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Voto: 6/10 Titolo originale: دشرة , uscita: 23-01-2019. Regista: Abdelhamid Bouchnak.

Dachra | La recensione del film horror tunisino di Abdelhamid Bouchnak (Venezia 75)

10/09/2018 recensione film di Alessandro Gamma

Il primo horror della storia prodotto in Tunisia vuole essere un'allegoria della situazione del paese, intrappolato tra un passato di superstizione e un presente che anela il razionale

dachra film venezia 2018

“La stregoneria è sempre stata la mia più grande paura e con Dachra ho voluto mostrare quanto può essere oscura l’anima dell’uomo.” Queste le parole con cui il regista, sceneggiatore e produttore tunisino Abdelhamid Bouchnak – all’esordio al lungometraggio – ha presentato il film di chiusura fuori concorso della Settimana Internazionale della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Più o meno invisibile all’interno del programma delle manifestazione, l’opera ha quanto meno il grande pregio di essere il primo horror in assoluto a uscire dalla Tunisia (e tra i pochissimi dell’intero Nord Africa, considerando pure gli pseudo remake di controparti americane realizzati in Egitto).

In ogni caso, il film segue Yasmin (Yassmine Dimassi), studentessa di giornalismo tunisina, e due suoi compagni di corso – Walid (Aziz Jbali) e Bilel (Bilel Slatnia) – che decidono di occuparsi personalmente come progetto scolastico del caso irrisolto di Mongia (Hela Ayed), una donna ritrovata orribilmente mutilata 20 anni prima e che da allora giace rinchiusa in una buia cella di un manicomio, sospettata di essere addirittura una strega.

Pronti per l’innovativo documentario, i tre amici cominciano così a indagare, giungendo infine nello sperduto villaggio boschivo (il dachra del titolo), disperso tra le colline tra capre nere, donne sinistramente silenziose, brandelli di carne animale lasciati a penzolare all’aperto e maleodoranti pentoloni fumanti. Il capo villaggio sospettosamente amichevole, Saber (Hedi Majri), li invita a restare per la notte mentre lui va a recuperare il loro veicolo a valle, ma quando Yasmin comincia a insospettirsi e a capire che effettivamente la situazione è molto pericolosa, provare a fuggire non sarà così facile.

Ambiziosissimo (il giovane Abdelhamid Bouchnak ha detto durante la presentazione al Lido che, più che i vari Non Aprite Quella Porta o Psycho, l’ispirazione cardine della sua opera prima è addirittura Stalker di Andrej Tarkovskij), Dachra, almeno nelle intenzioni dell’autore, vorrebbe essere paradigma e allegoria della situazione post Rivoluzione del suo paese natale, in cui ancora oggi faticano a convivere la superstizione e i riti legati al passato (gli adulti / anziani) e il progresso, l’occidentalizzazione libertaria slegata dalla religione (i giovani).

La vicenda raccontata è infatti ‘basata su fatti realmente accaduti‘, in riferimento ai rapimenti di bambini e adolescenti in tutta l’Africa per motivi meramente scaramantici (in verità, è quasi sempre la povertà delle famiglie e portare gli stessi genitori ad accusare di stregoneria i loro stessi figli per disfarsene ed evitare conseguenze sociali all’interno delle rispettive comunità).

Tuttavia, questi interessanti elementi regionali vengono più o meno circoscritti ed esplicitati solo nei momenti iniziali (il professore che si lamenta dei troppi progetti sulla Rivoluzione appunto, spingendo gli studenti ad andare ‘oltre’ le convenzioni imminenti ed esplorare l’immanente e ciò che nessuno vuole ancora toccare, per paura o per tradizione) e in quelli finali (con le fotografie ‘prove’ che quanto visto accade per davvero in quei posti), con Dachra che ben presto sceglie una direzione ben più familiare per gli appassionati di cinema del terrore, servendosi di passaggi poco logici ma necessari per creare spaventi (l’incontro in solitaria con la pericolosa Mongia nei sotterranei) e stereotipi abusati nelle produzioni low budget (tra cui bambine spiritate che staccano teste ai piccioni per gioco, una comunità isolata lontana dal progresso, personaggi che invitano i protagonisti a scappare prima che sia troppo tardi, incontri spaventosi che si rivelano solo degli incubi, presagi di morte sparsi ovunque che però non sembrano essere sufficienti a scoraggiare nessuno dal proseguire nel ficcanasare ecc.).

Persino gli ambienti vengono depotenziati delle connotazioni geografiche più specifiche, tanto che l’azione si svolge in boschi e in strutture che potrebbe trovarsi benissimo in Europa o negli Stati Uniti.

La scelta di riprendere molte sequenze in un quasi bianco e nero desaturato conferisce all’insieme un’atmosfera sufficientemente metafisica e ancestrale, facendo emergere la verve autoriale di Abdelhamid Bouchnak – alla fine incerto su come bilanciare un impianto commerciale e una sceneggiatura che vorrebbe essere impegnata -, ma i tre protagonisti, piuttosto irritanti e stupidi (specie i due maschi), non aiutano certo a empatizzare con loro o con quella che sarà la loro sorte.

Ed è un po’ un peccato, perché di spunti orrorifici – figurati o concreti – Dachra ne mette sul piatto un bel po’, affiancando ai classici jumpscare (in biblioteca o nel manicomio), sequenze forti come quella di apertura, in cui un uomo con un coltello si china su un ragazzino privo di sensi (“Ha la chiave negli occhi!”) e gli squarcia la gola, inondando del suo sangue la pietra / altare sottostante al culmine della barbara cerimonia.

In definitiva, il film di Abdelhamid Bouchnak è esattamente lo specchio della Tunisia che intende raccontare / criticare, un oggetto a metà tra afflati di innovazione e mantenimento dello status quo, che in ogni caso ci si augura però non rimanga un caso isolato.

In attesa di capire quando – e soprattutto se – verrà distribuito in qualche modo dalle nostre parti, di seguito trovate il trailer (con sottotitoli inglesi) di Dachra: