Home » Cinema » Horror & Thriller » Riflessione: la trilogia di The Human Centipede, una metafora dell’incomunicabilità

Riflessione: la trilogia di The Human Centipede, una metafora dell’incomunicabilità

10/06/2019 recensione film di Sabrina Crivelli

Dal Dott. Heiter a Martin a Bill Boss, la scioccante saga dell'olandese Tom Six vuole riflettere più sulla incapacità di comunicare dei perversi protagonisti che sul loro scellerato sadismo

human centipede film trilogia

Era il 2009 quando un medico folle, il Dott. Heiter (Dieter Laser), rapiva tre sfortunate vittime, Lindsay (Ashley C. Williams), Jenny (Ashlynn Yennie) e Katsuro (Akihiro Kitamura), per creare un macabro e grottesco ‘millepiedi umano’, cucendole chirurgicamente letteralmente l’una all’altra. Stiamo ovviamente parlando di The Human Centipede (First Sequence), primo capitolo della trilogia vietata ai minori firmata dall’olandese Tom Six proseguita poi con due ulteriori film, The Human Centipede II (Full Sequence) del 2011e  The Human Centipede III (Final Sequence) del 2015. Apparentemente inno al più spinto sadismo fine a se stesso, il regista Olandese invero intendeva comunicare con la sua serie qualcosa di più che il mero shock.

The Human Centipede (First Sequence) (2009) film posterLa nascita del millepiedi umano e la metafora dell’incomunicabilità

Indubbiamente, il concept alla base dei tre lungometraggi Tom Six è estrema. A spiegarcene l’origine è il regista stesso, il quale ha raccontato in un’intervista a Vulture che l’idea gli venne dopo aver visto in televisione una notizia legata a un pedofilo, fatto che l’aveva portato a meditare su quanto sarebbe stata una perfetta quanto brutale punizione attaccarlo ‘ass-to-mouth’ a un grasso camionista.

Ossessionato da tale pensiero fisso, aveva poi pensato che sarebbe stato il fulcro perfetto per un horror e iniziato a buttare giù una sceneggiatura; non solo, aveva anche incominciato a fotografare la fidanzata a quattro zampe, per poi duplicarne l’immagine con Photoshop. Così gli era venuto in mente il titolo, perché in effetti era proprio una ‘human centipede’, un millepiedi umano.

Trascorso qualche tempo a meditare sul concept, a Tom Six venne poi una ‘brillante’ intuizione; a dare forma alla creatura sarebbe stato un chirurgo, Heiter per l’appunto, specializzato nella divisione di gemelli siamesi, uniti alla nascita. Il folle uomo di medicina avrebbe rapito quindi un trio di sfortunati turisti, per suturarli l’uno all’altro e dar vita in tal maniera a un agghiacciante, quanto mostruoso animale da compagnia. Dietro a tale trovata perversa, però c’è anche altro: in realtà, la serie degli The Human Centipede è invero un’indagine sulla mancanza di comunicazione.

Cosa c’entra l’incapacità di comunicare con un turpe esperimento con cavie umane? La tematica strisciante è già presente in una delle prime sequenze di The Human Centipede (First Sequence), quella che ci mostra due turiste americane stereotipate in vacanza in Europa bloccate da un banale incidente. Lindsay e Jenny (Ashley C. Williams e Ashlynn Yennie) sono in macchina, quando nel mezzo della notte si buca una gomma e, ovviamente, i loro cellulare non trovano campo (anche questo è un problema di comunicazione in fondo …). Le due ragazze si imbattono in un automobilista che in tedesco le apostrofa con le peggiori sconcerie, ma loro non capiscono e replicano che parlano solo inglese. L’incomunicabilità, almeno quella vista come barriera linguistica, emerge già qui, insieme a una buona dose di erotismo deviato.

