Titolo originale: American Psycho , uscita: 13-04-2000. Budget: $7,000,000. Regista: Mary Harron.
American Psycho di Mary Harron: guida all’interpretazione del film e del finale
27/02/2020 recensione film American Psycho di Sabrina Crivelli
Cerchiamo di capire se il Patrick Bateman di Christian Bale sia davvero un serial killer oppure si sia immaginato tutto nell'adattamento del 2000 del romanzo di Bret Easton Ellis
Era il 2000 quando al Sundance Film Festival debuttava quello che sarebbe diventato uno degli adattamenti più controversi di sempre: American Psycho di Mary Harron (Ho sparato a Andy Warhol). Il film, liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis del 1991, è ambientato nella sfavillante New York degli anni ottanta, di cui però sono esaltati solo il lusso e la vacuità, oltre che il lato più oscuro. Caustica critica sociale ai limiti della distopia, vede protagonista un rampante consulente finanziario, il giovane yuppie Patrick Bateman (Christian Bale), che lavora in un ufficio di Wall Street e abita in un elegante appartamento con vista su Central Park.
Lo seguiamo mentre ci viene raccontata la sua meticolosa routine quotidiana, fatta di cura ossessiva per il corpo (con tanto di maschere anti age, scrub, creme antirughe, yoga mattutino ed esercizi fisici vari), drink e cene nei ristoranti più esclusivi della città, incontri amorosi con la fidanzata Evelyn (Reese Witherspoon) e con l’amante Courtney (Samantha Mathis) e con diverse altre partner. Fin qui, sembrerebbe solo il ritratto del vuoto assoluto fatto di mera apparenze che dominava questo mondo agiato, in cui l’Ego predomina e il semplice scambio di ‘innocui’ biglietti da visita può scatenare una vera e propria crisi esistenziale.
Tuttavia, in un progressivo crescendo di follia, American Psycho conduce lo spettatore attraverso i segreti più indicibili di Pat Bateman, che non solo manifesta chiari sintomi di sociopatia ed egocentrismo estremo, oltre a una buona dose di compulsioni, ma anche una un’irresistibile pulsione sadica, poi omicida. Il protagonista si accanisce su diverse vittime: un senzatetto, il collega Paul Allen (Jared Leto), due prostitute, Christie (Cara Seymour) e Sabrina (Krista Sutton), e diverse altre vittime, perlopiù donne.
Non solo, la sua discesa nelle forme più estreme di depravazione è accompagnata da lunghi e apatici monologhi che alternano giudizi sulle hit musicali del periodo (i Genesis, Whitney Houston …) a discorsi esistenzialisti, infine a ricorrenti riflessioni sull’omicida seriale Ed Gein (il nostro dossier sul ‘macellaio di Plainfield’) e sulle sue turpi ‘imprese’. Intanto, la psicosi di Patric Bateman si acuisce, fino a rendergli impossibile il distinguere cosa sia reale e cosa non lo sia.
Arriviamo così al paradossale epilogo di American Psycho, in cui tutto ciò che accade, tutti gli omicidi, l’intero universo intorno a cui ruota la vita superficiale del protagonista e del suo entourage viene messo in discussione.
Sarà tutto successo veramente, o sarà una perversa fantasticazione frutto solo della sua mente contorta?
In occasione del ventennale dell’uscite del film di Mary Harron, abbiamo deciso di tornare a parlare del cult rimasto impresso nelle menti di un’intera generazione per un’approfondita analisi che fornisca una chiara spiegazione di tutte le incognite nate dalla enigmatica conclusione (e dalla trama più in generale) di American Psycho.
Cosa succede davvero alla fine del film?
Anzitutto, per meglio comprendere l’ambigua scena finale di American Psycho, è necessario fare un passo indietro e soffermarsi per qualche istante sui dettagli della sequenza che lo precede. Tutto ha inizio con un’azione piuttosto banale: Patrick Bateman si avvicina a un bancomat per prelevare. Tuttavia, il tentativo di procurarsi del contante non procede come ci si aspetterebbe; anzi, lo sportello ordina al protagonista di ‘nutrirlo’ con il gattino randagio in cui si è imbattuto poco prima. Perfino un pluriomicida come lui ha però qualche momentanea remora a uccidere la bestiola indifesa ed esita qualche secondo di troppo, mentre punta una pistola contro il felino. Per sua sfortuna, lo nota nel frattempo intento nella nefasta posa una anziana signora impomatata, che si mette a urlare a squarcia gola, interrompendolo, innervosendolo, ma diventando così un’altra delle vittime della sua notte di follia.
