Voto: 6/10 Titolo originale: Army of the Dead , uscita: 14-05-2021. Budget: $90,000,000. Regista: Zack Snyder.
Army of the Dead: la recensione del film di zombie di Zack Snyder (per Netflix)
22/05/2021 recensione film Army of the Dead di Francesco Chello
Dave Bautista è il protagonista di un riuscito action horror, un fighissimo mix di azione, violenza, sangue e ritmo che segna il ritorno del regista a un progetto originale dopo 10 anni di cinecomics
Figata. Cercavo una singola parola che potesse racchiudere un giudizio su Army of the Dead. Ho scelto questo termine marcatamente tecnico dopo aver consultato svariati manuali di critica cinematografica. Dovessi aggiungere qualcosa come se fosse una di quelle piccole review di Letterboxd, potrei definirlo un bel mix di azione e zombie in un film dall’anima vecchia scuola che unisce ritmo e sangue. Avevo pensato di chiuderla qui, perché se siete amanti di un certo tipo di cinema credo vi possa bastare sapere questo. Ma poi in redazione mi hanno detto che serviva una recensione intera. E devo dire che non mi dispiace l’idea di raccontarvi perché l’ultimo film di Zack Snyder sia una figata.
Già, Zack Snyder. Partiamo proprio da lui. Il 2021 sembra essere il suo anno. A marzo la release di un’operazione più unica che rara come la sua versione della Justice League (la recensione), generata e accompagnata da un clamore mediatico (sia nel bene che nel male) che non dobbiamo certo raccontarvi. Poi, appunto, Army of the Dead, dal 21 maggio su Netflix, il ritorno ad un progetto originale per il regista dopo la bellezza di dieci anni (l’ultimo era stato Sucker Punch del 2011) in cui è stato totalmente assorbito – con tutti i pro e i contro del caso – dal tormentato sviluppo del DC Extended Universe.
Una soddisfazione meritata, viste le tristi vicissitudini personali che Zack Snyder ha dovuto affrontare negli ultimi anni. Se conoscete gli eventi di cui parlo, immagino possiate trovare l’affermazione condivisibile, al di là della simpatia/antipatia che ognuno è libero di nutrire nei confronti suoi e/o del suo cinema. E qui si innesca un’altra questione, relativa al suo essere tendenzialmente divisivo.
Che non so se sia un caso il fatto che spesso tocchi a me parlare di personaggi di questo tipo, sarà forse per la mia predisposizione a cercare di spegnere i flame col napalm, ma tant’è. Divisivo dicevo, un regista che ha una nutrita fanbase direttamente proporzionale alla schiera di haters. Per dire, mi sto già immaginando i primi commenti al nostro post su Facebook, quando i simpaticoni più rapidi scriveranno (rigorosamente senza aver visto il film) cose tipo “se togliamo la slow motion il film dura meno della metà”, a cui mi hanno vietato di rispondere con il meme di Robert Downey Jr. in versione annoiata.
Come sempre provo a prendere una posizione, non appartengo ai due schieramenti estremisti, ma Zack Snyder tendo ad apprezzarlo, ha una sana predisposizione per un certo cinema, uno stile visivo riconoscibile che lo distingue dal semplice shooter, il coraggio di insistere sulle proprie scelte. Per dire, senza fare un excursus della sua carriera – specie la lunga fase supereroistica, sviscerata in lungo e in largo da gente che ne sa più di me, io ho un debole per 300 che ogni volta mi viene voglia di spingere con un calcio in petto quei fastidiosi venditori ambulanti di calzini tipici delle mie parti. E, ora ci arrivo, ho saputo apprezzare il suo remake di Dawn of the Dead.
E’ giusto parlarne, quasi doveroso vista la tematica comune con Army of the Dead. Quando dico ‘saputo apprezzare’, faccio riferimento alle mie resistenze iniziali; ho un amore viscerale per quel capolavoro che è Zombi di Romero, uno dei primi horror (se non il primo) visto da ragazzino. Il limite del rifacimento del 2004 credo sia proprio il titolo, che porta inevitabilmente ad un paragone troppo ingombrante, se spogliato dei riferimenti (e di buona parte del sottotesto sociopolitico) quello che resta è un divertente zombie movie (scritto da uno come James Gunn) che ebbe il merito (insieme a Resident Evil) di rinvigorire un filone che veniva da anni di semi oblio – che paradossalmente portò proprio Romero ad ottenere la possibilità di completare la sua tetralogia con il bel La Terra dei Morti Viventi. E poi, dai, come fa a starvi antipatico uno che ha diretto Sylvester Stallone nei panni di Bubi in uno spot di salumi – oddio, detta così suona male, ma quello spot è (s)cult.