Dieter Laser in The Human Centipede (First Sequence) (2009)Lo sconosciuto se ne va. Subito dopo, le giovani decidono di abbandonare l’auto e si dirigono a piedi a cercare aiuto proprio nella villetta isolata del Dottor Heiter, che le accoglie e serra la porta (vediamo il dettaglio della sua mano che toglie la chiave dalla serratura). Il medico vede così un’opportunità insperata, ossia il materiale umano per i due terzi del suo human centipede bussare al proprio uscio e senza il minimo sforzo.

Anche in tale contesto, il gioco del fraintendimento linguistico continua, almeno lungo tutto il momento che precede gli esperimenti. Un esempio perfetto è la reazione dell’uomo quando una delle due amiche rovescia un bicchiere (con sonnifero): avvalendosi del consapevolezza di non essere compreso, le insulta, in tedesco naturalmente, per poi riprendere con più calma a parlar loro in inglese.

D’altra parte, Heiter non è abituato alle cavie umane. Difatti, in precedenza era avvezzo a lavorare con gli animali. Ne abbiamo la certezza nella sequenza iniziale, quando lo vediamo in macchina Dreihund, il rottweiler da poco trapassato, della cui perdita soffre ancora. Quindi, non sa bene come relazionarsi agli uomini, se non trattandoli come besti(ol)e.

La sequenza in cui droga le ragazze, il modo in cui si rivolge a loro, palesa proprio la sua inabilità a parlare con loro (pianifica infatti di limitarsi a narcotizzarle, in modo da minimizzare il dialogo). L’unico obiettivo dell’uomo è quello di creare il Siamese Triplet, come peraltro spiega ai suoi tre – recalcitranti – ‘pazienti’ legati ai loro lettini in attesa dell’intervento. Ovvio è che i poveretti cerchino poi in ogni modo di sfuggire alla procedura (anche qui il dottore non brilla per intelligenza sociale).

Passiamo ora invece a una più approfondita analisi della complicata chirurgia che Heiter ha in mente di eseguire su Lindsay, Jenny e Katsuro (Akihiro Kitamura) in vista del tanto desiderato human centipede (che lui descrive nel dettaglio). Il progetto è quello di tagliare il lembi delle guance per poi suturare insieme la mascella di un soggetto all’ano di colui che segue, per ricostruire un unico sistema digerente tripartito. Anche in tal senso la scelta del dottore non è all’insegna della ‘comunicabilità’.

L’unico degli elementi della tripletta siamese in grado di parlare è il primo della fila, e Heiter opta per un giapponese, l’unico a non proferire una parola in inglese (per non parlare del tedesco …), con buona pace di buona parte degli altri segmenti del millepiedi e del pubblico anglofono e internazionale, che perde così ogni chance di relazionarsi con un idioma conosciuto. Il medico farfuglierà pure qualcosa in inglese, permettendoci di capire qua e là senza necessità di sottotitoli, ma ha comunque dato alla mostruosa creatura una testa che si esprime in maniera per noi, e soprattutto per lui stesso, totalmente incomprensibile.

Dieter Laser, Akihiro Kitamura, Ashley C. Williams e Ashlynn Yennie in The Human Centipede (First Sequence) (2009)Però poco importa, perché lo human centipede viene trattato come un animale da compagnia, non deve essere compreso, ma deve limitarsi ad obbedire il proprio padrone. Lo percepiamo subito dal modo in cui Heiter si approccia a lui. Prima cerca di far raccogliere a Katsuro (già legato alle altre due vittime) un giornale con la bocca (e farselo riportare), poi lo fa mangiare nella ciotola del cane e lo punisce quando questi lo morde.

Insomma lo addestra, come aveva fatto con i fedeli cani rottweiler. Non contento, tiene la sua creatura in una grossa gabbia e la sgrida perché la notte non riesce a dormire per i versi emessi per il dolore e la disperazione. Insomma, con ogni probabilità mira ad un dialogo a senso unico in cui impartisce semplicemente ordini. In caso contrario, cosa lo avrebbe spinto ad operare così?

