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Voto: 6.5/10 Titolo originale: The Haunting of Hill House , uscita: 12-10-2018. Stagioni: 1.

Hill House (stagione completa): la recensione dell’adattamento di Mike Flanagan (su Netflix)

12/10/2018 recensione serie tv di Raffaele Picchio

Il regista reinventa il celebre libro di Shirley Jackson trovando nella serialità la dimensione più consona per raccontare un melodramma horror complesso e sanamente inquietante, utilizzando in modo intelligente tutti i cliché del genere senza strizzare l'occhio a insopportabili revival o grotteschi deliri kitsch

In tempi dove tutto viene remakeizzato e serializzato, era solo questione di tempo prima che il mitico libro The Haunting of Hill House di Shirley Jackson, conosciuto in Italia come La casa degli invasati (o come L’incubo di Hill House), venisse rivisitato, con tutto il corollario di meccanismi che il “nuovo horror” post James Wan ha nel bene o nel male sdoganato. Per chi non conoscesse il romanzo originale, considerato un capolavoro della letteratura di fantasmi al pari di Giro di vite di Henry James, fu già adattato per il cinema da Robert Wise nel 1963 per il suo capolavoro, Gli Invasati e poi nel 1999 stuprato dall’ignobile remake – Haunting – Presenze – di Jan De Bont.

Fondamentalmente raccontava di un gruppo di persone più o meno con esperienze paranormali alle spalle che venivano rinchiuse dentro l’inquietante magione di Hill House, casa apparentemente infestata dagli spettri, da un professore di antropologia deciso a studiarne le reazioni e ad osservare eventuali fenomeni paranormali reali. La finezza del libro (e del film di Wise) è che tutto quanto poteva essere interpretato in modo razionale o meno, traendone le proprie personali conclusioni.

Ed ecco che Netflix decide di ricorrere a questa falla mettendo tutto nelle mani dell’ormai di casa Mike Flanagan (Somnia, Il gioco di Gerald) che si preoccupa di scrivere e dirigere questo adattamento che, dal materiale alla base, a parte la magione che dà anche il titolo alla serie, stravolge intelligentemente tutto quanto, andando a realizzare qualcosa che alla fine è decisamente lontano dai modelli originali.

In un continuo e incessante (e piuttosto faticoso da seguire) susseguirsi di flashback/flashforward si raccontano il passato e il presente della famiglia Crane e sopratutto dei suoi figli ormai adulti e irrimediabilmente segnati nella vita dagli orrori a cui sono stati testimoni vivendo per anni all’interno della casa, usando una struttura abbastanza particolare che si concentra sui singoli protagonisti per dipanare un affresco ambiziosissimo a cavallo tra spaventi e melodramma di famiglia in disfacimento.

Rispetto a serie come Stranger Things o American Horror Story, Hill House si contraddistingue subito per la sua classicità e per la scelta di operare ritmi molto lenti e riflessivi che mettono in primissimo piano i personaggi umani e tutti i loro drammi interiori e solo in secondo la parte più smaccatamente horror. Non c’è un filo di ironia e tutto è molto funereo e adulto, andando parecchio in controtendenza alla richiesta del pubblico dei binge watchers, che dovrà pazientare alquanto prima di sentirsi immediatamente coinvolto.

Infatti, inizialmente la prima cosa che salta all’occhio è che l’intero progetto poteva tranquillamente rientrare all’interno di un film di due ore e che l’eccessiva durata di tutto quanto (sono 10 episodi da circa un’ora l’uno) non giova gran che al ritmo generale che risulta piuttosto altalenante, soprattutto nella prime fasi.

In verità, andando avanti episodio dopo episodio e iniziando a mettere insieme i confusi tasselli temporali, tutto inizia ad acquistare senso e ritmo, tanto che verso la metà dello show arriva un bel twist narrativo che rimette in gioco tutto quanto e trascina verso l’inquietante finale, tutt’altro che rassicurante, un’opera complessa e ambiziosa. Mike Flanagan rispetto i suoi lungometraggi sembra trovarsi decisamente più a suo agio in una narrazione più corale e ampia, riuscendo a miscelare alla perfezione le due anime di Hill House.

Ovviamente tutto questo non tralascia il lato strettamente orrorifico, che è un po’ il bignami di tutto quello che ci si può aspettare nel genere: jumpscare (qualcuno telefonatissimo, qualcun altro terribilmente efficace), porte che non si aprono, rumori, fantasmi, esplosioni gore, insetti orribili, scale a chiocciola e paranoia crescente, sono tutti elementi che si susseguono riuscendo a creare anche una discreta atmosfera di tensione fino alla fine.

Non aggiungono niente di più a quanto ormai si è abituati a vedere, ma vengono maneggiati e usati con parsimonia e intelligenza, senza mai creare quell’effetto fastidioso da ‘casa degli orrori’ del Luna Park. Menzione positiva anche per l’ottimo cast (su tutti Carla Cugino e Timothy Hutton), i cui membri se la cavano più che egregiamente nell’interpretare ruoli difficili senza mai cadere nella macchietta.

Hill House è senza ombra di dubbio il miglior lavoro firmato da Mike Flanagan (impegnato in questo momento sulla trasposizione di Doctor Sleep di Stephen King), che sta e senza difficoltà uno dei titoli più di prestigio griffati Netflix, riuscendo a inserirsi molto bene tra il raffinato capolavoro che è Penny Dreadful e gli inquietantissimi creepypasta proposti in Channel Zero, tra i più interessanti horror seriali prodotti negli ultimi anni.

Di seguito il dietro le quinte di Hill House, nel catalogo di Netflix dal 12 ottobre: