Voto: 6.5/10 Titolo originale: Locke , uscita: 10-04-2014. Budget: $2,000,000. Regista: Steven Knight.
Recensione story: Locke di Steven Knight (2014)
27/05/2020 recensione film Locke di William Maga
Nel 2014, Tom Hardy era il solitario protagonista di un thriller ambientato interamente all'interno di un'automobile
Potrebbe forse non sembrare a prima vista la ricetta giusta per un grande successo cinematografico: un uomo, solo in macchina, mentre affronta un tragitto lungo 90 minuti per le strade di Londra, di notte, mentre via via si collega con voci provenienti dal ‘mondo esterno’ attraverso il suo telefono cellulare in blutooth.
Eppure, con l’eccezionale lavoro del protagonista Tom Hardy che riesce a fare da collante a un’opera carica di tensione drammatica, Locke del 2014 riesce completamente ad assorbire lo spettatore nonostante i limiti imposti dall’ambientazione angusta e per niente varia. Il regista Steven Knight (già sceneggiatore della serie Dirty Pretty Things) ha realizzato un film piuttosto unico, che parla dell’accettazione delle conseguenze e dei cambiamenti che le accompagnano.
Il suddetto giro in automobile, che rappresenta una svolta nella vita di Ivan Locke (Hardy), è presentato in tempo reale. L’uomo che raggiunge la sua destinazione non sarà lo stesso uomo che parte da un cantiere nei momenti di apertura del film.
Il motivo per cui ha deciso di compiere questo viaggio – una donna con cui ha avuto una relazione extra coniugale è sola, spaventata e sul punto di iniziare un travaglio anzitempo – cambierà tutto quanto per Locke. Quando sale in macchina, ha un lavoro, sicurezza finanziaria e una famiglia. Quando ne scende, non ha più nessuna di queste cose.
La sua scelta – abbandonare uno stile di vita stabile per soddisfare quello che ritiene essere un obbligo morale – riallinea le sue priorità.
Quando non riesce più ad essere sul posto di lavoro la mattina dopo per supervisionare un grande progetto di costruzione, il suo capo lo licenzia. Quando confessa la sua infedeltà a sua moglie, lei gli dice che non è più il benvenuto a casa. All’interno dei confini della macchina, Locke affronta il crollo della sua vecchia vita mentre scopre uno strano senso di libertà. Un uomo che ha perso tutto, non ha più nulla da perdere. Sceglie di fare ciò che ritiene giusto a un costo elevato nel tentativo di riparare a un errore commesso da suo padre.
Lo stile registico di Steven Knight è scarno. Ci sono momenti in cui la sua selezione di angoli di ripresa lambisce la monotonia; forse, avrebbe potuto mantenere la telecamera focalizzata su Tom Hardy piuttosto che puntarla occasionalmente sul parabrezza anteriore. Il mondo esterno è molto meno interessante di quello che succede nella testa dell’uomo seduto al posto di guida.
La prova essenziale e perfettamente modulata dell’attore britannico è quello che fa funzionare Locke. Per quasi 90 minuti, ipnotizza. La sua voce, le sue azioni e le sue espressioni facciali mostrano l’impatto che ogni telefonata ha su di lui – abbattendo il vecchio Locke mentre si sta costruendo quello nuovo.
La conversazione più straziante avviene quando suo figlio più giovane lo chiama sulla scia di una vittoria a calcio. Il ragazzo è alla ricerca della normalità che accompagna un padre e un figlio legati a una vittoria sportiva; Ivan Locke, reso incapace di parlare per l’emozione, non può garantirla.
In questo preciso momento, Tom Hardy fa capire quanto Locke abbia appena sacrificato. Il suo dolore si irradia sullo schermo, è una cosa palpabile. Se già in titoli come Bronson (la recensione) e Warrior (la recensione) aveva dato prova del suo valore, qui si spinge oltre, in quello che potrebbe per molti risultare la sua performance più riuscita. Perché Locke funzioni, dobbiamo identificarci con il personaggio principale. Non possiamo semplicemente guardarlo; dobbiamo connetterci con lui. E la recitazione di Tom Hardy lo facilita.
Gli altri interpreti di Locke sono mere voci al telefono. Ce ne sono quattro principali: Olivia Colman (nel ruolo della donna che porta in grembo il figlio di Locke), Ruth Wilson (la moglie), Andrew Scott (il suo sostituto sul posto di lavoro) e Ben Daniels (il suo capo).
Tutti sono credibili nel tratteggiare i relativi personaggi, anche se nessuno compare mai di persona (a tal proposito, un ascolto del film in lingua originale è più che mai d’obbligo).
Basandosi esclusivamente su una descrizione sommaria, Locke potrebbe suonare come un film noioso e ingannevole. Niente di meno veritiero. Il personaggio centrale è un uomo così universale che il suo dilemma dovrebbe risuonare ‘familiare’ per chiunque. Possiamo facilmente vederci nella sua posizione, affrontare le sue scelte, condannati a prescindere da quali scelte faremo. Il dramma è interiorizzato, ma ugualmente potente.
E c’è sempre una tensione sospesa sul fatto che Ivan Locke raggiunga davvero alla fine la sua destinazione. Le auto possono essere pericolose, soprattutto quando il conducente è distratto. Che sia intenzionale o no, Steven Knight incoraggia questa idea. Ma ad avere la peggio nell’incidente frontale in Locke è la vecchia vita del protagonista, e il modo in cui viene rappresentata questa presa di coscienza la rende una delle opere più affascinanti presentate fuori concorso alla 70ª edizione della Mostra del cinema di Venezia.
Di seguito il trailer internazionale di Locke:
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