Voto: 4.5/10 Titolo originale: CUBE 一度入ったら、最後 , uscita: 22-10-2021. Regista: Yasuhiko Shimizu.
Cube: recensione del remake giapponese diretto da Yasuhiko Shimizu (BIFFF 2022)
14/09/2022 recensione film CUBE 一度入ったら、最後 di Sabrina Crivelli
Il regista si cimenta col rifacimento del fanta-horror di Vincenzo Natali del 1997, sbagliando tutto
Sfatiamo un mito. Non sono soltanto i poco fantasiosi produttori americani ad avventurarsi in remake di film cult provenienti dall’Europa o dall’Asia (spesso, peraltro, con risultati discutibili). Cube (Cube: Ichido haittara, saigo) diretto ora dal giapponese Yasuhiko Shimizu e sceneggiato da Koji Tokuo riprende infatti l’omonimo – e iconico – fanta-horror di Vincenzo Natali del 1997 (la recensione), riproponendone l’ambientazione minimale e angosciante, ma smarrendone del tutto lo spirito nichilista e, in parte, la coerenza narrativa.
Le premesse sono assai simili al Cube di 25 anni fa: un gruppo di estranei si ritrova inspiegabilmente all’interno di una stanza cubica illuminata da una fredda luce sintetica. All’apparenza, nessuno di loro ha idea alcuna di come sia capitato in quel luogo, né ne conosce il motivo.
Non c’è nemmeno un collegamento evidente tra coloro che sono stati ‘scelti’ per quello che sembra un sadico esperimento sociale. A rendere la situazione ancora più inquietante è il fatto che il cubo in questione sia invero parte di una struttura più complessa, essendo circondato da tutti i lati da spazi della stessa forma, illuminati sempre da neon asettici dai colori primari, ma dalla natura insidiosamente dissimile.
Molte delle stanze – comunicanti attraverso botole con apertura a ingranaggio – celano difatti trappole tanto letali quanto inventive. Riusciranno dunque prigionieri a risolvere l’enigma e a fuggire indenni dalla paradossale prigione in cui sono rinchiusi?
Il nuovo Cube di Yasuhiko Shimizu cerca – giustamente – di riutilizzare l’ingrediente fondamentale dell’omonima saga di film hollywoodiani (ricordiamo che ne sono stati prodotti tre ad oggi): un claustrofobico labirinto di stanze da cui pare pressoché impossibile uscire. La rappresentazione degli ambienti e delle diverse trappole, magari con qualche piccolo aggiornamento o variazione sui meccanismi mortali, sarebbe di per sé stato sufficiente per costruire una piacevole suspense. Una serie di morti particolarmente truci e cruente avrebbero poi fatto il resto. Non abbiamo grandi pretese in fondo, specie conoscendo il film originale.
In tal maniere, Cube avrebbe potuto essere un’efficace versione aggiornata in declinazione nipponica ad uso e consumo degli appassionati della saga e – in senso più ampio – dei fruitori di film horror. Tuttavia, il regista sceglie di intraprendere un’altra strada, purtroppo.
Anzitutto, il grado di rielaborazione si percepisce a livello di concetto, ossia di approccio al materiale originario. Uno dei massimi pregi del piccolo classico di Vincenzo Natali, oltre alla originalità insita nell’idea in sé, era proprio il nichilismo che ammantava la narrazione, come pure i suoi protagonisti. L’assenza di ‘senso’ non si limitava allo scopo, al motivo della selezione e imprigionamento di un gruppo di individui assai diversi tra loro ed essenzialmente comuni.
La sensazione che, in fondo, si trattasse solo di un bieco progetto top-secret voluto da una qualche oscura eminenza o agenzia governativa serpeggiava già nei dialoghi del primo Cube, per poi avere ancor più distopici sviluppi nei capitoli successivi: il sequel diretto Hypercube – Il cubo 2 (Andrzej Sekuła, 2002) e il prequel Cube Zero (Ernie Barbarash, 2004).
Al contrario, non solo il Cube di Yasuhiko Shimizu cerca di spiegare in termini immediati gli eventi messi in scena, ma addirittura c’è una morale edificante in tutto il processo. E ciò si ripercuote inevitabilmente sulla caratterizzazione dei protagonisti e sull’azione.
Dal un lato, i prigionieri del Cubo sono una raccolta di stereotipi nipponici dal valore quasi ‘didattico’: Shinji Ochi (Masaki Okada), il giovane timido, imbranato e irrealizzato con un passato problematico; Hiroshi Ide (Takumi Saitoh), il duro solitario e aggressivo che nasconde una natura altruista e nobile; Yuichi Goto (Masaki Suda), il ragazzo disturbato e passivo-aggressivo; Kazumasa Ando (Kôtarô Yoshida), lo spregiudicato uomo in carriera di mezza età; Chiharu Uno (Hikaru Tashiro), il bambino schivo e indifeso, vittima di bullismo; e Asako Kai (Anne Watanabe), l’immancabile figura femminile.
Le psicologie di ciascuno di questi personaggi, le dinamiche che intercorrono tra di loro e l’evoluzione lungo lo sviluppo di Cube oscillano tra il superficialmente meccanico e scontato e gli improvvisi, inaspettati colpi di scena che rivelano lati improbabili della personalità di alcuni di loro, in particolare la deriva psicotica di Kazumasa Ando.
Allo stesso tempo, una vena altamente drammatica e lacrimevole emerge in un susseguirsi di flashback che ci svelano i trascorsi di Shinji Ochi e Chiharu Uno, e che materializzano sullo schermo alcuni dei principali cliché di bullismo nipponico. Ciò ci proietta in un singolare percorso fatto di sensi di colpa, traumi irrimediabili, proiezioni freudiane e catarsi finale; eppure, il coinvolgimento è basso.
Il lato altamente sentimentalista di Cube contrasta chiaramente col nichilismo esistenziale e il minimalismo emotivo della versione di Vincenzo Natali, ma non è l’unico problema della versione di Yasuhiko Shimizu. Prediligendo il pathos al gore, le trappole, le morti e le scene succosamente sanguinose sono nettamente ridotte. Anzi, a parte un iniziale squartamento laser e poco altro fuori campo, momenti violenti e sangue sono – tristemente – quasi inesistenti.
A ciò si somma in ultimo la rielaborazione libera della sceneggiatura dell’originale, inclusi lo schema delle stanze, i fattori numerici e le chiavi per comprendere il funzionamento del Cubo. In altre parole, nel film del 1997 tutto era alla fine motivato e coerente (ad esempio, era una studentessa di matematica a comprendere il complesso schema numerico dietro alla logica delle trappole). Nelòa rielaborazione nipponica, invece, la soluzione dell’enigma emerge da sconclusionate farneticazioni algoritmiche ispirate da un’intuizione infantile e portate avanti da un ragazzo senza particolare formazione nelle scienze matematiche.
La conclusione? Tedio a parte, la trama del Cube di Yasuhiko Shimizu acquisisce un senso compiuto solamente se si ha già visto l’horror del 1997, e di certo ce lo fa rimpiangere.
In attesa di capire verrà distribuito anche nelle sale italiane (in Giappone uscirà nei cinema il 22 ottobre), di seguito trovate il full trailer di Cube:
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