La genesi di Army of the Dead risale addirittura al 2007, Zack Snyder era ancora entusiasta della prima esperienza col cinema dei morti viventi, al punto da pensare ad un nuovo progetto di cui scrive il soggetto (e successivamente la sceneggiatura con Shay Hatten e Joby Harold) che finisce per attirare le attenzioni di Universal e Warner Bros. Per motivi di natura differente, il film finisce per anni in quello che in gergo viene definito ‘development hell‘ – ad un certo punto sembra destinato al regista Matthijs van Heijningen – fino a quando entra in scena Netflix che rileva i diritti dalla Warner e fornisce al regista statunitense un budget da 90 milioni di dollari ed una graditissima libertà creativa.
Quella di Zack Snyder è una mescolanza di generi ed elementi, di omaggi e fonti di ispirazioni. Da Aliens a Fuga da New York passando per Il Pianeta delle Scimmie. In primis, action e horror. La spina dorsale è quella, è evidente. Ma c’è anche in altro in quello che diventa un efficacissimo calderone. C’è l’heist movie col colpo e le sue fasi, lo spunto fantascientifico come quello degli esperimenti genetici, il western con l’assalto al fortino e l’assedio degli indiani. La classica struttura del team, tra reclutamento e successivo amalgama della squadra. La critica sociale con la corsa alle armi di distruzione di massa o il consumismo di cui Las Vegas è un simbolo.
Ambientazione che diventa uno dei punti di forza, una Las Vegas fatiscente, fatta di ruderi e macerie, circoscritta da un tetris di enormi container metallici che impediscono di entrare o uscire. Una zona che diventa terreno fertile per un vero e proprio regno di morti viventi sui quali Zack Snyder ha voluto costruire una sorta di mitologia (anche in vista di quello che diventerà un franchise, ma ci arriviamo dopo). Gli zombie sono di due tipi: gli shambler che rappresentano la versione più classica della categoria, esseri più o meno claudicanti, svuotati di ogni tipo di raziocinio, si muovono per istinto (attratti dal calore, non necessariamente dalla carne, come ci verrà spiegato), in mancanza di stimoli finiscono in uno stato catatonico; gli Alpha ne rappresentano l’upgrade, il frutto di quegli esperimenti di cui si parlava in precedenza, senzienti, intelligenti, potenziati fisicamente, capaci persino di procreare, organizzati come una vera e propria tribù. Le regole base però restano le stesse (di sempre) per tutti, il morso porta al contagio mentre l’unico modo di ucciderli è colpirli alla testa. Il look è curato il giusto, le due specie hanno tratti ben distinti, il verso animalesco completa il quadro.
La durata è bella corposa, 148 minuti, che scorrono benissimo mettendo in risalto uno dei meriti di Zack Snyder, quello di aver saputo imprimere il giusto ritmo (spesso elevato) al suo film. A partire da un efficacissimo doppio prologo che introduce la situazione, l’incidente militare che cita Il Ritorno dei Morti Viventi e costruisce un buon mix di mistero e tensione prima che sfoci nella violenza con gli zombie che proliferano facendo carne da macello di Las Vegas tra tette e sangue che scorre a fiumi. Violenza e sangue, quindi, che si propongono come tratto piacevolmente distintivo di questo Army of the Dead, l’emoglobina scorre in quantità copiose così come un assortito campionario di efferatezze che comprende decapitazioni, smembramenti, mandibole tranciate, ossa spezzate, teste che esplodono, corpi spappolati ed altre simpatiche cosette di questo tipo. L’azione è ficcante e adrenalinica, anche qui il repertorio è variegato e può contare sulle centinaia di pallottole degne di un videogame sparatutto, molteplici corpo a corpo (spesso guarniti da armi da taglio), esplosioni.
Snyder dimostra di avere le idee chiare, libero dalle briglie produttive, alleggerito dei condizionamenti che inevitabilmente comporta la gestione di un cinecomic, Army of the Dead si rivela il progetto di cui probabilmente aveva bisogno; cura in prima persona la fotografia così come faceva per i suoi spot pubblicitari, gira per la prima volta in digitale (con macchine da presa della Red Digital Cinema Camera Company) e quando possibile con luce naturale, gestisce bene le diverse sequenze di massa, ha un approccio evidentemente dinamico, anche quando fa largo uso del suo marchio di fabbrica ovvero quella slow motion che si alterna a momenti dallo svolgimento serratissimo e che trova sempre la giusta collocazione contribuendo alla costruzione di un numero generoso di scene clou e di immagini cool.
Non so voi, ma io trovo che un morto vivente di nome Zeus (Richard Cetrone), con maschera (di ferro) e mantello, che guida il suo popolo al galoppo di un cavallo zombie sia una cosa ganzissima. Cavallo che, tra l’altro, non è l’unico animale zombificato ma, anzi, deve cedere la scettro a Valentine, la bellissima tigre putrefatta che sale in cattedra quando divora un uomo dalla testa – tutto a favore di camera. Azzeccata anche la scelta delle canzoni, si apre e si chiude con Elvis, momento ironico durante un assedio spezzato dalle note di Do You Really Want to Hurt Me, il prefinale è accompagnato da una struggente versione acustica di Zombie dei Cranberries che forse viene utilizzata per la prima volta in un film di … zombie, nel mezzo una serie di cover di brani di cui preferisco l’originale ma che per qualche buona ragione si sposano bene col girato, come quelle di Viva Las Vegas, The End o Bad Moon Rising.
La storia viene affidata ad un cast (internazionale) in parte. A farla da padrone il volto probabilmente più noto del gruppone, quel Dave Bautista che per girare Army of the Dead dice di no al Suicide Squad di James Gunn e che, come avevo già avuto modo di dirvi, si conferma l’uomo d’azione old school che ci meritiamo. Il suo Scott porta gli occhiali e cuoce hamburger, ma sul campo si trasforma in una macchina da guerra; Dave è sempre pronto nei momenti action dove mostra preparazione e dedizione fisica e dove sfoga una rabbia che si collega ad un versante attoriale che probabilmente qualcuno ancora sottovaluta, capace di trovare una credibilità ed un’umanità che vanno oltre le spalle larghissime, cambi di registro (il suo Drax mi stendeva puntualmente) che qui lo portano a momenti di intensità emotiva che veicolano la parte più seriosa di un film che sa trovare anche i suoi momenti drammatici.
Mi riferisco ovviamente all’elaborazione del lutto ed un complicato rapporto padre/figlia che narrativamente funge da complicazione (la missione nella missione), mentre dal punto di vista emozionale non può non far pensare agli eventi personali di Snyder (e la morte di sua figlia Autumn). L’inglese Ella Purnell è Kate, la grintosa figlia di Scott. Omari Hardwick è la spalla d’azione, ottima forma fisica, sembra un cosplay di Michael Jai White (che forse avrei preferito) ma fa il suo, trova strada facendo un feeling col tedesco Matthias Schweighöfer, esperto scassinatore che davanti al pericolo urla come una fatina ed a cui vengono lasciati i momenti comici molto più sobri di quanto si possa pensare.
Ana de la Reguera è il meccanico e vecchia fiamma di Scott, Tig Notaro il pilota dalla lingua pungente, sempre col sigaro in bocca al punto da avere la sensazione di sentirne il tanfo attraverso lo schermo; va ricordato che la Notaro viene assunta in un secondo momento per rimpiazzare Chris D’Elia (licenziato in seguito ai guai giudiziari di natura sessuale) che aveva già girato le proprie scene, motivo per cui l’attrice ha realizzato le sue sequenze recitando da sola davanti al green screen, successivamente inserita digitalmente al posto del collega. Raùl Castillo interpreta lo youtuber diventato famoso per le sue stragi di zombie (specchio dei tempi moderni) accompagnato da una Samantha Win che fa un po’ la Michelle Rodriguez della situazione, regalandoci un momento badass prima di un’epica uscita di scena. Il giapponese Hiroyuki Sanada è il subdolo promotore della missione, mentre Garret Dillahunt aggiunge un altro ‘pezzo di merda’ al suo curriculum di ruoli a tema.
Come accennavo, Army of the Dead farà da apripista ad un franchise che vede già la produzione di Army of the Thieves, un prequel/spin-off sul personaggio di Dieter che sarà diretto dallo stesso Schweighöfer, oltre che di una serie animata intitolata Army of the Dead: Lost Vegas che approfondirà le vicende di alcuni dei personaggi principali. Il film ha avuto una limited release nei cinema americani lo scorso 14 maggio mentre, come detto, ha esordito su Netflix il successivo 21 maggio. Piattaforma su cui ci auguriamo faccia incetta di visualizzazioni, perché al di là dei progetti collaterali quello che ci interessa di più è un sequel affidato ancora a Zack Snyder.
Di seguito – sulle note di The Gambler di Kenny Rogers – trovate il full trailer doppiato in italiano di Army of the Dead, nel catalogo Netflix dal 21 maggio:
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