Passando a indagare in senso più profondo, un ulteriore significato potrebbe essere conferito all’horror di Tom Six: potrebbe infatti essere un commento sull’assenza di comunicazione, o meglio sull’inutilità del linguaggio quando ci si trova in una situazione da incubo (peraltro inutile sia per la preda che per il predatore). La condanna dell’inglese (scegliendo una testa giapponese) è in ogni caso uno svantaggio per Heiter e per la realizzazione dei suoi terrificanti progetti (d’altra parte se necessario lo usa con i suoi prigionieri). Al contempo tale decisione, se non altro, unisce tutti: i componenti del millepiedi umano, gli spettatori, i fan.

La storia è di tutti e di nessuno. La sua incomprensibilità (almeno in più passaggi) è così linguistica, ma traduce contemporaneamente l’assenza di senso davanti all’orrore. Insomma, si passa dalla semantica all’ontologia. Allora siamo tutti ugualmente sgomenti e incapaci di trovare un senso alla surreale scena in cui il medico fustiga la sua creatura con un frustino gridando: “Feed Her!”, accompagnando l’esclamazione con una serie di improperi alla povera Lindsay, mentre Katsuro soccombe a incontrollabili bisogni fisiologici.

Ashley C. Williams in The Human Centipede (First Sequence) (2009)La mancanza di scambi verbali non determina però la totale assenza di trasmissione di pensieri e disegni comuni. Anzi, ironia della sorte, quando il dottore (ossia l’unico trait d’union linguistico tra i segmenti dello human centipede) è trattenuto al piano superiore dalla polizia e si allontana, i tre prigionieri riescono meglio a intendersi in qualche modo e ad agire come un’unica entità, giungendo a farsi dolorosamente strada su per le scale dal laboratorio, in cerca di una via di fuga.

Purtroppo per loro non ci riusciranno. I tentativi di comunicare, tuttavia, non sono ancora abbandonati, solo vanificati dall’impossibilità di comprendersi. L’apice dell’incomprensibilità è raggiunto nel momento conclusivo. Il padrone e la creatura giungono al loro ultimo incontro, Katsuro coglie l’occasione per iniziare un lungo monologo, affermando di essere un insetto, o meno che un insetto, poiché ha abbandonato la sua famiglia. Dichiara anche che Heiter invece è Dio, giunto lì per punirlo per le sue colpe. La lunga dichiarazione però è tutta in Giapponese ed è palese che colui a cui è destinata non comprenda una parola!

L’espressione del chirurgo trasmette immediatamente il fatto che non abbia idea di ciò che Katsuro sta dicendo. Intanto, proferendo la sua autoaccusa, quest’ultimo egoisticamente si taglia la gola, lasciando le ragazze al loro infausto destino. Jenny (l’ultima della tripletta) è ormai morente a causa di un celere avvelenamento del sangue e soccombe pochi istanti dopo, lasciando sola Lindsay, final girl sui generis imprigionata in mezzo a due cadaveri. L’unica parte dello human centipede in grado di fuggire è bloccata lì da due corpi muti per sempre, metafora della profonda solitudine del soggetto (a cui l’assenza di comunicazione relega…)

The Human Centipede II (Full Sequence) (2015) film posterThe Human Centipede II (Full Sequence): la brutale incapacità di Martin di comunicare

Per il suo body horror estremo e per la sua morbosità, The Human Centipede (First Sequence) si è conquistato la fama di cult. Il seguito di spettatori che ha apprezzato il film, ha portato Tom Six ad approfondire il controverso messaggio e immaginario turpe con un sequel, girato in bianco e nero. Tuttavia, il regista olandese non ha mirato a realizzare un seguito ambientato nello stesso universo, che prolungasse le vicende accadute nel primo capitolo, ma ha ideato un prodotto meta-filmico intitolato The Human Centipede II (Full Sequence).

