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[recensione] Mark of The Witch di Jason Bognacki

20/12/2016 news di Sabrina Crivelli

Ambizioso negli obiettivi ma troppo pasticciato nella realizzazione, questo horror cade nell'eccesso di ermetismo e pretenziosità

Visionario almeno quanto il lynchiano INLAND EMPIRE, Mark of The Witch di Jason Bognacki cerca di replicare la medesima complessità visiva come narrativa, ma non riesce del tutto nell’intento. Certo, le ambizioni sono altissime, la diegesi è impostata su più piani temporali e spaziali, che alternano passato, presente e un tempo antico, realtà e onirico, tuttavia sussistono alcune lacune nella strutturazione degli stessi come nello svolgimento e, soprattutto, si ha quasi la sensazione che gli inserti visivi di varia natura, vengano collocati a caso nel tessuto filmico più per creare una sensazione di stupore e per manierismo, che con una reale funzione semantica o simbolica, ossia per costruire un coerente iter di significazione.

MARK OF THE WITCHI primi dieci minuti sono del tutto assurdi sia come carattere dell’immagine, che in quanto a sviluppo della storia. Assolutamente e volutamente non lineare, il fotogramma è continuamente al centro di fenomeni ottici altamente disturbanti, lenti troppo aperte e luci colorate concorrono a un effetto di fluorescenza continua, movimenti di macchina troppo veloci non catturano mai in maniera limpida il soggetto, la frammentarietà delle singole sequenze, ciascuna in lidi e con personaggi molto differenti, ha il sapore di totale anarchia. L’ouverture, magniloquente, conduce lo spettatore in quello che pare un sabba, streghe e figure corvine, incappucciate, si affastellano intorno a un neonato. Stacco. Una ragazza celebra il suo compleanno, il dialogo si fa marcatamente surreale, una donna infine si pianta un coltello nel ventre, poi una sinistra apparizione, sempre di cappa munita farfuglia parole incomprensibili e graffia la festeggiata. Il carattere delle riprese è talmente oscuro ab initio e la trama talmente sibillina, da risultare disturbanti, non poiché ansiogeni, o almeno non solo, ma perché una simile concentrazione risulta fastidiosa a livello visivo e troppo approssimativa nella realizzazione perché un’impalcatura così difficile da gestire possa realmente funzionare.

the-mark-of-the-witch-posterDi continuo emergono numeri, lettere e oscuri rituali, in un assemblage iconico più da cinema sperimentale che narrativo, tra sfocato e stroboscopico, l’inquadratura è sovente fuori fuoco, il racconto è fuori fuoco. Indiscutibile è invece la coerenza con il punto di vista allucinato della protagonista Jordyn (Paulie Redding): la sua percezione distorta è tradotta nella qualità del girato e della diegesi. Tuttavia, con una quasi totale assenza di dialoghi, è un film tanto concettuale, o meglio concettuoso, da divenire ermetico e autoreferenziale. Ad aumentare la pretenziosità dell’insieme si aggiunge una recitazione marcatamente espressionista da parte della Redding che, però, purtroppo è piuttosto a inespressiva e dalla dizione fastidiosa, conferendo alla maggior parte degli scambi verbali una sensazione di posticcio. Esempio perfetto è quello con la misteriosa suora, che sembrerebbe essersi presa cura di lei e prima di lei di sua madre; la donna le svela che non che quest’ultima non è morta, ma l’ha abbandonata perché non sopportava di vederla affrontare il medesimo destino a cui è stata condannata lei stessa: il fornire le proprie umane spoglie per la reincarnazione di una strega. La giovane replica urlante, la mimica non la supporta più di tanto nel trasmettere allo spettatore il profondo travaglio interiore, vuole strenuamente sapere chi siano i suoi genitori. Le viene data una collana appartenuta alla madre, escamotage per mostrare le sembianze materne, aspetto necessario per i futuri sviluppi, per ora in parte ancora ammantati dal mistero.

In Mark of The Witch i parchi mezzi a disposizione sono usati nel modo più pretenzioso possibile e, seppur si apprezzino fantasia, sperimentazione linguistica ed ermetismo, la τέχνη malauguratamente non supporta per ora gli altissimi traguardi a cui si mira, ma certo viste le ambizioni Bognacki (di cui questo è solo il secondo lungometraggio) è un regista da tenere d’occhio; con l’esperienza e la pratica potrebbe arrivare una pellicola davvero stupefacente…