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Voto: 7/10 Titolo originale: Isle of Dogs , uscita: 23-03-2018. Budget: $62,770,198. Regista: Wes Anderson.

L’Isola dei Cani | La recensione del film di Wes Anderson

28/02/2018 recensione film di William Maga

Il regista americano ritorna alla stop-motion per un coming of age 'giapponese' bello alla vista e stratificato nei suoi significati più o meno superficiali

l'isola dei cani anderson film 2018

Tornando all’animazione in stop-motion che ha reso Fantastic Mr. Fox del 2009 un successo tanto amato, l’ultima fatica di Wes Anderson è una vera delizia per gli amanti dei cani e del cinema più in generale. Summa del suo stile, L’isola dei Cani (Isle of Dogs) è quel tipo di film che solo un regista come lui poteva realizzare. Pellicola d’apertura della Berlinale 2018, sta facendo ulteriormente parlare di sé per essersi aggiudicata il prezioso Orso d’argento.

Wes Anderson inizia il film con una sorta di ‘mito della creazione’, raccontando attraverso un arazzo il grande scontro avvenuto tra i cani e le autorità amanti dei gatti, e dell’unico ragazzo che ha lottato per salvare i migliori amici dell’uomo. Una narrazione veloce e arguta, che lascia intuire come potrebbe apparire una storia delle origini di un supereroe affidata al regista di Houston. Saltiamo quindi 20 anni nel futuro, dove tutti i cani sono gravemente malati, una situazione che spinge il demagogo Sindaco Kobayashi (Kunichi Nomura) della città di Megasaki a bandirli dall’area metropolitana e segregarli in un’isola desolata, chiamata Trash Island.

Tuttavia, suo nipote, un ragazzino di nome Atari (Koyu Rankin), è determinato a riprendersi il suo adorato cane, Spots (Liev Schreiber), e – sfidando la legge – sorvola l’isola, finendo per schiantarcisi. Lì, si imbatte in un variegato gruppo di cani malconci – Chief (Bryan Cranston), Rex (Edward Norton), Boss (Bill Murray), Duke (Jeff Goldblum) e King (Bob Balaban) – che decidono di aiutarlo nel suo viaggio alla ricerca dell’amico.

La tecnica a passo uno è perfetta per Anderson, in quanto gli consente di controllare ogni aspetto della sua creazione. Come facile intuire, non c’è una sola inquadratura sprecata qui – ciascuna è utilizzata per far avanzare la trama, mostrare qualcosa di nuovo, o sviluppare un personaggio. Distribuendo le sue consuete panoramiche rapide, le carrellate e la composizioni accuratissime, il filmmaker riafferma – prendere o lasciare – il suo status di artista americano tra i più riconoscibili e raffinati. I cani stessi sono resi in modo sorprendentemente tattile, sembrando vivi mentre il loro pelo si muove col vento.

E sono ideali per lo stile del regista, perché i loro volti sono completamente simmetrici, caratteristica che gli permette di fissare dritto il fuoco della macchina da presa. Come i precedenti film di Anderson, L’Isola dei Cani è intriso di storia cinematografica ed è stato realizzato come un sentito omaggio al cinema giapponese, anche se il primo paragone potrebbe essere coi lavori della Laika o della Aardman Animations. Sebbene ci siano alcuni primi piani alla Yasujirō Ozu e alcuni temi musicali composti da Alexandre Desplat (con gli iconici taiko) – e i poster promozionali -rimandino direttamente ai classici di Akira Kurosawa (come palesato candidamente da Anderson stesso), il rimando forse più nascosto in bella vista è quello ad Hayao Miyazaki.

Come nei migliori titoli del maestro dell’animazione nipponica, qui trovano spazio il silenzio e la contemplazione, brevi spaccati che vengono costantemente utilizzati per rendere questo mondo davvero unico. Con il precedente lavoro, Grand Budapest Hotel (2014), Anderson aveva già dimostrato di essere un esperto nella creazione di mondi fantastici, e con L’Isola dei Cani è riuscito sicuramente a immaginare uno degli universi animati più affascinanti dai tempi di Il Castello Errante di Howl (2004). Dopo aver ambientato film in luoghi così diversi come l’India, l’Europa centrale e il Giappone, nessuno potrà immaginare ora dove si potrà spingere nei prossimi anni, magari sulla Luna!