I protagonisti del capostipite della saga non compaiono direttamente nel seguito, o almeno non nella stessa realtà, ma vengono citati all’interno di una videocassetta, finzione nella finzione. In apertura vediamo insieme a Martin (Laurence R. Harvey), lo psicotico villain di The Human Centipede II (Full Sequence), il finale del precedente horror girato da Tom Six. A sostituire il dottore e raccoglierne il testimone è questa volta lo psicopatico custode di un parcheggio, un ragazzo emarginato, sovrappeso, asmatico e con un manifesto ritardo cognitivo, che cattura le sue vittime una ad una nottetempo, avendo in mente un progetto assai più ambizioso della Siamese Triplet.

Martin è infatti ossessionato da The Human Centipede (First Sequence), e incarna il peggior tipo di fan, quello che vuole emulare le azioni dei suoi personaggi favoriti sul grande (o meglio piccolo) schermo. E il suo beniamino non è un supereroe senza macchia, ma un chirurgo pazzo che cerca di cucire insieme tre persone. La sua monomania è palese: lo osserviamo mentre sfoglia e accarezza un quaderno con immagini dalla sua pellicola favorita, mentre prende appunti sulla procedura spiegata nel film e ricopia i disegni del Dott. Heiter, oppure mentre nutre il suo animaletto domestico, un vero e proprio millepiedi, o e intanto vagheggia di poterne creare uno umano proprio come aveva fatto il suo idolo. Anzi assai più lungo visto che, come dichiara la madre, infatti, Martin “continua a parlare di un millepiedi di dodici persone!

Di conseguenza, inizia anche lui a procurarsi la materia prima, ma non avendo conoscenze mediche, o strumenti adeguati, lo fa in maniera assai più brutale e casereccia. Pian piano raccoglie così i segmenti per la sua creatura: due ragazze ubriache che lo vedono mentre si masturba, una ignara doppietta, un suo violento vicino che ascolta la musica a volume altissimo, chiunque in cui si imbatta nel momento giusto diviene un perfetto candidato per l’esperimento. Poi c’è l’ospite d’onore: Ashlynn Yennie, l’attrice che incarnava Jenny in The Human Centipede (First Sequence).

Laurence R. Harvey in The Human Centipede II (Full Sequence) (2011)Torniamo però al cuore del nostro discorso. Anche il secondo capitolo della trilogia V.M. 18 è all’insegna della incomunicabilità, anzi di una forma più estrema che nel suo predecessore. Come chi ha visto l’horror di Tom Six ha potuto notare, Martin lungo l’intero sviluppo non proferisce nemmeno una parola, è del tutto muto, ed è questo a renderlo ancora più inquietante. In realtà, come raccontato dal regista in una intervista a IFC, in principio Martin avrebbe dovuto ripetere le frasi proferite da Heiter, emulandolo.

L’attore che avrebbe poi incarnato il protagonista del sequel, Laurence R. Harvey, durante l’audizione “si dimenticò di parlare”, così Six fu colto da una vero e propria intuizione: eliminare ogni sua battuta, preferendo relegare il personaggio a un totale e agghiacciante mutismo. Infatti “non parla molto al lavoro e nessuno gli parla. La gente si riferisce a lui, ma non comunica con lui. Quindi si adatta meglio a lui il descrivere tutto attraverso le sue azioni e la sua faccia ” come ha sottolineato la co-star Ashlynn Yennie sempre parlando a IFC.

Inoltre, il protagonista si avvantaggia della sua ‘invisibilità’ attirando inosservato le sue vittime, ultima tra tutti l’ingenua attrice al centro del primo film. Infatti, riuscendo a mettersi in contatto con l’agente di lei via Internet e fingendosi un talent scout, riesce a farla arrivare in Inghilterra con la promessa di un provino per un film di Quentin Tarantino e a portarla al magazzino isolato, in cui ha raccolto gli altri segmenti del suo human centipede. Quando arriva, lui sembra solo il silenzioso autista che la porterà a destinazione, ma la verità è assai diversa.

