Voto: 6/10 Titolo originale: Tali mati , uscita: 30-06-2021. Regista: Cornelio Sunny.
Death Knot | La recensione del film horror indonesiano di Cornelio Sunny (FEFF 23)
07/07/2021 recensione film Death Knot di Marco Tedesco
L'attore esordisce dietro alla mdp con un'opera a basso budget che punta più sull'atmosfera che sugli spaventi, riuscendo soltanto a metà nell'impresa
“Uscite dalla casa e lasciate questo posto.” Il folk horror Death Knot (Tali mati) di Cornelio Sunny, presentato in anteprima al FEFF di Udine, potrebbe essere pieno di segnali di allarme, ma questa storia di fratelli che sprofondano in un patto satanico una volta tornati al loro sperduto villaggio di famiglia nelle campagne indonesiane riesce ugualmente ad evocare un’atmosfera densa di presagi.
La cinematografia del terrore del paese del Sudest asiatico è balzato sotto i riflettori negli ultimi anni, con gli appassionati di genere incalliti che non solo hanno potuto gustarsi inaspettati – e liberi – remake del calibro di Satan’s Slaves (2017) e The Queen of Black Magic (2019), ma sono stati anche scossi da prodotti originali come Impetigore (la recensione) e il dittico di May the Devil Take You (la recensione). In quanto produzione a basso budget di un regista esordiente, Death Knot è relativamente semplice nella sua esecuzione e non può assolutamente rivaleggiare con titoli di esperti maestri locali come Joko Anwar e Timo Tjahjanto, ma col suo passo parsimonioso fa per la gran parte virtù dei suoi evidenti limiti, mantenendo il carrozzone in movimento fino alla fine.
Poco dopo aver sperimentato simultaneamente una premonizione notturna sulla madre che non vedono da anni, i fratelli Hari (lo stesso Cornelio Sunny) ed Eka (Widika Sidmore) scoprono che la donna si è suicidata. Con il marito di Eka, Adi (Moran Oey), al seguito, viaggiano così da Jakarta al loro povero villaggio natale per partecipare al funerale e incontrare il custode della proprietà di famiglia. La gente del posto non è però particolarmente accogliente, in quanto i fratelli sono essenzialmente degli estranei, essendosi trasferiti in città con il padre in giovane età. Inoltre, affermano che la loro madre era una sciamana che aveva fatto un patto con il Diavolo. “Dovrebbe essere bruciata, non sepolta“, è il sentimento comune che aleggia da quelle parti.
Sebbene gli abitanti del villaggio siano generalmente riluttanti a conversare con Hari ed Eka, alcuni confidano che la loro madre praticava la magia nera per propiziare un’ondata di suicidi al fine di ottenere più potere dalle anime dei morti. Eka è profondamente a disagio e vuole andarsene, ma Hari è convinto che queste voci tendenziose siano solamente uno stratagemma per spaventarli e costringerli a cedere la casa di famiglia a un lontano zio piuttosto losco. Eppure, il suo scetticismo viene messo in discussione quando alcuni abitanti del villaggio vengono trovati impiccati a un albero e Adi inizia a mostrare segnali di un comportamento quanto meno preoccupante.
Dopo una sinistra sequenza di apertura in cui la matriarca esegue una danza rituale nel folto della foresta avvolta da una nebbia bluastra prima di togliersi la vita, Death Knot incede con passo sicuro. Inizialmente, evitando – un bel po’ insolitamente – i brividi a favore della costruzione di un senso di angoscia, Cornelio Sunny sceglie di non insistere sull’aspetto inquietante della location per concentrarsi sull’atteggiamento molto inospitale di quella comunità chiusa e apparentemente bigotta, che gli consente di cavarsela con un’esposizione folkloristica che poteva essere potenzialmente ridicola.
Come d’abitudine per gli horror che intrappolano individui di citta in ambienti agresti remoti, Death Knot mette prevedibilmente in risalto lo scontro tra stili di vita agli antipodi: modernità/tradizione, educazione/credenze, individualismo/destino. Gran parte della prima metà del film vede Hari bollare fermamente ogni discorso su divinità ancestrali e maledizioni familiari come mera superstizione, mentre la cupa fotografia di Gunnar Nimpuno favorisce un senso di terrore strisciante che piano piano inizia a minare le razionalizzazioni del protagonista.
Quando, infine, gli spaventi arrivano, sono ragionevolmente ben gestiti, anche se in qualche modo ripetitivi, poiché i limiti di budget impediscono agli scontri ultraterreni di intensificarsi oltre ai normali faccia a faccia con gli ‘ospiti’ umani. Tuttavia, la possessione viene abilmente evocata attraverso un make-up purulento, con gli attori che adottano anche espressioni facciali raccapriccianti e movenze disturbanti, enfatizzate da suoni sottilmente stridenti, come lo scrocchiare del collo. Nulla di inedito, sia chiaro, ed è un peccato che il regista non approfondisca il discorso collegato alle statue votive dei ‘Grandi Antichi’ sparpagliate nella giungla.
A conti fatti, uno dei pochi elementi forti di Death Knot è lo snervante sound design di Dicky Permana. Le raffiche di maltempo si sommano infatti al senso di ‘reclusione’, mentre il ricorrente ticchettio di un orologio è metodicamente integrato alla partitura minimamente arrangiata di Charlie Meliala per ottenere un crescendo sferragliante nell’atto finale.
Nonostante sia un attore diventato regista, Cornelio Sunny fa invece a uno sforzo a malapena superficiale per quanto riguarda lo sviluppo dei suoi personaggi, col fondamentale legame tra fratello e sorella che è appena abbozzato e in modo inadeguato. Insomma, un esordio non certo memorabile e non proprio coerente, che forse guadagnerà mezzo punto in più per quegli appassionati che coglieranno il probabilmente voluto omaggio a Lucio Fulci nella sequenza conclusiva, che chiude la vicenda con una nota appropriatamente carica di sventura.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Death Knot:
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