Voto: 5.5/10 Titolo originale: Alien: Romulus , uscita: 13-08-2024. Budget: $80,000,000. Regista: Fede Álvarez.
Alien: Romulus, la recensione del film di raccordo di Fede Alvarez
14/08/2024 recensione film Alien: Romulus di William Maga
Cailee Spaeny è al centro di un settimo capitolo che cerca di trovare un delicatissimo bilanciamento tra il capostipite e il sequel di Cameron, con risultati alterni
Saltando la parte in cui si potrebbe (o dovrebbe?) fare una legittima digressione introduttiva – forse tediosa, forse banale, quasi sempre affrettata – su quanto accaduto negli ultimi 45 anni, passiamo subito a dire le ovvietà, cioè che Alien: Romulus di Fede Alvarez (La Casa) è il settimo capitolo della longeva saga, se si escludono i due crossover realizzati in compagnia del cuginetto Predator.
A differenza di quanto fatto dal papà Ridley Scott coi suoi due prequel ‘filosofici’ Prometheus (2012) e Covenant (2017), stavolta però i capoccioni a Hollywood hanno ritenuto opportuno doversi ricollegare direttamente agli eventi del venerato capostipite del 1979, proponendone una sorta di soft reboot che si colloca cronologicamente a cavallo tra il primo e l’Aliens – Scontro Finale di James Cameron (quindi tra il 2142 e il 2179). Un po’ quello che si era tentato con Rogue One.
Si comincia su un oscuro (in tutti i sensi, visto che il sole lì non si vede mai) pianeta minerario governato dalla potentissima mega-corporazione Wayland-Yutani. Dopo che la richiesta di trasferimento altrove della giovane agricoltrice Rain (Cailee Spaeny, vista quest’anno in Civil War) viene ripetutamente respinta e si prospettano per lei altri anni di durissimo lavoro, la ragazza decide, insieme al suo fratellastro androide non del tutto ‘registrato’ Andy (David Jonsson), di partecipare a un piano rischioso: i suoi amici Tyler (Archie Renaux) e Kay (Isabela Merced) vogliono infatti, insieme ad altri due abitanti stanche di quella vita di recuperare alcune capsule criogeniche da una stazione spaziale inspiegabilmente abbandonata nella loro orbita, la Romulus, per poi intraprendere un viaggio di nove anni verso il pianeta Yvaga III, verde e lussureggiante.
Ciò che non possono immaginare è che quel luogo non è disabitato, perché la forma di vita più implacabile, mortale – e alcuni dicono perfetta – dell’universo vi ha messo radici e sta solo aspettando nuovi ospiti.
Alien: Romulus inizia con un tranquillo movimento della mdp attraverso i resti della Nostromo, l’astronave cargo distrutta in Alien. Ricorderete probabilmente che i primi capitoli del franchise si prendevano tutto il tempo necessario per costruire tensione e atmosfere minacciose e claustrofobiche, oltre che tratteggiare i personaggi.
La sceneggiatura di Fede Alvarez e Rodo Sayagues opta invece per interrompere il silenzio cosmico in cui nessuno può sentirci urlare già dopo pochi secondi, con un’esplosione. Un’astronave di recupero appare in scena, vengono attivati i processi automatici di ripristino e le componenti elettroniche si riattivano.
Presto diventa evidente che Fede Alvarez, nella sua versione di Alien, ha deciso di virare verso il rumore e l’azione piuttosto che per la suspense e la sottigliezza. Il regista stesso ha sottolineato come il videogioco Alien: Isolation, uscito nel 2014, lo abbia ispirato nella creazione della storia di Romulus.
Nel gioco, anch’esso ambientato a cavallo tra i primi due capitoli della saga, seguiamo la protagonista Amanda Ripley (figlia di Ellen) proprio mentre si muove attraverso una stazione spaziale abbandonata.
L’ispirazione di Fede Alvarez da un videogame è evidente anche negli snodi della trama: i membri della squadra, ad esempio, devono trovare le batterie per le capsule criogeniche all’altro capo della stazione, procurarsi armi nel centro di comando e muoversi silenziosamente in una stanza infestata da facehuggers, mentre ricevono costantemente ordini e frammenti di notizie attraverso un androide collegato con loro via radio.
Queste dinamiche creano coinvolgimento, che lascia poco spazio alle pause. Come dentro una casa infestata, gli spettatori vengono trascinati così insieme ai protagonisti attraverso bui corridoi filmati da angolazioni distorte. Corpi cadono verso la cinepresa o vengono tirati su nelle strette tubature.
Anche grazie all’uso di riprese insolite e alla velocità imposta a monte, l’idea dovrebbe essere quella di trovarsi in un frenetico incubo. I set scarsamente illuminati e il sound design riportano alla mente anche la serie di videogiochi Dead Space (che a loro volta pescavano dal capolavoro di Scott … ) e rappresentano i maggiori punti di forza di Romulus, parimenti alla meticolosità nella costruzione dei set e all’artigianalità di molti effetti speciali, che donano al risultato un tocco deliziosamente old school.