Ovviamente, l’omicidio non passa inosservato e il nostro ‘American Psycho’ si ritrova immediatamente con la polizia alle calcagna, poi coinvolto in una sparatoria davanti a un posto di blocco, ma la sua fuga non si ferma. Sebbene sia armato di una pistola e sia costretto a fronteggiare in campo aperto, in netta minoranza, le forze dell’ordine, dopo aver ucciso almeno un paio di agenti e aver addirittura fatto saltare in aria la volante, incredulo continua a scappare senza una meta precisa.
La psicosi sale e con essa altrettanta violenza. Correndo all’impazzata, entra in un palazzo adibito a uffici e, sebbene non sia la Pierce & Pierce – dove lui lavora -, il sorvegliante in servizio sembra riconoscerlo, anche se lo chiama con il nome sbagliato: un generico “Mr. Smith”. Quindi, per non lasciare testimoni, il fuggitivo spara in fronte all’uomo, uccidendo oltre lui anche un inserviente, in cui si imbatte davanti alla porta girevole da cui sta uscendo.
Tra un assassinio a sangue freddo e l’altro raggiunge quindi il suo appartamento. Fuori, s’intravvedono le luci di un elicottero che vola basso nel cielo notturno. Esasperato, Pat Bateman si nasconde sotto la sua scrivania, mentre sente il rumore delle eliche avvicinarsi fuori dalla finestra. Poi, in preda al delirio, chiama il suo avvocato, Harold (Stephen Bogaert), per confessare tutti i suoi misfatti – di alcuni dei quali siamo stati testimoni, altri avvenuti fuori campo. Singhiozzando, rivela ogni cosa alla segreteria telefonica. Afferma di aver ucciso tra le 20 e le 40 persone, tra cui Paul Allen, è convinto di non poterla più fare franca. Conclude quindi la telefonata dando appuntamento al suo legale il giorno dopo in un bar.
Tuttavia, come risvegliatosi da un agghiacciante incubo, ogni traccia dei suoi delitti è scomparsa l’indomani. Che tutto ciò che fino a lì avevamo visto in American Psycho sia stata solo un’allucinazione? I cadaveri smembrati lasciati da Patrick Bateman nell’appartamento di Paul Allen sono spariti – insieme alle scritte scabrose sulle pareti e ai mobili; tutto è stato riverniciato di bianco. Quando il protagonista fa irruzione al suo interno, un agente immobiliare dichiara scocciato che lì non ha mai abitato nessun Paul Allen. Intanto, Jean (Chloe Sevigny) trova un’agenda le cui pagine sono riempite non degli appuntamenti della settimana, ma di disegni inquietanti con rituali macabri e vittime sgozzate o accoltellate; insomma, il libero sfogo su carta del suo capo psicotico. Dunque, rimaniamo incerti se siano solo macabre fantasticazioni o meno. L’apoteosi però è raggiunta nella sequenza che chiude American Psycho, in cui vediamo Patrick Bateman e il suo avvocato incontrarsi in un locale affollato.
Come già accaduto più volte in American Psycho, anche Harold confonde inizialmente Pat Bateman per qualcun altro. Inoltre, è del tutto convinto che il messaggio sulla sua segreteria sia solo uno scherzo. Infatti, come sottolinea ripetutamente, Patrick Bateman è “tanto stupido da non poter essere un serial killer”, non ne avrebbe le capacità.
