Cerchiamo di capire dove e quando nasce l'idea dei titolisti nostrani di ricorrere alla potenza evocativa di questo topos per promuovere una pellicola del terrore, agendo in combinazione con locandine dal grande impatto visivo spesso fuorvianti
La casa è senza dubbio uno dei più sedimentati e longevi archetipi dell’horror, essendo capace di instillare nell’animo del pubblico – alla sua sola menzione – un misto di paura e attrazione arcana. Ne erano già consapevoli alcuni dei maggiori maestri della letteratura del terrore e fantastica come Edgar Allan Poe, che intitolò uno dei suo più celebri racconti La caduta della casa degli Usher (da cui sono state poi tratte diverse pellicole, le prime sin dal periodo del muto), o H.P. Lovecraft con il suo La Casa Stregata.
A generate la riflessione in chi scrive è stato l’ennesimo e più recente uso che ne è stato infatti fatto nel nostro paese, nello specifico per La casa delle bambole di Pascal Laugier, in principio Incident in a Ghosland, poi divenuto semplicemente – all’estero – Ghostland (la nostra recensione). Immediata è la diversità tra il titolo originale e quello italiano, che è ben lungi non solo dalla traduzione letterale, ma anche da una trasposizione del medesimo concetto in un’altra lingua. Dunque sovviene un interrogativo: perché trasporre nell’italico idioma ‘Ghostland’ (ossia ‘terra fantasma’, o ‘terra dei fantasmi’) con La casa delle bambole? Per rispondere al quesito bisogna fare un lungo passo indietro nel tempo, alle origini della fascinazione dei distributori autoctoni per le case maledette.
In principio fu ‘La casa’: la libera traduzione di Evil Dead di Sam Raimi e la locandina italiana
Intanto, la voce si diffonde e l’horror acquista sempre più seguito in giro per il mondo, forse anche per la sua aura controversa e nel 1983 debutta anche nel Regno Unito, grazie all’intervento dell’agente Stephen Woolley. Tornando però all’Italia, la pellicola approda invece a tre anni di distanza dall’uscita in patria, il 17 agosto del 1984, intitolato bizzarramente La casa. Perché questa scelta? Per meglio comprendere le dinamiche retrostanti anzitutto bisogna specificare che si tratta di uno dei film dell’estroso catalogo della Film 2 (distributore operativo tra il 1979 e il 1985), al fianco di Quadrophenia (1979) di Franc Roddam, L’esercito più pazzo del mondo (1981) di Marino Girolami, La casa di Mary (low budget del 1982, che rientra nel nostro campione d’interesse) di James W. Roberson, Blade Violent – I violenti (1983) di Bruno Mattei, Mondo cane oggi – L’orrore continua (1985) di Stelvio Massi e Carabinieri si nasce (1985) di Mariano Laurenti. Insomma un’offerta piuttosto singolare e variegata.
Da un lato, difatti, la locandina di La Casa chiaramente evoca i contorni della fosca magione sovrastante il motel dove Norman Bates e ‘la madre’ vivevano e uccidevano in Psyco (leggete il dossier su Ed Gein, il ‘macellaio di Plainfield’ che ha ispirato il thriller in bianco e nero). Tuttavia, il classico diretto da Alfred Hitchcok nel 1960 non è l’unico modello ispiratore; anche il più recente Amityville Horror di Stuart Rosenberg ha plausibilmente giocato un ruolo non indifferente sull’immaginario dei distributori. L’adattamento datato 1979 del libro Orrore ad Amityville di Jay Anson, basato su fatti ‘realmente accaduti’ (la nostra riflessione su Amityville e sui controversi fatti che lo ispirarono), fu subito un successo commerciale (incassò ben 80 milioni di dollari), benché inizialmente fosse stato bocciato dalla critica. Quando, nel febbraio del 1980 arrivò quindi nei cinema italiani, l’immagine della sinistra villa occupata da maligne presenze si impresse presto nelle menti degli spettatori. A conferire ulteriormente forza allo stereotipo, nel novembre del 1982 debuttò anche Poltergeist – Demoniache presenze di Tobe Hooper.
C’è poi una nutrita schiera di horror che (come nel caso di quello di Sam Raimi) non contenevano alcuna menzione a una casa nella versione originale inglese, come The Unearthly (1957) di Brooke L. Peters (alias Boris Petroff), il secondo capitolo del dittico di Dan Curtis Night of Dark Shadows (1971), The Child (1977) di Robert Voskanian, il britannico The Comeback (1978) di Pete Walker e il canadese Prom Night (1980) di Paul Lynch, da noi tradotti come La casa dei mostri, La casa delle ombre maledette, La casa degli zombi, Chi vive in quella casa? e Non entrate in quella casa. Un menzione la merita anche The Uninvited (aka La casa sulla scogliera), film di genere fantastico del 1944 diretto da Lewis Allen. Per concludere l’excursus, a partire dalla seconda metà degli anni ’70 anche nelle produzioni autoctone la casa era divenuta a tutti gli effetti sinonimo di mistero e raccapriccio, basti pensare a La casa dell’esorcismo (1975) di Mario Bava, La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati, La casa della paura di William Rose (1973) e La casa con la scala nel buio (1983) di Lamberto Bava. Al gruppo si unisce anche il filone del rape & revenge capeggiato da L’ultima casa a sinistra di Wes Craven (1972), a cui segue a quasi un decennio di distanza l’emulo La casa sperduta nel parco di Ruggero Deodato (1980). Nei primi anni ’80 il cliché di inserire ‘casa’ nel titolo di un film del terrore è talmente diffuso da ispirare perfino una sorta di parodia più o meno consapevole nella commedia La casa stregata di Bruno Corbucci del 1982 (ma qui un ruolo potrebbe averlo giocato anche Mia moglie è una strega del 1980, diretto da Castellano e Pipolo, ma sempre con Renato Pozzetto).
Uso e abuso di ‘La casa’ tra gli horror italiani degli anni ’80
Dopo il successo del cult di Sam Raimi, i distributori italiani si accorgono ancor di più del suo notevole potenziale in termini di mercato e iniziano quindi a infilare ‘la casa’ un po’ ovunque, spesso in filiazioni ingannevoli (guardare anche Terminator 2 di Bruno Mattei e Alien 2 – Sulla Terra di da Ciro Ippolito). In tal senso, un fenomeno singolare riguarda il dilagare di seguiti apocrifi, che si avvantaggiavano del titolo celebre per attirare il pubblico poco avveduto, ma che poco avevano in comune con l’originale e con il suo seguito ufficiale. Infatti, dopo Evil Dead 2, da noi uscito – coerentemente – come La casa 2 nell’ottobre del 1987 (negli USA il marzo precedente), i produttori italici iniziano a sfornare ‘sequel’ all’amatriciana uno dietro l’altro contando di cavalcare l’onda pubblicitaria e commerciale che la saga di Sam Raimi aveva generato, ma che non avevano alcun collegamento non solo coi film americani, ma nemmeno tra loro! E dando un’occhiata alle locandine usate, l’operazione è ancor più manifesta e sfacciata (visto che si ricalca talvolta il font originale).
Un discorso in parte simile vale per La casa 4 – Witchcraft (Witchery negli USA) di Fabrizio Laurenti, in arte Martin Newlin. Nella pellicola del 1988, diversamente dagli altri seguiti abusivi, recitavano attori noti, quali David Hasselhoff (“Baywatch”, “Supercar”) e Linda Blair (scoprite che fine ha fatto dopo L’Esorcista). L’azione è sempre collocata in una sinistra magione, ma stavolta in un’isoletta di fronte alle coste del Massachusetts, in cui anni prima una strega incinta si era nascosta per sfuggire ai suoi persecutori. La sua maligna presenza aleggia però ancora tra le mura a lustri di distanza e, quando una coppia (composta dalla Blair e da Hasselhoff) si reca nell’edificio per indagarne la storia insieme a un altro gruppo di visitatori, li colpirà tutti. Anche qui la storia c’entra ben poco con l’horror di Sam Raimi, ma quantomeno il livello generale è decisamente superiore al precedente sequel non ufficiale e lo svolgimento meno pasticciato.