Naturalmente, sia Alien che Aliens – Scontro Finale sono riferimenti facilmente identificabili in Romulus (ma non mancano strizzate d’occhio a ogni capitolo successivo, attraverso battute o immagini iconiche) e risulta difficilissimo non pensare al termine fan service, spesso inflazionato nel contesto Marvel (ma siamo pur sempre in casa Disney qui …), mentre la colonna sonora di Benjamin Wallfisch (Blade Runner 2049) contiene elementi del passato da Jerry Goldsmith, James Horner e Harry Gregson-Williams.
E poi abbiamo i poveri membri della classe operaia sfruttati, l’eroina solitaria, l’androide testardo e un conflitto amorale tra la sopravvivenza del gruppo e gli interessi capitalistici della megacorporazione. Anche a livello meramente visivo, le allusioni sono così numerose che dovrebbero risultare familiari non solo ai fan sfegatati del franchise. Condotti di ventilazione bui, tecnologia retofuturistica, Xenomorfi vischiosi e il ritorno di un ‘vecchio amico’ faranno senz’altro battere il cuore agli appassionati.
Dal delicatissimo canto suo, Fede Alvarez prova comunque a metterci anche farina del suo sacco. La stazione spaziale deserta di Alien: Romulus assume allora lo stesso ruolo della baita o della villetta di La Casa (2013) e Man in the dark (2016), luoghi in cui giovani personaggi intercambiabili e senza appeal, la cui caratterizzazione non va oltre battute cool e un atteggiamento disinvolto del tipo “cosa potrebbe mai andare storto??”, vengono eliminati uno dopo l’altro senza che a noi importi più di tanto (ed evitiamo di tirare in mezzo Sigourney Weaver con paragoni impossibili).
Se fin qui, tutto sommato, si potrebbe pure essere contenti viste le premesse, quello su cui – chi scrive almeno – ha fatto estrema fatica a sorvolare sono due cose.
Primo, i piccoli ma grandissimi dettagli che dimostrano come nessuno presti ormai particolare attenzione alle sceneggiature a Hollywood.
Si può essere tacciati di eccessiva pignoleria nel domandarsi perché nessuno alla Wayland-Yutani abbia deciso di cercare una stazione orbitante così incredibilmente preziosa, come facciano i protagonisti a vagare tra i suoi immensi e sconosciuti spazi con estrema cognizione senza una mappa, dove spariscano le carcasse di una dozzina di Xenomorfi adulti durante una bella scena a gravità zero, o da dove siano uscite – in primo luogo – quella stessa dozzina di bestiacce?
Il terzo atto di Romulus – farà sorridere molti il perché si chiama così – risulta poi piuttosto caotico e disordinato, poiché gli mancano la chiarezza e la struttura ‘sicura’ dei primi due.
Lo stesso Ridley Scott, che figura tra i produttori esecutivi e ha garantito a Fede Alvarez libertà creativa, assicurandosi però che rimanesse fedele allo spirito dell’originale, ha ammesso di aver apprezzato il suo lavoro su Romulus, ma che in una prima versione del film “c’era troppo”.
Forse è stato sforbiciato qualcosa proprio quando si era in vista del traguardo. Minuti preziosi in meri termini di tempo per rientrare nelle 2 ore complessive, ma forse scene e raccordi importanti per la coesione. Magari li vedremo in futuro.
Tra l’altro, quando mancano 45 minuti ai titoli di coda, scopriamo che anche sulla base spaziale i nostri eroi hanno 45 minuti per completare la missione. Come scoprirete, si tratta solo di una curiosa coincidenza.
Da qui si arriva alla nota davvero dolente di Romulus, gli ultimi 10 minuti. Pazzeschi, allucinanti, sconcertanti. E non in senso positivo. Spaccheranno il pubblico e i giudizi dei fan della saga. Se, con un grande sforzo, si può pensare che questo colpaccio di coda sia un soffio di non richiesta originalità esalato da Alvarez per lasciare il suo marchio nella saga (incredibile che siano stati approvati …), la possibilità che resti l’unica cosa per cui verrà ricordato tra un po’ di tempo – e non benevolmente – è altrettanto concreta.
Insomma, Alien: Romulus gioca in difesa, ha fatto i compiti e non annienta la legacy di una delle saghe sci-fi più importanti della storia come avvenuto altrove (pensiamo a Terminator o Predator), ma se dobbiamo strapparci le vesti per qualsiasi cosa non sia apertamente indecente, allora dovremmo iniziare seriamente a riflettere se ha ancora senso giudicare qualsiasi cosa con un minimo di memoria storica.
Di seguito trovate il final trailer italiano di Alien: Romulus, nei cinema dal 14 agosto:
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