Il protagonista cerca allora più volte di convincere il suo interlocutore della sua vera identità, nonché del fatto che la sua confessione non sia affatto uno scherzo di cattivo gusto. Ogni suo sforzo però è inutile; l’avvocato si limita semplicemente a negare tassativamente il decesso di Paul Allen, asserendo secco che lui stesso l’avrebbe incontrato pochi giorni prima a Londra (ma sarà stato davvero lui o si sarà confuso?). Poi si allontana. Con tale rivelazione viene quindi messo in dubbio anche ogni altro omicidio avvenuto nel corso del film, che esattamente come il primo potrebbe essere solo il risultato di un’allucinazione.
Cosa NOI pensiamo che sia accaduto?
Non c’è dubbio che Patrick Bateman sia fortemente disturbato, ma il vero interrogativo con cui American Psycho ci lascia è se sia realmente un serial killer o solo un sadico deluso dalla propria esistenza priva di senso e dotato di una vivida immaginazione. Secondo NOI, gli spettatori,Pat Bateman ha davvero commesso molti degli omicidi messi in scena, con una eccezione: Paul Allen. Come siamo giunti a questa conclusione? Bisogna partire innanzitutto dagli indizi che ci vengono forniti. Più immediato è ovviamente il fatto che Harold dichiari di aver incontrato la vittima nella capitale britannica e di aver pranzato con lui in una data successiva al presunto delitto.
C’è da dire che, come per Patrick Bateman, l’avvocato potrebbe aver scambiato una persona per un’altra, errore piuttosto comune tra gli appartenenti al microcosmo privilegiato del protagonista a quanto sembra. A ciò si aggiunge il detective Donald Kimball (Willem Dafoe), che sta effettivamente indagando sulla scomparsa di Allen su richiesta della fidanzata, spaventata per la sua insolita latitanza. Con ciò, non viene mai apertamente dichiarato che sia morto, né è ritrovato il suo cadavere; l’assenza di un corpo però può essere facilmente spiegata dal fatto che Pat Bateman l’abbia fatto sparire.
Poi l’alibi di quest’ultimo, fornito al detective da un altro suo collega (anche lui un sospettato), che lo enumera tra gli amici con cui ha cenato la sera della misteriosa scomparsa. Unendo tutti questi tasselli, siamo portati alla ragionevole deduzione che l’evento non sia realmente successo, ma sia solamente una fantasia del nostro ‘American Psycho’, che per il collega prova un odio viscerale. Ossessionato da lui, s’immagina di poter sfogare la sua ira prendendo a colpi di accetta il suo corpo, ma ciò non si consuma mai nel concreto. Dettaglio non indifferente, potrebbe tra l’altro essere venuto a sapere del viaggio a Londra direttamente da un messaggio registrato sulla segreteria del suo ‘nemico’ e aver poi costruito sopra una sua delirante versione dei fatti.
Anche in questo non c’è però nulla di certo. Come per le altre morti, tutti i crimini di Patrick Bateman hanno confini incerti, surreali, quelli del vissuto distorto di chi li avrebbe commessi. Ciò non toglie che alcuni di essi siano più plausibili di altri; ad esempio, ci sono buone probabilità che si sia consumato davvero il cruento pestaggio del vagabondo (Reg E. Cathey) in stile Arancia Meccanica (l’intervista di Stanley Kubrick sull’utilità violenza al cinema), nonché le torture subite dalle due prostitute. Siamo persuasi di ciò perché tali efferatezze sono assai più facili da occultare, perciò non è così improbabile che siano avvenute e non ci sia stata poi alcuna conseguenza dirette per chi le ha commesse.
Veniamo però al punto saliente: l’intero terzo atto. Indubbiamente fondamentale per la comprensione di American Psycho, ci mostra chiaramente che il punto di vista attraverso cui ci sono presentati finora gli eventi non è assolutamente attendibile. Non che il dubbio non sia già emerso qua e là nelle scene precedenti, ma a partire dal momento in cui il protagonista si avvicina al bancomat per prelevare ciò diventa manifesto.
Quando sullo schermo appare: “Feed Me A Stray Cat” (“Dammi da mangiare un gatto randagio”), è ormai palese che si tratti di un’allucinazione, fatto che mette in discussione la credibilità della voce narrante e tutto ciò che sinora ci ha raccontato. Allo stesso modo, la rocambolesca fuga dai poliziotti è probabilmente frutto della sua mente. Tale supposizione è confermata dall’improbabile esplosione della macchina degli agenti – con tanto di effetti pirotecnici – causata dai colpi sparati da Pat Bateman. Lui stesso, incredulo, guarda la sua pistola, come a domandarsi se davvero sia stata capace di tanto (conferendo alla sequenza una nota grottesca).
