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Voto: 8/10 Titolo originale: Falling Down , uscita: 26-02-1993. Budget: $25,000,000. Regista: Joel Schumacher.

Riflessione | Un Giorno di Ordinaria Follia di Joel Schumacher: la disintegrazione mentale dell’uomo medio

18/05/2020 recensione film di William Maga

Nel 1993, Michael Douglas e Robert Duvall erano i protagonisti di un film controverso, epitaffio della presidenza di Bush padre

Un Giorno di Ordinaria Follia film michael douglas

La guerra privata del cittadino Joe continuava nel 1993. Quasi vent’anni dopo il film di John G. Avildsen, un altro piccolo borghese americano, bianco e incattivito, scende a sparare per le strade della metropoli rivendicando il proprio diritto di esistere. Un uomo in caduta libera quello di Un Giorno di Ordinaria Follia, come suggerisce il titolo originale di Falling Down (meno prosaico di quello italiano e mutato dalla nota filastrocca London Bridge is Falling Down), l’atteso film di Joel Schumacher (Ragazzi Perduti) con il superdivo Michael Douglas (reduce dagli scandali di Basic Instinct) presentato in anteprima in concorso al Festival di Cannes.

Un Giorno di Ordinaria Follia film posterIn patria fenomeno sociale di dimensioni inattese, commentato sulle prime pagine dei giornali e protagonista di vivaci dibattiti televisivi, Un Giorno di Ordinaria Follia può essere letto come l’epitaffio della presidenza George Bush padre: perché il disgraziato protagonista del film è figlio della sbornia patriottica e della deregulation selvaggia di quegli ultimi anni, un milite ignoto del sistema che una mattina più storta delle altre va via di testa e combina un macello.

Il crack down dell’uomo tranquillo data l’11 giugno 1991. Pigiato alle otto del mattino in un ingorgo che sembra non sciogliersi più, William Foster, alias D-Fens (così è immatricolata la sua scalcinata Honda) molla lì la macchina e s’avventura a piedi nei quartieri periferici di Los Angeles. Camicetta bianca a maniche corte con cravatta nera, tre penne nel taschino, occhiali dalla montatura pesante, scarpa bucata e capelli tagliati a spazzola, ha un’aria da impiegato perbene, e forse lo è.

Ma oggi c’è qualcosa di strano nell’aria. Sarà perché la figlia compie gli anni e la moglie separata, che abita nel quartiere Venice, gli intima por telefono di non farsi vedere. Sarà il caldo soffocante e spugnoso che annebbia i sensi. Sarà la rabbia che monta di fronte all’ingigantirsi sordo del brusio urbano. Di fronte al logorio della vita moderna non resta che «difendersi».

Il primo a farne le spese è un negoziante coreano che si rifiuta di cambiargli una moneta. D-Fens gli devasta il locale con una mazza da baseball, autoriducendo i prezzi dei generi alimentari. Poi tocca a due chicanos che lo minacciano per aver calpestato il «territorio» senza permesso: botte anche per loro. E quando quelli provano a vendicarsi sparandogli addosso un intero caricatore, il borghese piccolo piccolo cambia tattica: ruba una borsa piena di mitragliette Uzi e comincia a fare le cose in grande.

È azzeccata l’idea di raccontare in Un Giorno di Ordinaria Follia la disintegrazione mentale di questo uomo medio (scopriremo poi che l’azienda missilistica in cui lavora l’ha licenzialo da mesi) attraverso le stazioni di un’ingloriosa Anabasi tra le insidie della città. Ogni volta un po’ più armato e guerriero. D-Fens terrorizza maldestro gli avventori di un fast-food, fredda un neonazista che vende cimeli di guerra, calpesta lussuosi campi da golf provocando infarti ai ricconi, fa esplodere un colpo di bazooka nelle fogne: tutto con la consapevolezza di non aver più niente dà perdere. Vuole solo rivedere la figlia, e lì, sulla piattaforma in legno di Venice Beach, avverrà la resa dei conti con lo sbirro a pochi mesi dalla pensione che l’insegue da tutta una giornata.

Un Giorno di Ordinaria Follia film duvallIl problema, con Un Giorno di Ordinaria Follia, non è di stabilire se è politically correct o no. Il copione scritto dall’ex attore Ebbe Roe Smith opportunamente si tiene in bilico tra la descrizione pietosa di un uomo disorientato, un dinosauro razzista che insegue ossessivamente un passato franatogli sotto i piedi, e l’evocazione di una violenza diffusa, multirazziale, poi concretizzatasi nei terribili scontri di Los Angeles.

E le parentesi comico-grottesche che scandiscono la marcia dell’uomo verso il mare sembrano funzionali al disegno complessivo del film, che è un po’ quello di rappresentare il risentimento della middle class americana in chiave non fascista, evitando insomma di trasformare D-Fens in una riedizione di lusso del giustiziere della notte Charles Bronson.

Purtroppo qualcosa di stonato grava sull’atmosfera generale del film di Joel Schumacher, che in apertura di rifà apertamente a di Federico Fellini,  magari quel sovrappiù di patologico che emerge via via dalla condizione esistenziale del protagonista: che gli autori spiegano eccessivamente, fino a farne un caso umano da compatire, e quindi sul piano simbolico un personaggio meno potente. Ma certo Michael Douglas è bravo nel restituire per dettagli progressivi la stolida aggressività di questo borghese all american impantanato in una Los Angeles accecante e degradata (mirabilmente fotografata dall’operatore polacco Andrzej Bartkowiak) che condensa le magagne di un’intera nazione.

Gli sono accanto quella vecchia volpe di Robert Duvall (Apocalypse Now), nel ruolo del poliziotto vessato dalla moglie nevrotica e la sempre bella Barbara Hershey, nella parte dell’ex coniuge minacciata dal matto, che bissa così la sua presenza quell’anno a Cannes (era anche in Duca si nasce!).

Costato circa 25 milioni di dollari, ne incassò appena 40 globalmente, ‘schivando’ – inevitabilmente visto il soggetto – qualsiasi nomination a premi di qualunque genere (ammesso che ne meritasse), riuscendo però a entrare nell’immaginario collettivo come emblema di un certo tipo di situazione, molto americana (ma guardata con malcelato ‘interesse’ nel resto del mondo).

Di seguito una scena clou di Un Giorno di Ordinaria Follia: