Voto: 5/10 Titolo originale: Conan the Destroyer , uscita: 29-06-1984. Budget: $18,000,000. Regista: Richard Fleischer.
Recensione (per me, è no): Conan il distruttore di Richard Fleischer
14/09/2020 recensione film Conan il distruttore di Marco Tedesco
Nel 1984 Arnold Schwarzenegger - affiancato da Grace Jones - tornava a vestire i panni del nerboruto barbaro in un'avventura fiacca e senza la carica ideologica del primo film
Conan, il barbaro nato dall’immaginazione del texano Robert E. Howard, era stato eletto con il primo film diretto nel 1982 da John Milius a eroe fantamitologico. Pirata o soldato, mercenario o imperatore, sempre portavoce della volontà e dell’anarchia come bandiera della libertà assoluta, Conan con un solo titolo di grande successo al botteghino (oltre 68 milioni di dollari in tutto il mondo) era ridiventato, dopo anni di oblio, il bruto rilanciato negli anni Sessanta dalle ristampe dei libri dello scrittore morto suicida nel 1936, dalla nascita dei club disseminati in tutti gli Stati Uniti col suo nome e, in seguito, dalle illustrazioni del popolare disegnatore Frank Frazetta.
L’immagine che il lungometraggio di John Milius aveva dato di Conan era apparsa perfettamente in linea con le idee di Robert E. Howard, grande lettore di Jack London e Rudyard Kipling; con l’iconografia offerta dall’artista nato a Brooklyn dell’oggetto di culto dal fisico superculturista, un vero ‘macho’ e leader; con la mescolanza di apocalisse e medioevo, zen e guerra fredda, miti antichi e fantascienza.
Ebbene, appena due anni dopo, nel 1984, bisognava dimenticare tutto questo andando a vedere nei cinema Conan il distruttore (Conan the Destroyer), secondo capitolo di una potenziale saga diretto questa volta da Richard Fleischer, eclettico professionista classe 1916 già alla regia di piccoli classici come 2022: i sopravvissuti e Viaggio allucinante.
In questo ambiguo prodotto da 18 milioni di dollari di budget, voluto fortemente da Dino De Laurentiis, il nerboruto protagonista finisce per deludere i neo fan del protagonista dell’era post atlantidea chiamata Hyboriana e non può che spegnere l’entusiasmo degli spettatori più sognatori, diventando un semplice scialbo eroe del mondo fantasy, un altro qualsiasi prim’attore dell’allora sfruttatissimo filone ‘sword & sorcery’.
Tra effetti speciali a medio costo, scenari naturali e artificiali da fumetto immaginifico, amici e nemici di regioni come la Cimmeria, la Corinthia o Hyperborea, Conan va in cerca di un corno magico e tenta di portare a termine una sfilacciata avventura a fianco di una fragile principessa, di uno scalcagnato mago che sfida i ‘colleghi’ a colpi di incantesimi come fosse in un vecchio film di Roger Corman, di un giullare e ladro, di un ambiguo capo delle guardie e di una splendida donna guerriera.
La storia scritta da Roy Thomas e Gerry Conway è una qualsiasi avventuretta nata da una banale fantasia. Soltanto negli scenari del bianco deserto del Messico, nel fisico scultoreo di Arnold Schwarzenegger, simbolo di potenza virile, nella sua determinata sete di vendetta è ancora possibile riscontrare qualche elemento della barbarie ferrigna del primo capitolo.
Le singole immagini, gli stereotipi falsamente fedeli, il kung fu, la nobiltà degli eroi alla Akira Kurosawa, i fumetti, le fantastorie di J. R. R. Tolkien, e la felice invenzione della guerriera di colore Zula, interpretata con plastica presenza dalla cantante Grace Jones, non bastano però a salvare Conan il distruttore, un film che risulta così vecchio nello stile, datato nel gusto e totalmente privo di quella carica di ironica provocazione che aveva reso popolarissima tra i giovani la storia dell’iniziazione eroica, avventurosa e mistica del personaggio.
Richard Fleischer, sconfessando il suo predecessore, sceglie qui la strada dell’ironia, largheggiando in intermezzi grotteschi, spingendo il pedale del fantasy e spogliando Conan di ogni ideologia neo-barbara. Così facendo, il protagonista viene ridotto a una montagna di muscoli senz’anima, un bietolone che fa la faccia cattiva per non mettersi a ridere. Complice il contesto alla mago Merlino che gli sceneggiatori gli hanno cucito addosso, o forse della banalità disarmante della sceneggiatura, non si può che rimpiangere lo stile
vigoroso di John Milius.
Deludenti sono anche i trucchi, i mostri e gli dei ‘di pezza’ di questo pasticciato prodotto infarcito di incantesimi e trabocchetti e fotografato senza estro da Jack Cardiff (Scarpette rosse, Narciso nero) e interpretato dal comunque appropriato, e però malamente sfruttato, Arnold Schwarzenegger, dall’ex campione di basket Wilt Chamberlain e da una delle tante star televisive di Fal con Crest, Sarah Douglas.
Il fatto è che l’originario Conan apparteneva tutto intero alla filosofia, all’idea di cinema, alla cultura dell’allora quarantenne regista di Un mercoledì da leoni e Alba rossa e, anzi, ne rappresentava quasi la sublimazione.
Simbolo dì una nuova morale pagana, espressione di un’etica superiore (?) che rimette l’individuo — selvaggio, predatore ma anche poeta — al di sopra di tutto, quel guerriero immerso in una mitica era hyboriana era per il “fascista zen” John Milius un concentrato di virtù superomistiche da sbattere in faccia alla “flaccida decadenza del tempi di pace” (parole sue). Insomma, un kolossal d’avventura tutto duelli e cavalcate, ma anche evocazione per niente ingenua di una nuova era crudele e bellicosa “in cui l’azione non sia più frenata dal pensiero”.
Conan il distruttore, desessuato e ingentilito, è invece solo una pasta d’uomo, costretto a menar le mani ‘per contratto’. Fa tenerezza e un po’ pena, ma peggio avrebbe saputo fare 30 anni più tardi Conan the Barbarian (il nostro approfondimento)
Di seguito una scena clou di Conan il distruttore:
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