Resta da approfondire quanto la sua psicotica rilettura di realtà possa essere applicata a tutto il resto del film. E qui ogni interpretazione potrebbe essere valida. In definitiva, la forza del finale di American Psycho è che non si limita al lasciare in sospeso il numero di uccisioni ad opera di Patrick Bateman (zero, solo alcuni emarginati di cui nessuno si preoccuperà, o tutti quelli confessati, tranne Paul Allen, oppure lui incluso). Il vero merito dell’adattamento sta nella acre e surreale satira delle pagine di Bret Easton Ellis portate sul grande schermo con geniale visionarietà da Mary Harron (che è anche co-sceneggiatrice del film insieme a Guinevere Turner).
L’apice è raggiunto quando il protagonista ammette i suoi orribili crimini, ma nessuno gli crede. Che sia vero o meno in ultimo non ha poi tutta questa importanza, non per chi conduce un’esistenza effimera e consumista, in cui ognuno è sostituibile e il più estremo utilitarismo porta alla totale perdita di senso, perfino dell’identità individuale. Così, come Pat Bateman più volte sottolinea, se l’altro è un mistero insondabile, l’unica aspirazione possibile è conoscere se stessi. Eppure, anche questo tentativo si rivela vano, resta solo un profonde dolore dell’essere che porta alla (auto)distruzione.
E se Patrick Bateman avesse davvero ucciso tutti?
Finora vi abbiamo descritto nel dettaglio la nostra interpretazione del finale di American Psycho, ma non è certo l’unica possibile. Sono molte le teorie a riguardo, prima tra tutti quella che sostiene che patrick Bateman abbia effettivamente compiuto ogni omicidio catturato dalla telecamera, compreso quello di Paul Allen. Per supportare questa posizione più estrema è necessario prestare fede all’intero flusso di coscienza dispiegato nel minutaggio, nonostante il nostro narratore divenga piuttosto inattendibile nel sopramenzionato terzo atto. Come possiamo quindi dargli credito?
Ciò è possibile se si rilegge tutto come una cinica parodia, che rasenta il paradosso e il visionario in molti passaggi, un po’ come ai suoi tempi fu Brazil di Terry Gilliam (la recensione). Inoltre, è fondamentale prestare attenzione a un particolare: Patrick Bateman è costantemente scambiato per un’altra persona. Paul Allen, il suo avvocato, la guardia, in molti lo confondono per qualcun altro. D’altronde, l’intero mondo in cui si muove è composto di una folla indistinta di yuppie che si vestono e pettinano allo stesso modo, frequentano gli stessi posti e fanno (finta di fare) lo stesso lavoro.
Così, il protagonista di American Psycho, nel suo disperato tentativo di adattarsi, finisce per perdere la sua identità; diventa invisibile con indosso i suoi abiti di Valentino e gli occhiali di Oliver Peoples, che gli servono a mimetizzarsi meglio. Come un vero sociopatico omicida, riesce a confondersi perfettamente nella massa, così da poter liberamente scatenare la sua furia nel centro di Manhattan senza destare alcun sospetto. Al contrario, è proprio il suo status sociale a renderlo così insospettabile.
Per quanto riguarda, nella fattispecie, la ‘prematura dipartita’ di Paul Allen, è sempre la satira a fornirci una chiave di lettura. E si torna ancora una volta all’epilogo e al dialogo tra Pat Bateman e il suo avvocato. Infatti, seppure Allen sia presentato sovente presentato come colui che viene invidiato da tutti e come il pezzo grosso a cui è stato affidato il prestigioso ‘pacchetto Fisher’ e che riesce a prenotare un tavolo impossibile il venerdì sera al mitico ristorante Dorsia, fuori dal proprio contesto, è – allo stesso modo di chi lo circonda – uno dei tanti banker indistinguibili uno dall’altro.
