Dossier | ‘La casa’ nel cinema horror italiano: origini e storia di un titolo abusato
17/12/2018 news di Sabrina Crivelli
Cerchiamo di capire dove e quando nasce l'idea dei titolisti nostrani di ricorrere alla potenza evocativa di questo topos per promuovere una pellicola del terrore, agendo in combinazione con locandine dal grande impatto visivo spesso fuorvianti
La casa è senza dubbio uno dei più sedimentati e longevi archetipi dell’horror, essendo capace di instillare nell’animo del pubblico – alla sua sola menzione – un misto di paura e attrazione arcana. Ne erano già consapevoli alcuni dei maggiori maestri della letteratura del terrore e fantastica come Edgar Allan Poe, che intitolò uno dei suo più celebri racconti La caduta della casa degli Usher (da cui sono state poi tratte diverse pellicole, le prime sin dal periodo del muto), o H.P. Lovecraft con il suo La Casa Stregata.
Ancor più al cinema, questo topos è capace di evocare le più profonde e ancestrali angosce, forse proprio perché la minaccia è racchiusa tra le mura domestiche, luogo di calore e sicurezza per antonomasia, e che invece serba spesso terrificanti sorprese. Non sorprende, dunque, che “la casa” faccia tanto spesso la sua comparsa nei titoli del terrore e che in tale ambientazione siano collocati maniaci, demoni, spiriti e entità immateriali o fisiche di ogni sorta, la cui unica brama è quella di aggredire – e di norma uccidere o possedere – gli sventurati inquilini del caso. Si potrebbe pensare che tale frequentissimo utilizzo sia dovuto al fatto che si tratti di una ‘location da urlo’, ma se invero se ne abusasse eccessivamente in fase di marketing per far leva sul fascino della parola e attirare così il pubblico in sala, anche a costo di risultare fuorvianti o ingannevoli sul contenuto di quello che verrà effettivamente mostrato sullo schermo?
A generate la riflessione in chi scrive è stato l’ennesimo e più recente uso che ne è stato infatti fatto nel nostro paese, nello specifico per La casa delle bambole di Pascal Laugier, in principio Incident in a Ghosland, poi divenuto semplicemente – all’estero – Ghostland (la nostra recensione). Immediata è la diversità tra il titolo originale e quello italiano, che è ben lungi non solo dalla traduzione letterale, ma anche da una trasposizione del medesimo concetto in un’altra lingua. Dunque sovviene un interrogativo: perché trasporre nell’italico idioma ‘Ghostland’ (ossia ‘terra fantasma’, o ‘terra dei fantasmi’) con La casa delle bambole? Per rispondere al quesito bisogna fare un lungo passo indietro nel tempo, alle origini della fascinazione dei distributori autoctoni per le case maledette.
In principio fu ‘La casa’: la libera traduzione di Evil Dead di Sam Raimi e la locandina italiana
Lo strano ‘fenomeno’ si può ricondurre al 1984, quando Evil Dead di Sam Raimi approda nel belpaese. Procediamo tuttavia con ordine. Tutto ha inizio nel 1978, quando il regista (che all’epoca aveva solo 19 anni), insieme a Bruce Campbell e Robert Tapert, gira il cortometraggio Whitin the woods nella speranza di raccogliere i fondi necessari per il suo primo lungometraggio. Il giovane filmmaker, con l’aiuto dei due amici, è così in grado di raccogliere una cifra che si attesta tra i 350.000 e i 400.000 dollari e può quindi dare il via alle riprese. Evil Dead esce quindi negli Stati Uniti nel 1981, ma non diventa immediatamente un cult, anzi, inizialmente viene accolto dalla critica e dal pubblico americani in maniera non esattamente entusiastica. Il weekend di apertura totalizza solamente 108.000 dollari, ma alla fine raggiunge un incasso complessivo di 2.4 milioni di dollari, ovvero circa otto volte il suo costo di produzione.
Intanto, la voce si diffonde e l’horror acquista sempre più seguito in giro per il mondo, forse anche per la sua aura controversa e nel 1983 debutta anche nel Regno Unito, grazie all’intervento dell’agente Stephen Woolley. Tornando però all’Italia, la pellicola approda invece a tre anni di distanza dall’uscita in patria, il 17 agosto del 1984, intitolato bizzarramente La casa. Perché questa scelta? Per meglio comprendere le dinamiche retrostanti anzitutto bisogna specificare che si tratta di uno dei film dell’estroso catalogo della Film 2 (distributore operativo tra il 1979 e il 1985), al fianco di Quadrophenia (1979) di Franc Roddam, L’esercito più pazzo del mondo (1981) di Marino Girolami, La casa di Mary (low budget del 1982, che rientra nel nostro campione d’interesse) di James W. Roberson, Blade Violent – I violenti (1983) di Bruno Mattei, Mondo cane oggi – L’orrore continua (1985) di Stelvio Massi e Carabinieri si nasce (1985) di Mariano Laurenti. Insomma un’offerta piuttosto singolare e variegata.
Tornando al cuore del discorso, ossia ‘la casa’, non v’è certezza sulle motivazione che hanno condotto alla scelta i fantasiosi titolisti, anche perchè nel film di Sam Raimi l’azione si svolge in un capanno di legno … E’ possibile, però, che seguissero una moda già iniziata qualche anno prima e che non tangeva solo il nome, ma anche il relativo poster ufficiale italiano (si veda foto più in alto), immediato richiamo a un paio di predecessori particolarmente influenti nel medesimo genere.
Da un lato, difatti, la locandina di La Casa chiaramente evoca i contorni della fosca magione sovrastante il motel dove Norman Bates e ‘la madre’ vivevano e uccidevano in Psyco (leggete il dossier su Ed Gein, il ‘macellaio di Plainfield’ che ha ispirato il thriller in bianco e nero). Tuttavia, il classico diretto da Alfred Hitchcok nel 1960 non è l’unico modello ispiratore; anche il più recente Amityville Horror di Stuart Rosenberg ha plausibilmente giocato un ruolo non indifferente sull’immaginario dei distributori. L’adattamento datato 1979 del libro Orrore ad Amityville di Jay Anson, basato su fatti ‘realmente accaduti’ (la nostra riflessione su Amityville e sui controversi fatti che lo ispirarono), fu subito un successo commerciale (incassò ben 80 milioni di dollari), benché inizialmente fosse stato bocciato dalla critica. Quando, nel febbraio del 1980 arrivò quindi nei cinema italiani, l’immagine della sinistra villa occupata da maligne presenze si impresse presto nelle menti degli spettatori. A conferire ulteriormente forza allo stereotipo, nel novembre del 1982 debuttò anche Poltergeist – Demoniache presenze di Tobe Hooper.
D’altro canto, ben prima che Sam Raimi si facesse conoscere, il termine ‘casa’ era già decisamente utilizzato. In primo luogo, esiste un notevole numero di pellicole che già in lingua originale contiene tale riferimento. Tra i possibili esempi si enumerano infatti gli americani The Red House (1947) di Delmer Daves, House of Dracula (1951) di Erle C. Kenton, The House That Would Not Die (1970) di John Llewellyn Moxey, House of Dark Shadows (1970) dittico di Dan Curtis e i britannici House on Haunted Hill (1958) di William Castle, The House That Dripped Blood (1971) di Peter Duffell, The House in Nightmare Park (1975) di Peter Sykes e House of the Long Shadows (1983) di Pete Walker, rispettosamente tradotti in italiano coi precisi La casa rossa, La casa degli orrori, La casa che non voleva morire, la casa dei vampiri, La casa dei fantasmi, La casa che grondava sangue, La casa degli orrori nel parco e La casa delle ombre lunghe.
C’è poi una nutrita schiera di horror che (come nel caso di quello di Sam Raimi) non contenevano alcuna menzione a una casa nella versione originale inglese, come The Unearthly (1957) di Brooke L. Peters (alias Boris Petroff), il secondo capitolo del dittico di Dan Curtis Night of Dark Shadows (1971), The Child (1977) di Robert Voskanian, il britannico The Comeback (1978) di Pete Walker e il canadese Prom Night (1980) di Paul Lynch, da noi tradotti come La casa dei mostri, La casa delle ombre maledette, La casa degli zombi, Chi vive in quella casa? e Non entrate in quella casa. Un menzione la merita anche The Uninvited (aka La casa sulla scogliera), film di genere fantastico del 1944 diretto da Lewis Allen. Per concludere l’excursus, a partire dalla seconda metà degli anni ’70 anche nelle produzioni autoctone la casa era divenuta a tutti gli effetti sinonimo di mistero e raccapriccio, basti pensare a La casa dell’esorcismo (1975) di Mario Bava, La casa dalle finestre che ridono (1976) di Pupi Avati, La casa della paura di William Rose (1973) e La casa con la scala nel buio (1983) di Lamberto Bava. Al gruppo si unisce anche il filone del rape & revenge capeggiato da L’ultima casa a sinistra di Wes Craven (1972), a cui segue a quasi un decennio di distanza l’emulo La casa sperduta nel parco di Ruggero Deodato (1980). Nei primi anni ’80 il cliché di inserire ‘casa’ nel titolo di un film del terrore è talmente diffuso da ispirare perfino una sorta di parodia più o meno consapevole nella commedia La casa stregata di Bruno Corbucci del 1982 (ma qui un ruolo potrebbe averlo giocato anche Mia moglie è una strega del 1980, diretto da Castellano e Pipolo, ma sempre con Renato Pozzetto).
In definitiva, non può stupire perciò l’escamotage nel 1984 – dopo tutti questi precedenti, quasi sempre di successo commerciali – di puntare ancora sulla dimora maledetta come traino per il film di Sam Raimi, e anche sulla locandina, nonostante il titolo originale fosse ben diverso e il lungometraggio addirittura ambientato in un capanno in legno in mezzo a un bosco (tra l’altro ‘Il Capanno’ avrebbe potuto essere altrettanto d’effetto …).
Uso e abuso di ‘La casa’ tra gli horror italiani degli anni ’80
Dopo il successo del cult di Sam Raimi, i distributori italiani si accorgono ancor di più del suo notevole potenziale in termini di mercato e iniziano quindi a infilare ‘la casa’ un po’ ovunque, spesso in filiazioni ingannevoli (guardare anche Terminator 2 di Bruno Mattei e Alien 2 – Sulla Terra di da Ciro Ippolito). In tal senso, un fenomeno singolare riguarda il dilagare di seguiti apocrifi, che si avvantaggiavano del titolo celebre per attirare il pubblico poco avveduto, ma che poco avevano in comune con l’originale e con il suo seguito ufficiale. Infatti, dopo Evil Dead 2, da noi uscito – coerentemente – come La casa 2 nell’ottobre del 1987 (negli USA il marzo precedente), i produttori italici iniziano a sfornare ‘sequel’ all’amatriciana uno dietro l’altro contando di cavalcare l’onda pubblicitaria e commerciale che la saga di Sam Raimi aveva generato, ma che non avevano alcun collegamento non solo coi film americani, ma nemmeno tra loro! E dando un’occhiata alle locandine usate, l’operazione è ancor più manifesta e sfacciata (visto che si ricalca talvolta il font originale).
Il primo in ordine temporale è La casa 3 – Ghosthouse (1988), scritto e diretto da Umberto Lenzi (accreditato con lo pseudonimo Humphrey Humbert e prodotto dalla Filmirage); non fatevi però ingannare, il contenuto e la realizzazione non sono assolutamente in linea con la serie con Bruce Campbell. La storia inizia con un misterioso messaggio radio ricevuto da Paul (Greg Scott), in cui una voce prega il suo assassino di risparmiare la sua vita. Scoperta l’origine, una vecchia villa abbandonata, il protagonista e la sua ragazza (Lara Wendel) decidono di controllare cosa stesse avvenendo, solo per scoprire che si tratta di un luogo infestato, in cui anni prima si erano consumati terribili crimini. Sia la trama che l’estetica (con tanto di bambole indemoniate e clown killer) sono – per chiunque l’abbia visto – assai distanti da Evil Dead, con cui d’altra parte non è condiviso nessun membro del cast.
Un discorso in parte simile vale per La casa 4 – Witchcraft (Witchery negli USA) di Fabrizio Laurenti, in arte Martin Newlin. Nella pellicola del 1988, diversamente dagli altri seguiti abusivi, recitavano attori noti, quali David Hasselhoff (“Baywatch”, “Supercar”) e Linda Blair (scoprite che fine ha fatto dopo L’Esorcista). L’azione è sempre collocata in una sinistra magione, ma stavolta in un’isoletta di fronte alle coste del Massachusetts, in cui anni prima una strega incinta si era nascosta per sfuggire ai suoi persecutori. La sua maligna presenza aleggia però ancora tra le mura a lustri di distanza e, quando una coppia (composta dalla Blair e da Hasselhoff) si reca nell’edificio per indagarne la storia insieme a un altro gruppo di visitatori, li colpirà tutti. Anche qui la storia c’entra ben poco con l’horror di Sam Raimi, ma quantomeno il livello generale è decisamente superiore al precedente sequel non ufficiale e lo svolgimento meno pasticciato.
I seguiti nostrani sono conclusi nel 1990 da La casa 5 (noto anche come Beyond Darkness e Horror House II), scritto e diretto da Claudio Fragasso (che si firma con lo psudonimo Clyde Anderson) e con David Brandon (Deliria), Barbara Bingham (Venerdì 13: parte VIII – Incubo a Manhattan), Gene LeBrock (Fortress of Amerikkka) e Michael Stephenson (Troll 2). Anche qui è presente la magia nera: la nuova residenza del pastore Peter (LeBrock) si rivela essere stata in passato un covo di streghe, bruciate sul rogo secoli prima, ma i cui spiriti ancora la infestano ”in cerca di vendetta.
