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Voto: 4/10 Titolo originale: Smiley , uscita: 12-10-2012. Regista: Michael J. Gallagher.

Recensione story: Smiley – Il nuovo volto del male di Michael J. Gallagher (2012)

23/05/2025 recensione film di Gioia Majuna

Il regista tentava di aggiornare ll slasher all’era digitale, fallendo malamente tra cliché narrativi, recitazione caricaturale e ambizioni filosofiche fuori fuoco

Smiley Il Nuovo Volto Della Paura (2012) film

Nel panorama dell’horror contemporaneo, Smiley – Il nuovo volto del male nel 2012 si presentava come una promettente incursione nella paura dell’era digitale, ma si rivelava altrettanto rapidamente un fallimento tanto creativo quanto ideologico.

Scritto e diretto da Michael J. Gallagher, il film cerca di aggiornare il mito di Candyman e l’estetica slasher alla cultura di internet, facendo leva su un’icona grottesca — un killer evocato da una frase digitata in chat: “I did it for the lulz”. Tuttavia, nonostante l’efficacia visiva del personaggio e alcune intuizioni iniziali, naufraga in una miscela scomposta di cliché, scelte registiche discutibili e ambizioni filosofiche maldestre.

L’idea centrale, ovvero trasformare la viralità e l’anonimato dei social in un veicolo per l’orrore, è teoricamente efficace. Evocare un’entità assassina digitando tre volte una frase idiota in una chat casuale riprende e aggiorna l’iconografia dello specchio in Candyman, ma la trasposizione nel contesto digitale manca di rigore logico e coerenza diegetica.

Il sito fittizio “Hide and Go Chat” diventa allora il portale per evocare Smiley, ma nulla nel film riesce a rendere credibile questo universo narrativo.

Il film soffre di una realizzazione visiva povera, con ambientazioni statiche, recitazioni sopra le righe e jump-scare telefonati. Caitlin Gerard interpreta Ashley, la protagonista, con un’eccessiva enfasi melodrammatica, mentre Melanie Papalia nel ruolo di Proxy appare come una caricatura del cinismo giovanile. Gli interpreti di contorno, inclusi alcuni ex YouTuber, non riescono a sollevare un copione afflitto da dialoghi finti e privi di verosimiglianza.

Smiley Il Nuovo Volto Della Paura (2012) Caitlin GerardTra i momenti più imbarazzanti di Smiley, spiccano le pseudo-riflessioni filosofiche orchestrate dal personaggio del professor Clayton (Roger Bart), che dovrebbe fungere da bussola morale. Disquisizioni su Occam, il libero arbitrio e il male assoluto si alternano a battute insensate, risultando nella parodia di un discorso etico che non riesce mai a diventare davvero critico.

E il tentativo di dare profondità all’antagonista attraverso dialoghi esistenziali non fa altro che appesantire la narrazione senza arricchirla.

L’iconografia di Smiley — un volto senza occhi, con un sorriso cucito e una maschera degna dei peggiori incubi — avrebbe potuto divenire un’icona horror di culto, al pari di Freddy Krueger o Jason Voorhees, ma l’assenza quasi totale di Smiley dalla narrazione, eccezion fatta per i sogni ricorrenti della protagonista, compromette qualsiasi potenziale impatto emotivo.

Il killer rimane un’ombra, un simbolo mai compiutamente definito: è reale? È una proiezione mentale? È una metafora sociale? Il film non riesce mai a decidersi.

Insomma, Smiley vorrebbe essere molte cose: uno slasher, un thriller psicologico, un film metanarrativo e persino un pamphlet esistenziale. Il risultato è un pastiche indeciso che salta da un tono all’altro, disorientando lo spettatore.

La regia non riesce mai a costruire tensione autentica, le sequenze oniriche si moltiplicano senza giustificazione drammaturgica, e il twist finale — postmoderno nella forma, ma derivativo nei contenuti — lascia l’amaro in bocca.

All’epoca le recensioni della stampa furono – giustamente – unanimemente impietose. Smiley è una versione infantile di The Ring gravata da una totale incompetenza tecnica e dai risvolti involontariamente comici. Un soggetto promettente affossato da scrittura dilettantesca, regia confusa e moralismi fuori luogo, in cui l’unico elemento apprezzabile rimane il design del boogeyman — troppo poco, troppo tardi come si dice.

L’incubo del potenziale inespresso Smiley è l’esempio paradigmatico di come un’idea valida possa essere distrutta da un’esecuzione approssimativa. In un’epoca in cui l’orrore digitale avrebbe potuto e dovuto offrire nuovi orizzonti tematici — dal cyberbullismo all’intelligenza artificiale — Gallagher ha preferito rifugiarsi in derive narrative già viste e abusate, naufragando in un prodotto che resta intrappolata tra ambizione e sciatteria, tra filosofia spicciola e sceneggiatura da b-movie.

Di seguito, trovate il trailer di Smiley:

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