Come tale, può essere stato in effetti confuso da Harold, che forse ha cenato a Londra con qualcuno che credeva essere lui, ma che non lo era. Intanto, invece, il cadavere del vero Paul Allen si stava “sciogliendo in una vasca da bagno piena di acido” (come svela il protagonista stesso nella sua confessione telefonica).
Questa teoria perde mordente, però, qualora si pensi allo stato dell’appartamento di Paul Allen alla fine del film. Quando Patrick Bateman, sconvolto, torna sulla scena del crimine, trova delle stanze vuote, in perfetto stato e tinte di fresco. Che sia stato lui stesso a fare pulizia, dopo la sua notte di follia omicida per paura di essere scoperto? Impossibile, lo stato confusionale in cui palesemente si trovava glielo avrebbe impedito. E se la famiglia di Allen, trovati i cadaveri e scomparso Paul, avesse creduto fosse lui il colpevole e cercato di nascondere tutto? Improbabile.
Tale supposizione appare ancor più dubbia, almeno se ci si soffermi a pensare che in caso fosse andata in questo modo, ciò implicherebbe che nessuno si fosse prima premurato di controllare il domicilio del rampollo – famiglia, fidanzata e detective privato compresi, benché di lui non si avessero notizie da parecchi giorni. Casa sua non dovrebbe essere il primo posto in cui cercarlo? Comunque sia, non si può escludere nessuna eventualità quando si parla dell’epilogo di American Psycho.
Cosa ne pensa Mary Harron del finale di American Psycho?
Prima di concludere, è necessario sottolineare che Mary Harron e Guinevere Turner per prime non amano affatto quello che potrebbe apparire come il principale colpo di scena di American Psycho. La regista e la co-sceneggiatrice hanno difatti dichiarato ex post di ritenere il finale eccessivamente ambiguo; e non sono affatto soddisfatte del fatto che gli spettatori, una volta terminato il film, siano usciti dalla sala chiedendosi se fosse tutto soltanto un sogno. Hanno quindi chiarito in modo tassativo che Patrick Bateman è sicuramente un serial killer.
Come ha spiegato la regista in un’intervista:
Penso sia un fallimento da parte mia [il fatto che] che le persone continuino a uscire [alla fine] del film pensando che sia tutto un sogno, e io non l’ho mai inteso così. Tutto ciò che volevo era che fosse ambiguo come lo era il libro. Penso che sia un mio fallimento relativo alla scena finale, perché le ho dato un’enfasi sbagliata. Avrei dovuto lasciare l’epilogo più indeterminato. Sembra che sia successo tutto nella sua testa, e per quanto mi riguarda, non è così.
Nel commento audio nell’edizione Blu-ray / DVD, invece, Guinevere Turner ha aggiunto che la visionarietà si dispiega progressivamente lungo la durata di American Psycho e si accentua nel corso della storia. Tuttavia, il finale non vuole suggerire affatto che Patrick Bateman non sia un omicida; si tratta solamente di un punto di vista soggettivo, attraverso cui tutti gli eventi sono raccontati. In sostanza, ciò che stiamo vedendo è per lo più reale, ma tale realtà subisce qualche superficiale variazione.
Secondo le parole della sceneggiatrice:
Ciò che succede mentre procede il film è che quello che state vedendo è ciò che avviene nella sua testa. Quindi, quando spara a un’auto ed esplode, perfino lui per un secondo pensa tra sé: “Eh?”, perché perfino lui inizia a credere che la sua percezione della realtà non possa essere obbiettiva.
Man mano che impazzisce, quello che vedete diventa sempre più distorto e più difficile da capire, ma è previsto che lui davvero uccida tutte quelle persone, è solo che probabilmente non è così ben vestito, probabilmente non è andato tutto così liscio come lui l’ha percepito, le prostitute probabilmente non erano così sexy, e così via. È solo il fantastico mondo di Bateman.
Quindi cos’è davvero successo nei 90 minuti di American Psycho? E quante sono in tutto le vittime di Patrick Bateman? Diverse sono le versioni e interpretazioni possibili; traete voi le vostre personali conclusioni.
Di seguito la scena della confessione:
© Riproduzione riservata