Voto: 5.5/10 Titolo originale: Runaway , uscita: 14-12-1984. Budget: $8,000,000. Regista: Michael Crichton.
Recensione story | Runaway di Michael Crichton
28/12/2020 recensione film Runaway di William Maga
Nel 1984, Tom Selleck e Cynthia Rhodes erano i protagonisti di un fanta-action interessante ma senza identità, incapace di sfondare al botteghino
“Sono gli uomini che costruiscono le macchine, perché dovrebbero essere perfette?”, ripete scettico il baffuto Tom Selleck, sergente
della ‘Squadra controllo robot’, all’avvenente e inesperta recluta Cynthia Rhodes. Siamo in un futuro prossimo venturo popolato di micro e macro robot che svolgono le più diverse funzioni: lavorano in fabbrica (“Niente scioperi e riunioni sindacali”, gongola un ingegnere edile), disinfestano i campi di granturco, svolgono mansioni casalinghe (come la Caterina del film di Alberto Sordi del 1980), dirigono il traffico, eccetera eccetera.
Sono efficienti e veloci, ma ogni tanto si rompono e provocano guai: in quel caso entra in funzione, appunto, il team capeggiato da Jack R. Ramsay (Selleck), specializzato in riparazioni e affini.
Runaway (il titolo allude al robot sfuggito al controllo, come un cavallo al fantino), film diretto nel 1984 da Michael Crichton, aggiornava un’idea già sviluppata dodici anni prima dallo stesso scrittore e regista nell’avanguardistico II mondo dei robot (il nostro approfondimento); là si raccontava di gente disposta a pagare mille dollari al giorno per una vacanza in una specie di super-Disneyland chiamata Delos dove si potevano vivere avventure ‘reali’ nel mondo romano, nel Medioevo e nel Far West; qui si va addirittura oltre, ipotizzando una società già robotizzata a tutti i livelli.
Secondo un’allora recente moda, l’eroe Tom Selleck, transfuga dai telefilm della popolarissima serie Magnun P.I., ha però un punto debole: soffre di vertigini, come il James Stewart di La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock; e la cosa rischia di bloccarlo nelle missioni più pericolose.
Figuratevi quindi come si sente quando il cattivo di turno Charles Luther, un ingegnere elettronico che ha perfezionato un microprocessore in grado di alterare le funzioni dei robot, lo blocca dentro un ascensore all’aperto in cima ad un grattacielo in costruzione. Circondato da ragni meccanici che inoculano acido mortale, il sergente se la vede brutta, prima di indirizzare la trama su piuttosto intuibili binari e risolvere la situazione.
Apprezzabile più per la singolarità delle invenzioni che per i modi, abbastanza convenzionali, della realizzazione, Runaway cerca di sposare l’apologo apocalittico (stiamo giocando come ragazzini ignari con una tecnologia che è pronta a tradirci) con la fanta-avventura alla Terminator. Non mancano allora gli inseguimenti mozzafiato, le sparatorie avveniristiche (Luther lancia micro missili capaci di ‘inseguire’ le vittime ovunque), le sfide al computer e tutto l’armamentario di nozioni elettroniche che il filone imponeva. Il tono però è garbato e i personaggi non del tutto banali.
Si tratta di un film tranquillamente ancorato all’ideologia convenzionale per cui il coraggio, dote virile e femminile, messo al servizio delle buone cause, è la virtù che ci consentirà di controllare le degenerazioni della robotica in una società in cui ciascuno rispetta i propri ruoli. È anche, però, per la sua struttura narrativa e per i motivi che vi intervengono, un’altra spia della necessità avvertita dal cinema di Hollywood del tempo di mescolare i generi, per conquistare il massimo numero di spettatori, e di trasferire nel racconto avvenirista i confortanti schemi della tradizione drammatica.
Fantascienza, mito del transistor, culto della famiglia, diritto dell’opinione pubblica a essere informati dalla tv, limiti giuridici dell’azione, poliziesca, mafia e astrologia, armamentari alla 007 si affollano infatti nel film e fanno cumulo in un’avventura che ha insieme del thriller e dell’orrore, ma che ospita anche il sentimentale e l’ironico.
Per cui siamo al trionfo dell’ibrido, in una cornice già ben collaudata. I difetti di Runaway vengono tuttavia avvertiti dal pubblico cui s’indirizza come i suoi meriti: un universo di duelli e ricatti, una suspense a ritmo svelto, con foto e musica funzionali a uno spettacolo di rapida emozione in cui Michael Crichton conferma il suo piglio di novellatore per la grande platea.
Autore di quindici romanzi scritti con vari pseudonimi (tra questi Congo e Andromeda, da cui Robert Wise aveva tratto un buon adattamento nel 1971), Michael Crichton tornava dietro la macchina da presa dopo un lungo periodo di silenzio.
Il suo penultimo lavoro cinematografico, il divergente 1885 – La prima grande rapina al treno con Sean Connery (1979), era andato maluccio al box office, motivo per cui aveva dovuto faticare parecchio per convincere Hollywood a finanziare questo Runaway che, costato circa 8 milioni di dollari, in patria ne avrebbe incassati meno di 7, surclassato in quello stesso anno dal già menzionato classico di James Cameron, ma anche da Star Trek III: alla ricerca di Spock e 2010 – L’anno del contatto, costringendo l’autore a tornare ‘nell’oscurità’ fino al 1989, anno in cui sarebbe ritornato per un’ultima volta sui set con Il corpo del reato (altro eclatante flop …).
Quanto agli interpreti, Tom Selleck (reduce dai due tonfi cinematografici Avventurieri ai confini del mondo e Lassiter lo scassinatore) si dimostra in Runaway un attore dotato di una certa grinta e non del tutto stereotipato, mentre la pimpante Cynthia Rhodes (già vista in Staying Alive) fa vedere di non meritare ruoli cinematografici che non richiedano esclusivamente un un bel palo di gambe.
La vera sorpresa del cast – in cui figurano anche Kirstie Alley, Chris Mulkey e G.W. Bailey – è comunque il debutto assoluto sul grande schermo, nella parte del luciferino Luther, della rock star Gene Simmons. Il leader della band dei Kiss, è infatti il più spaventoso dei quattro, quello con gli stivaloni e la chitarra a forma di mannaia, tutto espressioni e smorfie alla Belzebù.
Di seguito il trailer di Runaway:
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