore della fotografia belga Benoit Debie (fedelissimo di Gaspar Noé).

Già sulla carta quindi, le premesse di questo adattamento per il grande schermo del romanzo storico Arrivano i Sister di Patrick deWitt erano sufficienti a solleticare la curiosità e suscitare grandi aspettative. E se qualcuno in Francia si aspettava di vederlo presentato a Cannes, è stata la Mostra del Cinema di Venezia a concedergli gli onori della prima mondiale, inserendolo nel concorso principale e lasciando intendere che la produzione, con questa scelta, stia puntando seriamente agli Oscar.

Notte fonda. Avvolto nell’oscurità totale, un uomo urla e, subito dopo, alcuni spari esplodono nell’aria. Lo scambio di proiettili avviene tra quelli che stanno all’interno di una casa e gli uomini che la stanno attaccando per qualche ragione. Lo schermo è nero, illuminato soltanto dai lampi delle pistole. Una sequenza sublime, già iconica e che soprattutto dichiara subito il tono impresso a I fratelli Sisters. Difficile non prevedere che l’incontro tra Jacques Audiard e Benoit Debie avrebbe fatto scintille, e fin dall’inizio i due decidono infatti di mettere bene in chiaro il livello tecnico della pellicola che andremo a guardare, che è naturalmente altissimo, asciutto ma aggraziato.

Dopo la sparatoria, i due fratelli del titolo si divertono a contare il numero di persone uccise da ciascuno. Uno ha chiaramente il sopravvento sull’altro. Spaccone, più violento, capace di estrarre la sua Colt più rapidamente. Il suo nome è Charlie (Joaquin Phoenix) e, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, è il più giovane. Il maggiore, Eli (John C. Reilly), ha una buona reputazione, che Charlie non ha. E’ anche più meditativo e intende in un futuro non troppo lontano mollare questa faticosa vita da killer a pagamento.

Sono stati incaricati dal Commodoro (Rutger Hauer) di trovare un cercatore d’oro, il chimico Hermann Warm Kermit (Riz Ahmed), che avrebbe messo a punto una tecnica infallibile per trovare con poco sforzo il prezioso minerale nei corsi d’acqua della California. Ad aiutarli nell’impresa c’è un investigatore privato, John Morris (Jake Gyllenhaal), incaricato di trovarlo e di farselo amico senza destare sospetti, in attesa che i fratelli li raggiungano e carpiscano – in qualunque modo – le informazioni e la formula ‘magica’ da riportare al loro capo.

Essendo un western, ci si potrebbero / dovrebbero immaginare uomini silenziosi, tormentati dal peso della violenza che sono in qualche modo obbligati ad elargire quotidianamente in quelle terre selvagge. Invece no. Da una parte abbiamo Charlie ed Eli Sisters, che sono loquaci, discutono dei loro obiettivi, del loro passato e, di fatto, dell’opposta visione della loro esistenza. All’altra estremità del percorso c’è invece il duo formato da Morris e Kermit, che contamina la storia di utopie socialiste prima del tempo. Questa è la storia raccontata, in un primo momento focalizzata su un rapporto fraterno con le relative tenerezze e le difficoltà, che si evolve verso un’inaspettata alternativa di vita per dei personaggi che non hanno mai conosciuto altro che violenza, tramandata dal padre (manesco e alcolizzato) ai figli.

È in questo polveroso solco che, con noncuranza, Jacques Audiard tratteggia il suo ritratto dell’America (antica e moderna), quella abitata da bambini che pensano sia sempre la mattina di Natale e che prendono ciò che vogliono perché possono, senza preoccuparsi delle conseguenze. La missione è un pretesto per far evolvere i protagonisti. Ognuno di loro dovrà mettere in discussione le sue idee, i suoi pensieri, la propria sensibilità. È un percorso progressivo, ma inizia dal primo minuto di I fratelli Sisters. I quattro a un certo punto inevitabilmente si incontrano, ed è lì che deflagra lo sconvolgimento definitivo delle loro esistenze. Chi si aspettasse qualcosa alla fratelli Coen o alla Quentin Tarantino potrebbe rimanere deluso.

Le sparatorie e le risse non mancano, così come una certa dose di umorismo e specialmente di cinismo. Audiard però fa crescere la tensione e l’impulso di scoprire cosa accadrà, prima di restituire al pubblico un piatto che riserva una pietanza differente. Non si tratta di colpi di scena in senso stretto, quanto più di una struttura narrativa perfettamente architettata. Anche la descrizione e l’utilizzo dei paesaggi attraversati, tra distese, pianure e montagne è funzionale allo stato d’animo dei suoi personaggi.

Allo stesso modo Kermit è fondamentale, in quanto intende convincere Morris del valore assoluto del concetto di condivisione, di una società scevra di brutalità, dove le uccisioni non sono necessarie. Anche lui ha però estremo bisogno dell’oro per poter concretizzare il suo sogno.

Così, per trovarlo più velocemente – e in modo più efficiente rispetto a picconi e setacci -, veicola un doloroso promemoria del concetto di produttività inculcato dal capitalismo selvaggio che caratterizza da sempre gli Stati Uniti: inquinerà i corsi d’acqua intatti e vedrà la sua stessa pelle abrasa dall’intruglio miracoloso.

Dietro a queste piccole storie intime, si nasconde quindi un dipinto – visto da un europeo – dell’America del passato e del presente. Spingersi sempre più lontano e cercare di impiegare le migliori tecniche possibili, indipendentemente dalla sventura di chi ti sta intorno e dal forse irreversibile impatto sull’ambiente circostante. Il dettaglio sui pesci e sulla fauna del bosco morti è assai esplicito in questo senso.

Ma i fratelli Sisters sono allo stesso tempo l’esempio che anche i cuori più corrotti potrebbe un giorno cambiare, questa è la vera utopia del regista francese. La sequenza finale, che è un clamoroso – e forse non condivisibile – ritorno alle origini pure e semplici, quando tutto il resto è andato in malora, è ancora più sconvolgente. I piani sono pensati in modo tale che includano in sé stessi il passare del tempo, come ad esempio avveniva in A Ghost Story – Storia di un fantasma di David Lowery o in Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, e tutto finisce avvolto da una rassicurante dolcezza.

Di seguito il trailer di I fratelli Sisters: