Voto: 6.5/10 Titolo originale: Ánimas , uscita: 05-10-2018. Regista: José F. Ortuño.
Ánimas | La recensione dell’allucinato horror spagnolo distribuito da Netflix
26/01/2019 recensione film Ánimas di Sabrina Crivelli
La piattaforma streaming mette a catalogo in esclusiva lo straniante film del terrore diretto a quattro mani da Laura Alvea e Jose F. Ortuñolo, che ci sprofondano inesorabilmente negli abissi della mente
A volte un’allucinazione è tanto tangibile da sembrare concreta, da divenire generare una confusione dei sensi che proietta il soggetto nella totale dissociazione. Tale senso di profondo smarrimento domina ogni dettaglio, ogni scena, ogni fotogramma dello straniante e terrificante Ánimas (Souls), film diretto dagli spagnoli Laura Alvea e Jose F. Ortuño (già insieme per The Extraordinary Tale of the Times Table nel 2013).
La trama è labile, un filo impercettibile da seguire nella labirintica evoluzione della diegesi. Álex (Clare Durant) è inseparabile da Abraham (Iván Pellicer) sin da quando lo incontrò, terrorizzato, sul pianerottolo, mentre il padre urlava e picchiava la madre (come vediamo nell‘ouverture decisamente truce). I due vicini di casa son cresciuti quindi insieme, traumatizzati e al contempo uniti da medesimo vissuto durante la loro infanzia. Li troviamo ormai cresciuti, stanno finendo la scuola dell’obbligo. Abraham ha conosciuto una ragazza che gli piace, Anchi (Chacha Huang) e, a causa della nuova fiamma e dell’influenza della sua terapista, si inizia ad allontanare da Álex, con cui prima trascorreva tutte le sue giornate. Allo stesso tempo, la situazione familiare dell’adolescente degenera repentinamente, tra la madre catatonica e il marito che diviene sempre più violento a causa di problemi sul lavoro. Quindi, per entrambi i protagonisti, ognuno per motivi diversi, il mondo intorno inizia letteralmente a sgretolarsi, rivelando una verità oscura e inaspettata.
Ogni dettaglio in Ánimas è costruito sapientemente. Sin dai primi fotogrammi ci troviamo proiettati in questa terra di mezzo, in uno scenario surreale e squallido, illuminato da alienanti luci al neon verdi e rosse. La sensazione che viene trasmessa è subito quella che qualcosa non vada, come un’interferenza percettiva, dello sguardo, che ci porta a presagire ab initio che l’immagine catturata dalla camera da presa sia soggettiva più che oggettiva. Siamo davanti insomma a una figurazione lynchiana, un po’ alla INLAND EMPIRE – L’impero della mente per intenderci, ma meno astratta nell’evoluzione del racconto. Gli interni, sapientemente costruiti nei plurimi close-up e dettagli, ne sono un indicatore chiaro, sembrano non luoghi che dietro alla superficie impolverata, nella penombra, celano un baratro. Sono una soglia più che delle pareti tangibili che si dissolvono con lo scorrere del minutaggio davanti agli occhi sconcertati di Alex – e ai nostri -, mentre cerca di orientarsi in questa dimensione instabile. Ossessionata dal nulla che avanza dentro e intorno a lei, comincia sempre più spesso a vedere una sorta di spettro che silente si materializza alle sue spalle, quando meno se lo aspetta. Intanto, lo spazio-tempo implode, interi segmenti di vita svaniscono e lei si trova sbalzata da un appartamento all’altro del fatiscente edificio, come in un dedalo psichico disegnato da un qualche pittore surrealista.
Qual è il segreto dietro all’orrore che incombe sulla ragazza? Sarà frutto della sua mente o presenza paranormale? Noi insieme a lei perdiamo la cognizione di ciò che è reale. L’angoscia sale in un crescendo vorticoso che coinvolge lo spettatore fino a farlo rabbrividire. La costruzione della suspense è maniacale quanto disarmante. Il vapore della doccia, le luci che saltano, i rumori sinistri dalla griglia dell’aria condizionata, poi un crescendo via via più sinistro fino all’apoteosi onirica, da incubo, tra libri che trattano di malattie mentali, macchie di sangue, artigli che brandiscono la povera vittima (esiste pure una scena hitchcockiana sotto la doccia …), porte sospese sul soffitto e vecchie che sbucciano uova e gridano, mute, da fauci invase dalle tenebre. Ogni particolare è un tassello che viene sottratto all’emisfero fisico, quello della quotidianità serafica che tutti conosciamo, sprofondando Alex gradualmente nella psicosi, e Abraham insieme a lei. Quale sarà la natura della morbosa connessione tra i due?
Da un lato sembra che il ragazzo abbia uno spasmodico bisogno di lei, dall’altro – a tratti – si ha il presentimento che voglia eliminarla. Lui, personaggio ambiguo, da una parte sembra estremamente fragile, dall’altra feroce, in qualche sguardo, in brevi smorfie inquadrate in primi piani indagatori. Lui, come lei, nasconde qualcosa, ma non è ciò che ci aspetteremmo. Un ruolo non indifferente nella costruzione del mistero è giocato dalla notevole performance sia di Clare Durant che di Iván Pellicer, ambedue capaci di concretizzare questa complessa fenomenologia emotiva dal principio sino allo sconcertante epilogo. D’altronde, il significato ultimo e il colpo di scena finale del film sono sapientemente nascosti in bella vista da Laura Alvea e Jose F. Ortuño dietro a una sequela di oggetti e indizi rivelatori. Quando ci arriviamo è del tutto inaspettato e insieme perfettamente comprensibile, quasi scontato con il senno di poi. Tutto è stupefacente e geniale metafora di altro, di un iter freudiano di cui non si può approfondire oltre l’essenza, per non rovinarvi la sorpresa.
Horror che tiene lo spettatore incollato allo schermo fini all’ultimo minuto, Ánimas è disponibile nel catalogo Netflix dal 25 gennaio. Di seguito trovate il trailer internazionale:
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