In definitiva, la raffigurazione che fa questo lungometraggio della cultura e del cinema nipponici è rispettosa e amorevole (merito anche dei production designer Adam Stockhausen e Paul Harrod), ricorrendo alla fantasia della stop-motion per rendere freschi e divertenti cliché spesso abusati come quelli degli incontri di Sumo. La storia poi aggira i possibili ostacoli dovuti alla traduzione dei dialoghi in un modo unico (almeno nella versione originale), mettendo subito lo spettatore a conoscenza che la trama generale sarà tradotta attraverso gli interpreti, mentre i latrati dei cani stessi saranno doppiati in inglese, con la voce di Atari che invece rimane non doppiata e incomprensibile.

Di conseguenza, L’Isola dei Cani dovrebbe avere un forte appeal incrociato e trovare una buona accoglienza anche nei mercati dell’Estremo Oriente. Come sappiamo, specialmente gli ultimi film di Wes Anderson erano stati caratterizzati soprattutto da una grande attenzione per la trama, a volte più preoccupati delle meccaniche narrative che della costruzione dei protagonisti.

Anche questa volta, essendoci sul campo parecchi giocatori, alcuni spunti restano in sospeso – tra cui le sottotrame romantiche – e forse avrebbero potutiti essere costruiti un po’ di più. Le attrici femminili di supporto come Scarlett Johansson (Nutmeg) e Tilda Swinton (L’Oracolo) sono piuttosto sottoutilizzate, rendendo il coming of age una sorta di avventura per soli maschi. Nondimeno però, Greta Gerwig (Tracy) spicca nei panni della bionda studentessa gaijin fervente attivista e Frances McDormand fa un brillante lavoro come traduttrice delle conferenze stampa ufficiali del sindaco, prestandosi a divertenti digressioni davanti alla telecamera.

Facilmente, l’arco migliore del film appartiene a  Chief, un randagio che non è mai stato bravo nel fare ciò che gli veniva detto. Dimostra che i cani sono violenti soltanto quando non sono trattati benevolmente, e che la loro reazione avversa è in genere una risposta diretta alla paura. Quando si tratta un cane nel modo giusto, questo diventa infinitamente adorabile, rendendolo specchio dell’umanità. Attraverso la parabola di Chief, L’Isola dei Cani trova il suo amorevole cuore e il film offre la sua scena migliore e più straziante.

Naturalmente, a un livello meno fanciullesco, nella raffigurazione di un’intera specie (razza?) emarginata e spedita senza fronzoli su un’isola lontana e inospitale, questa pellicola si apre a svariate e non troppo celate letture allegoriche. Senza contare i riferimenti a totalitarismo, anti-intellettualismo e (non) libertà di stampa.

Ciò che non fa è legarle a un qualsiasi – ovvio – evento politico attuale, mantenendo così la sua aria di assolutezza e atemporalità. Il messaggio più urgente è semplice, e piacerà a grandi e piccini: trattate gli animali con gentilezza e difendete ciò in cui credete, anche quando siete soli contro tutti.

Niente di rivoluzionario, ma che funziona bene grazie alla sua presentazione idiosincratica. Nonostante la facciata, che molti detrattori più o meno giustamente attaccano, Wes Anderson è un cineasta molto umano. Sempre alla ricerca del Bene nelle persone – o nei cani in questo caso (non è chiaro invece cosa pensi dei gatti …) -, le sue opere si scagliano contro la crudeltà dell’uomo, rendendolo una delle voci più importanti del panorama hollywoodiano contemporaneo.

Di seguito il trailer italiano di L’Isola dei Cani, che uscirà nei nostri cinema solo il 17 maggio: