Alexander Payne: “I film di oggi non mi interessano e non capisco le durate di 3 o 4 ore”
19/08/2025 news di Stella Delmattino
Il regista ha parlato del cinema contemporaneo e dei suoi prossimi progetti

Alexander Payne, regista di The Holdovers, Election e dei premi Oscar Paradiso amaro e Sideways, è stato recentemente premiato al Locarno Film Festival con il prestigioso Pardo d’Onore. Ma ciò che lo entusiasma di più non è il riconoscimento, bensì la possibilità di riscoprire i grandi classici del cinema.
“Questo corso universitario sul cinema britannico del dopoguerra è incredibile,” ha raccontato durante la retrospettiva Great Expectations. “Non potrei essere meno interessato ai film nuovi. Mi interessano solo quelli vecchi. La stella finora è L’assassino è alla porta del 1960. Un film pazzesco!”
A 64 anni Payne mantiene lo spirito ribelle del cineasta innamorato della settima arte. Riflettendo sul premio ricevuto, ha dichiarato: “Dovrei dire: ‘È un grande onore. Grazie mille.’ Anche se mi sento troppo giovane per un riconoscimento alla carriera, lo prendo come un incoraggiamento per il resto della mia carriera.”
Con Variety, Payne non ha nascosto le sue frustrazioni verso il cinema contemporaneo, accusato di essere troppo lungo e gonfiato:
“Vedo troppi film da tre o quattro ore senza un vero motivo. E quando li guardo penso continuamente: ‘Taglia, taglia. Ho capito. Taglia.’”
Il regista punta il dito contro l’industria dei manuali di sceneggiatura e le rigide strutture nate negli anni ’80, che secondo lui hanno ucciso la libertà creativa della New Hollywood degli anni ’70:
“Mi sono evoluto nel pensiero su queste cose. Quando sono uscito dalla scuola di cinema negli anni ’90, ero contro Syd Field e Robert McKee. Io defeco su quei dogmi della sceneggiatura. Chi dice che l’atto uno deve finire a pagina 30? Noi uscivamo dagli anni ’70, che avevano film bellissimi, esplorativi e artistici. Poi sono arrivati gli anni ’80 e le cose sono crollate, certamente nel cinema americano. Con i miei amici snob di scuola di cinema accusavamo quei libri di trasformare tutto in formule.”
Ciò che Payne apprezza davvero è la semplicità del racconto: “I film migliori sono più letterati, più economici, più efficienti, più interessati soltanto a raccontare una storia senza essere pretenziosi. Io apprezzo molto l’economia narrativa.”
Il futuro del regista guarda all’Europa. Questo autunno si trasferirà in Danimarca per girare Somewhere Out There, film d’autore con Renate Reinsve.
Per finanziare il progetto ha persino ottenuto la cittadinanza greca: “Non è che mi importi molto della cittadinanza greca, ma l’ho presa con un obiettivo pratico: fare film in Europa e qualificarmi per i finanziamenti statali. E gli Dei del cinema mi hanno portato questo progetto danese.”
Poi sarà la volta del sequel di Election, a 25 anni di distanza, e infine di un progetto che lo entusiasma particolarmente: un western originale. “Sono a circa 30 o 40 pessime pagine della sceneggiatura,” ha detto ridendo.
Le parole di Payne sono un richiamo appassionato al cinema come arte che deve privilegiare la storia rispetto allo spettacolo, il cuore rispetto alla formula. Che guardi avanti o indietro, di certo il regista non ha finito di lasciare il suo segno.
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