Alla lista dei seguiti spuri si somma la serie di film commissionati nel 1989 da ReteItalia (una vecchia società controllata da Mediaset) appartenenti al filone de “Le case maledette“, sempre incentrati su abitazioni infestate: La casa nel tempo e La dolce casa degli orrori di Lucio Fulci e La casa del sortilegio e La casa delle anime erranti di Umberto Lenzi. Va ricordato in ultimo, sempre prodotto da ReteItalia nello stesso anno, La casa dell’orco di Lamberto Bava per la serie ‘Brivido giallo’, uscito all’estero con il nome di Demons 3: the ogre (risultando così addirittura un sequel apocrifo anche della saga iniziata da Demoni di Lamberto Bava nel 1985).
‘La casa’ ieri e oggi: tra titoli ingannevoli e libere traduzioni
I seguiti spuri del cult di Sam Raimi non si limitano però alla produzione nostrana. A metà degli anni ’80 i distributori italiani importano infatti un’altro franchise horror, avvantaggiandosi del successo di Evil Dead: stiamo parlando dei film della serie degli ‘House’, iniziata con House di Steve Miner nel 1986, da noi approdato al cinema nell’agosto 1986 come Chi è sepolto in quella casa? Nel capostipite, William Katt, nei panni di Roger Cobb, incarna uno scrittore e reduce di guerra che si trasferisce nella sinistra proprietà di una vecchia zia, appena morta suicida, per scrivere un libro sulle sue traumatiche esperienze belliche. Dopo poco, come di consueto, nelle stanze vuote iniziano a verificarsi eventi inspiegabili, tra rumori sinistri, oggetti che magicamente prendono vita e incursioni di strane piccole creature che cercano di rapire un bambino del vicinato.
Se dunque si tratta di una lunga tradizione, la pratica di inserire – senza alcuna aderenza al titolo originale – “La casa” in molte trasposizioni italiche di film d’importazione, non si limita ai vari ‘House …’ ed è proseguita negli anni senza pause. Molti sono anzi gli esempi. Ad aprire la lista è Sola… in quella casa (I, Madman) del 1989, diretto da Tibor Takács (la cui locandina italiana si sarebbe prestata benissimo per font e soggetto anche a un eventuale La Casa 8 …), seguito a stretto giro da La casa nera del 1991, titolo assai ‘inventivo’ per tradurre l’originale e assai dissimile The People Under the Stairs di Wes Craven. Procedendo poi in ordine cronologico, si ricordano Toolbox Murders di Tobe Hooper, Dead Birds di Alex Turner (entrambi del 2004), nonché The Cabin in the Woods (2012) di Drew Goddard, resi dagli italici titolisti rispettivamente come La casa dei massacri, La casa maledetta e Quella casa nel bosco. Un caso particolare invece è costituito da The Devil’s Rejects (2005) di Rob Zombie, la cui traduzione con La Casa del Diavolo è con ogni probabilità motivata dal fatto che si volesse collegarlo in maniera immediata al suo predecessore, La casa dei 1000 corpi (House of 1000 Corpses), nonostante nel secondo capitolo il titolo sia ben diverso e l’ambientazione domestica non certo un elemento fondamentale della storia. Evil Dead del 2013 di Fede Álvarez è naturalmente stato tradotto con La Casa.
Siamo certi che la ‘tradizione’ dei nostri titolisti non si sia esaurita col 2018, quindi non ci resta che aspettare i prossimi adattamenti liberi.
Di seguito il trailer originale di La Casa: