Titolo originale: German Angst , uscita: 24-01-2015. Regista: Andreas Marschall.
Recensione story | German Angst di J. Buttgereit, M. Kosakowski e A. Marschall
13/09/2020 recensione film German Angst di Antonio Salfa
Il film tedesco a episodi del 2015 si rivela un magico scrigno visivo estremo fatto di brutalità, sesso e piante fin troppo magiche
Tre episodi, tre condensati di violenza e allucinazioni ci catapultano direttamente nel cuore di German Angst, film presentato in prima mondiale al Festival di Rotterdam nel 2015. In tutti e tre i segmenti non resta spazio per indugi ed elucubrazioni: il primo, intitolato Final Girl e diretto da Jörg Buttgereit (Nekromantik), ci rivela subito quale sarà il mantra principale dell’opera nel suo insieme, la vendetta come forma catartica di liberazione, messa in risalto qui da un’inquietante ragazzina piena di rancore verso uno sconosciuto che, per sua sfortuna, si trova proprio nella stessa casa con lei.
Resterà compito dello spettatore capire se – e come – questa violenza sia idealizzata oppure motivata (qui, come anche negli altri due, si gioca molto sulla funzione illusoria delle azioni), quanto sia inutile l’odio e allo stesso tempo quanto sia vano pensare di poter invertire questo sentimento, di poterlo traferire, trasformare, fino a far diventare il carnefice una vittima e viceversa.
Questo tema si riversa ancor di più nel secondo episodi di German Angst, Esprimi un desiderio di Michal Kosakowski (Zero Killed), in cui una spensierata coppia di polacchi incontrerà un gruppo di moderni drughi pronti a tutto pur di difendere la loro nazione. Lungo la pellicola si dirama un forte senso di simbolico ed esoterico, messo in evidenza dal magico amuleto che ribalta i ruoli, oppure dall’incantata piastrina che dà accesso a misteri e piaceri mai provati all’interno della sfera sensibile umana, piastrina che caratterizza interamente il terzo e conclusivo segmento di questa antologia, Alraune di Andreas Marschall (Lacrime di Kali), evidentemente il migliore dei tre, sia per struttura che per trama.
Mentre nei primi due capitoli le storie reggevano principalmente sulla messa in scena della violenza cieca, senza risparmiare niente agli occhi dello spettatore, ma soprattutto senza risparmiare niente alle povere membra dei protagonisti, in Alrune l’intreccio diventa più sofisticato, si stratifica attraverso la violenza, ma al suo fondo emerge una grande riflessione sul ruolo del piacere e come questo possa essere ricercato attraverso la brutalità e l’odio oppure tramite una ricerca folle e sconsiderata della “scopata più appagante”, ma possiamo anche vedere come la rappresentazione scenica non avvenga più in edifici con estensione limitata (siano una casa o un edificio abbandonato), ma si toccano spazi aperti e diversi tra loro, al fine di far entrare il protagonista dell’ultimo segmento in quel mondo perverso e segreto dove solo i ‘membri del club’ hanno diritto ad assaporare il lusso del vero appagamento sessuale.
Insomma, cosa ‘rappresenta’ German Angst? Per capirlo basta semplicemente indagare le perversioni che l’uomo stesso soffoca attraverso la morale collettiva. Ecco, il film è il tentativo – tanto estremo quanto efficace – di slegarsi dai legami morali tradizionali, rappresentando il godimento di una vendetta, il potere che l’odio può esercitare su di noi e, infine, in maniera ancora più netta, la disperata ricerca del sesso, a cui ogni cosa alla fine è indirizzata.
Non esiste follia, non esiste odio che non sia in qualche modo surrogato dalla famelica fame di sessualità, e ciò si presenta in maniera ancora più folle e perversa in Alraune, dove, passando per club techno folli ed allucinanti, e droghe consumate in mezzo a rivoli di sangue, si ha la sensazione che tutti i personaggi che affollano il film non siano altro che delle perverse figure soggette alla vorarefilia, patologia e perversione nella quale la persona prova piacere fisico e godimento sessuale nell’essere mangiato, divorato più specificatamente.
Tutti i personaggi di German Angst sono dominati dalle loro violente passioni, che siano odio, vendetta oppure lussuria. Non soltanto sono soggiogati da esse, ma finiscono volontariamente per esserne inghiottiti, dal fuoco o da qualche pianta dalle non specificate caratteristiche scientifiche, ed in questo sprofondare traggono il godimento che ha alimentato la loro violenza.
Nei tre capitoli che compongono quella perla di brutalità che è German Angst ricorre spesso, sottotraccia, come un sottile fil rouge, il tema dell’amore, che sembra sempre sul punto di sfociare nello stupro, o in qualche esplosione di inaspettata ferocia. Forse, nella mente di Jörg Buttgereit, Michael Kosakowski e Andreas Marschall riecheggiava ancora forte la frase pronunciata da Miike Takashi “Ultimamente ho il dubbio che proprio dall’amore nasca la violenza. In altre parole, sono la stessa cosa.”
Ripercorrendo un genere forse sin troppo abusato negli ultimi anni, che ha aperto la strada a progetti basati sull’esperienza della follia umana, come per esempio la trilogia di The Human Centipede (la nostra riflessione sui film di Tom Six) oppure ad A Serbian film di Srđan Spasojević, passando dal cinema estremo ‘senza ritorno’ – e forse anche senza costrutto – di August Underground di Fred Vogel, German Angst riesce a ritagliarsi un suo proprio spazio in questa nicchia, mirando a diventarne una pietra miliare.
Sicuramente la visione del film nella sua interezza ferisce sia la vista che i sensi, ma spetta a chi guarda capire se sia per lui meglio far cicatrizzare subito questa ferita oppure decidere di dilatare i tempi del recupero e sentirla meglio, correndo però il rischio che si infetti.
Di seguito il trailer internazionale di German Angst:
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