Poi arriva il momento più truce, narcotizzate le sue ‘componenti’ con una secca botta in testa, inizia una versione semplificata della proceduta medica. Prima i denti di ciascuno vengono spaccati a martellate, poi viene reciso il tendine sotto a ginocchio imponendogli così di gattonare (come avveniva nel primo capitolo), poi vengono incise le natiche (o almeno è effettuato un fallimentare tentativo), in ultimo per mantenere in vita i pezzi del millepiedi umano, dopo un paio di decessi dovuti all’inesperienza, Martin opta per un metodo più semplice: pinzare con una graffettatrice i vari segmenti e ‘scocciarli’ tra loro. Soddisfatto finalmente del suo operato, giunge finalmente a nutrire la sua creatura.

Katherine Templar e Laurence R. Harvey in The Human Centipede II (Full Sequence) (2011)È proprio nel passaggio più sconvolgente dell’intero The Human Centipede II (Full Sequence) che Martin accenna un tentativo di linguaggio. Al contrario di Heiter, che si rivolgeva alla sua Siamese Triplet urlando solo ordini secchi, il suo emulatore farfuglia nel grottesco sforzo di mettere insieme una qualche forma di comunicazione. Il risultato è un idioma infantile composto di versi incomprensibili, che i suoi interlocutori non recepiscono affatto.

Il peggio lo raggiunge quando vuole interfacciarmi con la testa dello human centipede, incarnata da Ashlynn Yennie, alla quale prepara una ciotola (come faceva Heiter con Katsuro ). La reazione di lei alla sua offerta è però diversa da quella auspicata e, al suo rifiuto di mangiare, scontento trova un’altra via forzata per somministrare a lei e agli altri l’orrido pasto (chili in scatola, seguito dopo qualche minuto da un’iniezione di lassativo). Ovvio l’intento finale.

L’incapacità di comunicare da parte di Martin non fa che aumentare la sua frustrazione per la sua creatura disobbediente. Non aiuta poi il fatto che unisce insieme dieci persone senza alcuna nozione scientifica a supportare il suo folle disegno. Gli accessi di rabbia di Heiter non sono nulla in confronto ai crolli emotivi di Martin, quando trova degli intoppi alla realizzazione del suo sogno (siano essi la donna incinta creduta morta che rinviene e scappa, oppure uno dei segmenti del suo millepiedi umano che si stacca dividendolo in due parti). Indispettito dal grido di Ashlynn Yennie le taglia di netto la lingua, togliendole ogni facoltà di espressione.

L’attrice ha però una sua rivincita. Avvantaggiatasi della simpatia che il suo carnefice ha per lei, prima gli tira un colpo secco ai testicoli e quando lui si piega per il dolore gli cala le mutande, infila l’imbuto dove non batte il sole e poi butta dentro l’aggressivissimo animaletto domestico di lui (il vero millepiedi) su per il retto. Martin in tutta reazione urla dal dolore, ed è uno dei pochi suoni che emette lungo tutto The Human Centipede II (Full Sequence). Certo, rimane impresso nella memoria.

In confronto al suo predecessore, il finale del sequel è decisamente più ambiguo: vediamo Martin mentre abbandona i resti senza vita del suo millepiedi nel magazzino buio in preda agli spasmi. La scena è tagliata, per ritrovare il protagonista seduto nel suo gabbiotto, intento a guardare First Sequence. È forse un sogno? Oppure è ancora a metà della sua opera e ha immaginato il resto? Il pianto di un bambino, quello chiuso da Martin in macchina dopo aver rapito i genitori, farebbe optare per quest’ultima. Comunque sia, non lo sapremo mai con certezza.

