Titolo originale: Murder Obsession , uscita: 24-02-1981. Regista: Riccardo Freda.
Recensione Story | Murder Obsession (Follia omicida) di Riccardo Freda
16/06/2021 recensione film Murder obsession (Follia omicida) di William Maga
Nel 1981, Silvia Dionisio e Stefano Patrizi erano i protagonisti del ritorno sulle scene del regista dopo una lunga pausa, un horror modesto sospeso tra antica artigianalità e voglia di adeguarsi ai tempi
Doveva inizialmente uscire firmato Robert Hampton (uno del tanti pseudonimi ‘inglesi’ usati da Riccardo Freda) Murder Obsession (Follia omicida), ma all’ultimo momento, quasi come tardivo risarcimento, la paternità italiana del film ha avuto giustizia. I motivi probabilmente, stanno tutti nel clamore che nel 1981 accompagnò improvviso la riscoperta di questo singolare artigiano del cinema fantastico (popolare, certo, ma d’antica qualità), che a 72 anni si era ritrovato d’un sol colpo dietro la macchina da presa, al centro di due e ‘personali’ (a Roma e a Cattolica) e autore di un libro di memorie che avrebbe innescato più d’una polemica nel giro.
Pioniere del genere horror, maestro (insieme a Mario Bava) di geniali trucchi ‘economici’, sostenitore accanito di un cinema della fantasia e del mistero che non si limiti a riprodurre piattamente il terrore quotidiano, Riccardo Freda agli inizi degli anni ’80 conobbe dunque il suo inaspettato momento di gloria: ma lui, vecchio saggio impermeabile ai detrattori di ieri, e agli incensatori dell’allora oggi, continuava per la sua strada, lavorando e scrivendo come aveva sempre fatto.
Ne è una prova, appunto, Murder Obsession (Follia omicida) , che usciva sugli schermi nostrani confuso tra i mille titoli del terrore della stagione estiva. Intendiamoci, è sostanzialmente un classico film di ‘serie B’, peraltro girato da Riccardo Freda dopo un silenzio lungo ben 13 anni, realizzato secondo tutte le regole del thrilling commerciale: c’è un po’ di sesso, molta violenza, la giusta suspense e quello sfondo demoniaco-paranormale che al tempo stava cominciando ad andare per la maggiore. Insomma, il regista durante la ‘pausa’ dai set non si era costruito un monumento addosso, ma aveva ‘aggiornato’ (appena un po’) il consueto mestiere.
La vicenda è presto detta. Michael Stanford (Stefano Patrizi), un affermato attore di horror, torna dopo quindici anni dalla madre Glenda (Anita Strindberg), un’elegante bellezza sfiorita che vive in un tetro maniero insieme all’altrettanto torvo maggiordomo Oliver (John Richardson). Michael è convinto di essere vittima di raptus omicidi (la madre gli fece credere di aver ucciso il padre musicista), tanto che all’arrivo della fidanzata Deborah (Silvia Dionisio) e degli amici-colleghi cominciano ad accadere strane cose. Prima rumori, sospiri, e scricchiolii notturni, poi singolari coincidenze e infine l’esplosione della follia omicida. Tutto parrebbe incolpare il povero Michael, ma la sorpresa finale rimette le cose a posso. O quasi.
Realizzato in tutta economia in un’ipotetica campagna londinese, Murder Obsession è — per ammissione dello stesso Riccardo Freda — un thrilling basato più sull’atmosfera e sui personaggi che non sugli effetti. Non a caso, i momenti migliori del film — al di là della storiella piuttosto insulsa che assembla riti esoterici e complessi freudiani — risiedono nella rappresentazione di quell’impalpabile terrore (corridoi gelidi, ombre furtive, inquadrature in controluce) che scuote il castello. Qui le trovate visive del filmmaker sono piccoli gioielli di maestria, non c’è che dire.
Dove invece l’impeto visionario reclama il sangue (l’estenuante incubo di Silvia Dionisio, tra teschi piangenti, croci infuocate, mummie bavose e messe nere) si finisce francamente con il sorridere un (bel) po’. Del resto, un signorile distacco tra vecchio e nuovo (ovvero tra dialoghi, musiche, colori cari a Riccardo Freda e obblighi alle mode del momento) sembra attraversare tutto Murder Obsession, con il risultato di fondere spesso – ma non felicemente – lo sguardo attonito del maggiordomo ai seni sempre sguscianti della Dionisio.
Un’inquadratura è però da manuale: ed è quella blasfema Pietà finale, sospesa tra Michelangelo e Caravaggio, dove la pittura si prende un’orgogliosa rivincita sul cinema.
Di seguito una scena di Murder Obsession (Follia omicida):
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