Voto: 5/10 Titolo originale: Serenity , uscita: 24-01-2019. Budget: $25,000,000. Regista: Steven Knight.
Serenity – L’isola dell’inganno: la recensione del film con McConaughey e Hathaway
18/07/2019 recensione film Serenity - L'isola dell'inganno di Giovanni Mottola
Steven Knight gira un thriller 'marinaresco' che fa acqua da tutte le parti: più che di meta-cinema, trattasi di cinema a metà
Può capitare che si distrugga con le proprie mani quel che di buono le stesse avevano costruito, ma di rado ciò avviene per la volontà folle di far saltare un banco che, seppur non particolarmente generoso, sta comunque arridendo al giocatore. È il destino di Serenity – L’isola dell’inganno: come thriller classico parte bene, ma dopo circa un’ora, volendo rischiare un azzardo e sopravvalutando forse la familiarità che ha con le barche in qualità di pescatore dilettante, il regista e sceneggiatore Steven Knight (Locke) sottopone il film a un’inutile “strambata” che lo porta in cattive acque.
È vero che la prima parte non si avvale di una particolare originalità, ma ciò può apparire il frutto della volontà di riproporre lo schema tipico del noir anni Quaranta / Cinquanta e non disturba lo spettatore, che ne ritrova con piacere gli elementi: il protagonista solitario, virile e tormentato; la femme fatale; il passato turbolento; il mistero e la sensazione di un’imminente resa dei conti finale.
I richiami ai film di Marlon Brando, Humphrey Bogart e Robert Mitchum sono così numerosi che non vale la pena citarne alcuno in particolare. Un ruolo ancor più rilevante lo gioca poi la letteratura marinaresca, perché nella sua sfida a un tonno gigante il reduce Baker Dill (Matthew McConaughey) ricorda inevitabilmente – pur in una versione patinata e compiaciuta negli sfoggi di virilità – il Santiago de Il vecchio e il mare o, nei suoi momenti di maggiore ossessione, il capitano Achab.
Se da un lato Steven Knight dimostra di aver letto Ernest Hemingway e Herman Melville, dall’altro dev’essergli però sfuggito Giacomo Leopardi, perlomeno quello che sottolineava come quasi tutti gli uomini che valgono molto hanno le maniere semplici e quasi sempre le maniere semplici vengano invece prese come indizio di scarso valore.
E così non si contenta di raccontare la lineare vicenda di un pescatore la cui esistenza si barcamena sull’immaginaria isola di Plymouth, dove campa della pesca propria e di quella dei turisti che lo pagano per farsi portare al largo, e un giorno viene raggiunto dalla bellissima ex moglie che gli offre molto denaro per uccidere il nuovo marito, un malavitoso ricchissimo e violento con lei e con il figlio che ebbero insieme.
Sarebbe stato materiale sufficiente per costruire una storia avvincente, da un lato sfruttando la suggestiva ambientazione dell’isola di Mauritius e la presenza di due divi come McConaughey e Anne Hathaway, dall’altro lavorando sui personaggi di contorno (che invece restano scialbi) e sugli elementi necessari per mantenere ritmo e tensione. Invece, a poco a poco Serenity – L’isola dell’inganno il destino prende una strada tutta diversa e sbagliata, che si disvela al pubblico quando si scopre chi sia il buffo personaggio dotato di valigetta, vestito di un abito scuro che poco s’intona all’ambiente isolano, che compare a più riprese sulle tracce di Baker Dill.
La sua figura, così estranea, aveva sino a questo momento sollevato aspettative che vengono deluse, perché egli non costituisce la chiave per comprendere la prima parte del film, ma per incominciare uno nuovo che si aggancia a quello iniziale ma di fatto lo priva di un senso logico.
Nell’interesse dello spettatore stesso sarebbe forse meglio bruciare la sorpresa in modo che egli possa guardare l’intera opera in possesso di tutte le informazioni fin da subito e valutare così quanto il lavoro del regista sia stato efficace e funzionale rispetto all’idea di fondo. Potrebbe guardare Serenity – L’isola dell’inganno il destino con occhi e aspettative diverse, godersi la vicenda e trovare un significato ai vari stereotipi sia di sceneggiatura che di recitazione presentati.
Assistendovi invece con la pretesa che dalla premessa si arrivi a una conclusione coerente, il pubblico proverà solo delusione nel trovarsi poi dirimpetto a questa svolta perpetrata dallo Steven Knight sceneggiatore, la quale, come quando s’inizia a chiudere la camicia abbinando il primo bottone all’asola sbagliata e di conseguenza si sbaglia tutta l’allacciatura, costituisce quell’errore originario che si ripercuote sul lavoro del Knight regista.
L’ambivalenza della vicenda spiega quindi per quale ragione egli risulti incapace di fornire un adeguato taglio alla storia e di mettere a loro agio gli attori. Secondo i canoni della prima metà di Serenity – L’isola dell’inganno, Anne Hathaway è infatti fuori parte, penalizzata da un ruolo privo di quella malizia e di quel lato torbido che una femme fatale dovrebbe possedere; l’antagonista è costruito su toni violenti ma troppo rozzi per conferirgli la caratura necessaria per un noir, finendo con l’apparire più un cattivo da operetta che un duro da revolver.
Il protagonista, a differenza di tutti gli altri, è colui che deve farsi carico della svolta del film e questo gli consente di rimanere sé stesso e dunque di salvarsi parzialmente. Ma anche lui finisce col trovarsi a mal partito in un contesto che all’improvviso diventa meta-cinematografico, dove si fatica a distinguere la religione, il libero arbitrio e i videogiochi.
La stessa casa di produzione deve averci capito poco se ha deciso di risparmiare sulla sua promozione nonostante la presenza di due premi Oscar come protagonisti, figuriamoci il povero spettatore. Quello poco avvezzo a certi solipsistici meccanismi cinematografici uscirà dalla sala col mal di testa. Si annoierà a morte, invece, quello ferrato abbastanza da sapere che nulla è più prevedibile di un colpo di scena, soprattutto quando è fine a sé stesso.
Di seguito trovate il full trailer nella versione italiana di Serenity – L’isola dell’inganno, nei nostri cinema dal 18 luglio:
© Riproduzione riservata