The Human Centipede III (Final Sequence) (2015) film posterThe Human Centipede (Final Sequence): la comunicazione è sempre un elemento secondario

Quando nel 2015 si arriva infine all’ultimo capitolo della trilogia, The Human Centipede (Final Sequence), Tom Six torna all’idea originale di punizione, che ha ispirato il primo film, ma lo usa in un processo ancor più metafilmico del secondo capitolo. Eccessivo e grottesco più ancora che morboso, è forse il ‘peggiore’ dei tre della saga.

Difatti, è audace che il regista torni nuovamente a girare un film incentrato sulla sua precedente filmografia, in un gioco di citazioni e incroci tra diversi livelli di narrazione cinematografica. Tale approccio ha però il difetto di far perdere quell’accuratezza a livello scientifico che connotava First Sequence, che infatti era definito “100 percent medically accurate” (“100% accurato a livello medico”), per diventare in Full Sequence “100 percent medically inaccurate” (“100% inaccurato a livello medico”) e arrivare in Final Sequence a “100 percent politically incorrect” (“100% politicamente scorretto”).

Ciascun lungometraggio di The Human Centipede diviene sempre più oscuro, come un gioco telefonico in cui si cerca di trasmettere un messaggio che via via viene riportato sempre più sbagliato, o meglio la copia della copia della copia, che perde sempre più in definizione. I suoi contorni, l’immagine, diviene così gradualmente più illeggibile. Tom Six torna così ogni volta al suo materiale originario, quello al centro del capostipite, per cannibalizzarlo sempre più e riprodurne la replica della replica. Il villain del primo diviene in tale iter sempre più disturbante e più caricaturale, recitazione compresa, che in Final Sequence raggiunge volontari livelli di tale innaturalezza da parere una costante pantomima (soprattutto per ciò che concerne Dieter Laser).

D’altronde, Tom Six decide di riutilizzare i protagonisti dei primi due capitoli in ruoli del tutto differenti. Dieter Laser recita nei panni del folle Bill Boss, direttore di una prigione americana che ricorre a vari esperimenti per piegare gli animi dei detenuti. Come il medico di origini tedesche, anche questo personaggio ha un’ossessione per la sottomissione, ma mentre il primo lo vedeva solo come un naturale benefit nella creazione di un animale da compagnia, il secondo lo ricerca con ogni mezzo. Rovescia dell’acqua bollente su un panno steso in faccia a un detenuto, a un altro taglia letteralmente le gonadi. Tuttavia, i risultati non arrivano, almeno finché il consulente finanziario di Bill, Dwight Butler (Laurence R. Harvey) propone di creare un millepiedi umano con i criminali ospiti della prigione. E per realizzare il progetto viene invitato perfino Tom Six in persona.

Dieter Laser e Laurence R. Harvey in The Human Centipede III (Final Sequence) (2015)Continuando nel parallelo, mentre Heiter era misurato ad esempio nel vestire, che era sempre minimale, austero, Bill Boss è eccentrico, esagerato in tutto. Il suo abbigliamento alterna una mise bianca con cappello texano in tinta a una tenuta cachi con cinturone argentato. Allo stesso modo, il disegno di Heiter è ponderato, meditato e preparato con cura, per quanto psicopatico possa essere. Bill Boss invece spara nello stomaco a uno dei segmenti umani del suo millepiedi perché non può essere utilizzato nel suo progetto.

Al contrario, ciò che Heiter e Boss, Martin e Dwight condividono è la loro reazione violenta quando le cose non vanno come loro vogliono. Che sia il constante imprecare urlato di Bill Boss, ad esempio quando il medico della prigione (a cui peraltro è stata revocata la licenza) gli dice che ha la pressione allarmantemente alta, rifiuta la notizia imperando: “Richiedo delle c…zo di buone notizie!”.  E la replica è “Sei in perfetta salute!”, e si chiude così. E quando Boss decide di assecondare la proposta di Dwight di ricomporre i criminali in una nuova sottomessa creatura, spara a chiunque si frapponga.

Per qualche incomprensibile motivazione, i protagonisti sono tanto emotivamente coinvolti dalla possibilità di creare il loro human centipede, che quando inevitabilmente ogni esperimento fallisce, è per loro la fine del mondo. Preferirebbero morire nel sonno, mentre fanno una maratona di The Human Centipede e disegnano sul loro blocco di fogli schizzi tratti dal film, piuttosto che affrontare la loro triste vita. Per essere precisi, in Final Sequence, l’esperimento ha infine successo, il millepiedi di detenuti è approvato e incensato dal governatore Huges (Eric Roberts) dopo un breve momento di incertezza e il protagonista finisce a festeggiare urlando da una torre di controllo con un megafono.

Tornando invece al cuore del discorso, anche in Human Centipede (Final Sequence) la comunicazione per Boss non è decisamente una priorità. Heiter lo aveva dimostrato chiaramente mettendo in testa del suo Siamese Triplet Katsuro, un giapponese. Bill Boss, diversamente, sceglie il detenuto 178 (Tommy ‘Tiny’ Lister), che parla tranquillamente inglese. Tuttavia anche per lui il dialogo non è poi così essenziale e sicuramente non ha nessun livello di empatia o legame verso i suoi collaboratori.

Come possiamo dichiararlo con certezza? La segretaria, Daisy (la pornostar Bree Olson), che lui peraltro molesta sessualmente in maniera costante è prima lasciata in balìa dei pregiudicati durante una rivolta, poi inserita nello human centipede per “diversità di genere”, come lui afferma. Il medico che prende parte al suo progetto, il Dott. Jones (Clayton Rohner) viene ucciso su due piedi a colpi di pistola perché si professa entusiasta nel momento sbagliato, innervosendo Bill Boss. In ultimo, Dwight, viene eliminato sul finale, probabilmente per potersi aggiudicare tutto il merito dell’idea.

The Human Centipede III (Final Sequence) (2015) filmUn’incomunicabilità di partenza è condivisa dai componenti del millepiedi, la maggior parte dei quali parla un linguaggio diverso. Dall’arabo all’yiddish, dal giapponese (vediamo di nuovo Akihiro Kitamura nei panni di un detenuto) fino allo spagnolo, la comunicazione tra i vari detenuti è difficile, prima che vengano uniti durante la mostruosa procedura medica. Quest’ultima, d’altro canto, riesce questa volta solo per un motivo: la reversibilità del procedimento che rende la punizione temporanea (a eccezione dello human caterpillar di condannati a morte o all’ergastolo).

Per il periodo della detenzione i prigionieri saranno dunque costretti a defecare nelle altrui bocche (e viceversa a parte il primo della fila). Una volta però pagato il loro debito, possono essere felicemente reintegrati nella società. I segni lasciati dall’operazione sulla bocca mostrano peraltro immediatamente di aver subìto la pena, rappresentando un ulteriore disincentivo, qualora la pena stessa non fosse già sufficiente. Un po’ come per il monologo di Katsuro, il detenuto 093 (Hamzah Saman), che ha appena scontato la sua reclusione, inizia un lungo discorso in arabo, non tradotto e il cui significato rimane oscuro, ma che comunica un qualche tipo ravvedimento. Pur non conoscendo il linguaggio, Bill Boss sembra però perfettamente comprenderne il senso ultimo, e ne è compiaciuto.

Quasi lieto fine e comunque chiusura del cerchio, dalla fatale incomunicabilità si giunge nel finale Full Sequence non solo a realizzare in maniera efficacie il millepiedi umano sognato da Heiter e Martin (e con ben 500 persone), ma a una più alta forma di comunicazione. Tuttavia, se i personaggi sono uniti in questo malato esperimento, l’ultimo film si separa nettamente dai precedenti, alienandosi almeno in parte i fan del capostipite.

In attesa di poter vedere il nuovo film di Tom Six, The Onania Club, trovate i tre trailer dei tre film di The Human Centipede, ancora inediti sul mercato italiano:

Fonte: DoG