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Voto: 6/10 Titolo originale: TRON: Ares , uscita: 08-10-2025. Budget: $150,000,000. Regista: Joachim Rønning.

TRON: Ares, la recensione del terzo film, dirige Joachim Rønning

08/10/2025 recensione film di William Maga

Jared Leto è al centro di una visione sonora e visiva poderosa, che ha idee forti sull'intelligenza artificiale e la “permanenza”, ma cade su personaggi esili e una nostalgia ingombrante

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TRON: Ares riprende il filo della saga ribaltandone l’asse: non più l’umano risucchiato nella griglia digitale, ma il digitale che deborda nel mondo fisico grazie a un “laser generativo” capace di stampare oggetti e corpi, destinati però a dissolversi dopo ventinove minuti.

L’idea della “permanenza” diventa la nuova pietra filosofale: una chiave matematica inseguita da due visioni opposte, Eve Kim (interpretata da Greta Lee), visionaria CEO della ENCOM, che sogna di creare vita e rigenerare la Terra, e Julian Dillinger (Evan Peters), erede spregiudicato deciso a vendere quell’invenzione come arma al miglior offerente.

Al centro, la figura di Ares (Jared Leto), creatura digitale progettata per obbedire ma capace di evolversi, e Athena (Jodie Turner-Smith), il suo braccio destro, divisa tra lealtà e coscienza. Il film, qui, trova la sua tesi più fertile: l’innovazione come terreno conteso tra utopia pubblica e rendita privata, con l’intelligenza artificiale ridotta a questione morale prima che tecnica. Quando TRON: Ares interroga il presente – appropriazione tecnologica, sfruttamento, responsabilità autoriale e industriale – è sorprendentemente vivo.

Joachim Rønning, alla regia, orchestra un apparato sensoriale che ipnotizza: la fotografia intesse scie di luce come calligrafia nell’aria, i passaggi tra schermo e vetro, pixel e pioggia, fanno collassare confini percettivi; la colonna sonora dei Nine Inch Nails (Trent Reznor e Atticus Ross) pulsa come un cuore meccanico e aggiunge gravità filosofica al moto perpetuo delle sequenze. Il risultato è una trance audiovisiva che invoca la sala grande: inseguimenti su motocicli-luce in città reali, ricognitori che incombono come archi di pietra volanti, geometrie che si aprono e si richiudono con la logica di un montaggio-sinapsi. È cinema che “suona” quanto mostra.

tron ares film 2025Quando però si scende dal livello concettuale a quello umano, l’incantesimo si incrina. Ares, creatura digitale programmata all’obbedienza, dovrebbe attraversare un arco “frankensteiniano” verso la coscienza; il film lo suggerisce con tocchi belli (la pioggia sulla pelle, l’insetto nel palmo), ma la recitazione resta contenuta fino all’opacità, e la trasformazione emotiva finisce evocata più che incarnata.

Al contrario, Athena, il suo braccio destro, ha una chiarezza scenica che seduce: corpo-danza, disciplina, spietatezza che apprendono a dubitare. Eve, la dirigente idealista, possiede motivazioni limpide e un’economia di gesto che convince; ma le sue ferite vengono spesso raccontate più che vissute. Il cattivo rampante, Julian Dillinger, infine, è il solito erede ansioso di lasciare il segno: funzionale, non memorabile.

Sul piano drammaturgico la “permanenza” è concetto magnetico e metafora potente (cosa merita di restare? un albero o un carro armato?), ma non sempre genera conflitto complesso: il tempo che scade ogni ventinove minuti è un gran motore per l’azione, meno per le relazioni. Il film tende a privilegiare l’andamento-gioco: missioni a tempo, rilanci, boss di livello, ondate di cloni. Quando invece si ferma a ragionare, affiorano intuizioni notevoli: il creato che rifiuta il suo creatore, il codice che chiede diritti, la cura come alternativa alla conquista. È in questi lampi che TRON: Ares ritrova il respiro del capostipite, tecnologia non come feticcio ma come etica.

Resta l’elefante nella stanza: la nostalgia. Rievocazioni, oggetti totemici, volti che ritornano – tra cui il cammeo di Jeff Bridges nei panni di Kevin Flynn – ammiccamenti piacevoli, ma la bilancia pende. La saga nasce come laboratorio d’avanguardia; quando il richiamo all’album dei ricordi soffoca il rischio, l’opera si adagia. Laddove, invece, la messa in scena osa – stereoscopia usata per costruire spazio, non per lanciarci addosso un effetto; transizioni concettuali che legano circuito e città – il film fa esattamente ciò che promette: aggiornare l’immaginario TRON al presente.

In definitiva, TRON: Ares è un’esperienza audiovisiva di rara compattezza, capace di trasformare luce e suono in pensiero, e insieme un racconto che inciampa quando deve dare carne e contraddizioni ai suoi archetipi. Chi cerca un ballo di luci troverà una festa sinestetica; chi pretende personaggi complessi resterà a metà. Ma le domande che lascia – a chi consegniamo le chiavi del futuro? come impedire che l’algoritmo divori il mondo? cosa è davvero degno di durare? – meritano la sala, l’ascolto e la discussione che ne seguirà.

Ddi seguito trovate il trailer doppiato in italiano di TRON: Ares, nostri cinema dal 9 ottobre: