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Recensione libro + intervista | Guida al cinema di arti marziali di Stefano Di Marino

21/05/2019 news di Alessandro Gamma

Dal cinema degli Shaw Brothers a Iko Uwais, passando per Bruce Lee e Jean-Claude Van Damme, un volume che ripercorre l'evoluzione e la storia di un genere che affascina ancora oggi

Chi da piccolo non ha almeno una volta sognato di sconfiggere i cattivi grazie a possenti calci volanti e a colpi ben assestati di karate o di qualche altra non ben compresa arte marziale vista sul grande schermo? Se è vero che Bruce Lee è ampiamente considerato colui che ha ‘sdoganato’ presso il pubblico occidentale il cinema di arti marziali, è anche vero che prima e dopo di lui sono stati – e sono ancora – moltissimi gli interpreti che si sono cimentati, con più o meno successo, con questo genere.

Ci pensa allora l’esperto Stefano Di Marino con la sua Guida al cinema di arti marziali (Ed. Odoya, 352 pagg. 22 euro) a mettere ordine in questo calderone di titoli, attori (orientali, ma anche europei e americani) e vicende produttive dagli esordi sino a oggi, passando per gli apici degli anni ’60 e ’70, cercando di far capire al lettore come un fenomeno “di genere” abbia in realtà allargato la sua influenza a tutto il cinema d’azione, anche – e specialmente – hollywoodiano.

van damme kickboxerUn volume che si presta quindi a diversi interlocutori, dai più ‘esperti’ che maneggiano da anni il cinema di Kung Fu degli Shaw Brothers, tanto caro a Quentin Tarantino ma ancora conosciuto da una nicchia (anche perché non esattamente ben distribuito in home video in Italia), a chi invece è cresciuto negli anni ’80 e ’90 coi film di Jackie Chan, Chuck Norris, Jean-Claude Van Damme o Jet Li. Senza dimenticare mitiche figure femminili come Cynthia Rothrock. E se il cinema di Hong Kong viene prevedibilmente privilegiato, vista la sua indubbia portata storica, Stefano Di Marino non si tira certo indietro quando bisogna andare ad approfondire cinematografie ‘esplose’ anche dalla nostre parti relativamente di recente, come quella coreana, indonesiana (con Iko Uwais) e thailandese (con Tony Jaa).

Insomma, un compendio corposo che – avvalendosi anche di moltissime immagini (in bianco e nero) – cerca di condensare aneddoti, curiosità e fatti legati a doppio filo con film illustri o dimenticati, commentando le imprese degli eroi protagonisti e la visione – più o meno autoriale – dei relativi registi, arrivando a toccare anche le produzioni destinate ai ragazzi legate al mondo dei videogame e alcune serie televisive.

Abbiamo avuto il piacere di parlare di Guida al cinema di arti marziali direttamente con l’autore, Stefano DI Marino, approfondendo i motivi che lo hanno portato a pubblicare questo volume.

the-raid-2-ikoQuando hai capito che sarebbe stato il momento di rimettere mano a Dragons Forever?

Quando mi sono accorto che ancora il cinema marziale produceva cose interessanti e innovative, parlo soprattutto degli indonesiani ma anche dei biopic di HK. In realtà avrei cominciato a riaggiornarlo sin da subito. Se anche si considera il cinema marziale un fenomeno degli anni ’70 e ’80 il genere è cambiato, si è contaminato ed è stato sviluppato in molti paesi come la Corea e il Giappone con formule differenti

Quali sono le più marcate differenze con quel volume?

C’è stata una revisione generale, alcuni capitoli si sono sdoppiati. Poi c’è una maggior cura per i dati (titoli originali, produzioni) e nei capitoli finali si arriva sino a oggi. E, diciamolo, l’apparato iconografico è decisamente superiore.

Quanti film hai visto – e/o rivisto – nel frattempo dal 2007 a oggi?

Moltissimi, difficile tenere il conto. I classici li rivedo un po’ tutti. Adesso ho recuperato anche l’uso del VHS e posso rivedere una collezione di film che comprai allora a Hong Kong o a Londra che non sono mai usciti in DVD, come God of Gamblers di Wong Jing. Ne ho più di trecento. Poi tutta la roba nuova che in Italia esce raramente ma si trova sul mercato inglese e francese.

shaw bros filmCosa ti ha spinto a ‘rivalutare‘ la produzione di Hong Kong?

Da ragazzino mi piacevano tutti, poi ero arrivato a considerare solo Bruce Lee e affini. In realtà la passione si è riaccesa nel 1994, quando ho avuto modo di vedere i primi lavori di John Woo, che non era marziale, ma mi spinse a recuperare una enorme quantità di film che allora uscivano in Francia, in Inghilterra e in Asia. Da lì, rivedendoli ho capito quanto ci eravamo persi e soprattutto il modo diverso di filmare. Parlo di scene marziali interpretate da veri esperti. Anche se i vecchi Wang Yu erano buoni, lui, non era un marzialista e si vede. Poi, malgrado la preponderanza dell’azione, recuperando gli originali e non le copie tagliate in italiano, erano anche delle belle storie. Qui da noi pensavano che la gente volesse vedere solo le botte e tagliavano in maniera dissennata i film.

Dimmi qualcosa sulla grande importanza che rivestono le figure di Bruce e Brandon Lee (in Guida al cinema di arti marziali e per te)

Bruce Lee è un punto di riferimento dal quale non si può prescindere. È l’immagine stessa del cinema marziale nel mondo. Per me che studio anche storia delle arti marziali rappresenta l’innovazione a livello tecnico, parlo di interdisciplinarietà, che era un concetto ignoto alle scuole tradizionali. E pensare che Bruce Lee praticava uno stile che era il contrario di quello che faceva sullo schermo, e che era studiato per la spettacolarità. Brandon Lee era molto bravo, più come attore che come marzialista. Credo volesse staccarsi dalla figura di suo padre e forse con Il Corvo ci era riuscito. Mi piacerebbe sapere come sarebbero ora Bruce e Brandon. Un po’ i Charles Bronson orientali …

Di seguito il trailer internazionale di I 3 dell’Operazione Drago del 1973:

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