Alla lista dei seguiti spuri si somma la serie di film commissionati nel 1989 da ReteItalia (una vecchia società controllata da Mediaset) appartenenti al filone de “Le case maledette“, sempre incentrati su abitazioni infestate: La casa nel tempo e La dolce casa degli orrori di Lucio Fulci e La casa del sortilegio e La casa delle anime erranti di Umberto Lenzi. Va ricordato in ultimo, sempre prodotto da ReteItalia nello stesso anno, La casa dell’orco di Lamberto Bava per la serie ‘Brivido giallo’, uscito all’estero con il nome di Demons 3: the ogre (risultando così addirittura un sequel apocrifo anche della saga iniziata da Demoni di Lamberto Bava nel 1985).
‘La casa’ ieri e oggi: tra titoli ingannevoli e libere traduzioni
I seguiti spuri del cult di Sam Raimi non si limitano però alla produzione nostrana. A metà degli anni ’80 i distributori italiani importano infatti un’altro franchise horror, avvantaggiandosi del successo di Evil Dead: stiamo parlando dei film della serie degli ‘House’, iniziata con House di Steve Miner nel 1986, da noi approdato al cinema nell’agosto 1986 come Chi è sepolto in quella casa? Nel capostipite, William Katt, nei panni di Roger Cobb, incarna uno scrittore e reduce di guerra che si trasferisce nella sinistra proprietà di una vecchia zia, appena morta suicida, per scrivere un libro sulle sue traumatiche esperienze belliche. Dopo poco, come di consueto, nelle stanze vuote iniziano a verificarsi eventi inspiegabili, tra rumori sinistri, oggetti che magicamente prendono vita e incursioni di strane piccole creature che cercano di rapire un bambino del vicinato.
Nel 1987 esce nei cinema il secondo capitolo, La Casa Di Helen (House II: The Second Story, noto anche come La Casa 6) di Ethan Wiley, in cui Jesse (Arye Gross) e la sua ragazza Kate (Lar Park Lincoln) vanno ad abitare nella villa di famiglia di lui, in cui i genitori sono morti quando lui era ancora piccolo; in un tripudio di elementi orrorifici più svariati, si alternano fantasmi di avi, sacrifici umani di vergini e apparizioni di soggetti zombificati. E’ poi il turno di La casa 7 o La Casa III (House 3 o III o The Horror Show, 1989) di James Isaac, che ancora una volta mira a richiamare in sala i fan di Evil Dead, non solo con il ricorso ingannevole al nome, ma anche riutilizzando gli stessi immagine e font della locandina italiana di quest’ultimo (che a sua volta come detto riprendeva la villa usata in Psycho). Nell’horror di Isaac è lo spirito in cerca di vendetta di un serial killer (Brion James) a tornare torna , dopo la sua esecuzione, per tormentare colui che l’ha catturato (Lance Henriksen) e la sua famiglia, che nel frattempo sono andati ad abitare in una nuova abitazione. A concludere la serie è quindi House IV – Presenze impalpabili (House IV) di Lewis Abernathy, uscito in America come straight-to-video nel gennaio 1992, mentre in Italia al cinema l’agosto dello stesso anno. Nell’ultimo capitolo, dopo un letale incidente che la lascia vedova, Kelly Cobb (Terri Treas) si trasferisce col figlio nell’isolata proprietà sulla spiaggia del marito recentemente trapassato. La donna si trova però ad affrontare lo spirito maligno che abita quelle mura.
Se dunque si tratta di una lunga tradizione, la pratica di inserire – senza alcuna aderenza al titolo originale – “La casa” in molte trasposizioni italiche di film d’importazione, non si limita ai vari ‘House …’ ed è proseguita negli anni senza pause. Molti sono anzi gli esempi. Ad aprire la lista è Sola… in quella casa (I, Madman) del 1989, diretto da Tibor Takács (la cui locandina italiana si sarebbe prestata benissimo per font e soggetto anche a un eventuale La Casa 8 …), seguito a stretto giro da La casa nera del 1991, titolo assai ‘inventivo’ per tradurre l’originale e assai dissimile The People Under the Stairs di Wes Craven. Procedendo poi in ordine cronologico, si ricordano Toolbox Murders di Tobe Hooper, Dead Birds di Alex Turner (entrambi del 2004), nonché The Cabin in the Woods (2012) di Drew Goddard, resi dagli italici titolisti rispettivamente come La casa dei massacri, La casa maledetta e Quella casa nel bosco. Un caso particolare invece è costituito da The Devil’s Rejects (2005) di Rob Zombie, la cui traduzione con La Casa del Diavolo è con ogni probabilità motivata dal fatto che si volesse collegarlo in maniera immediata al suo predecessore, La casa dei 1000 corpi (House of 1000 Corpses), nonostante nel secondo capitolo il titolo sia ben diverso e l’ambientazione domestica non certo un elemento fondamentale della storia. Evil Dead del 2013 di Fede Álvarez è naturalmente stato tradotto con La Casa.
Giusto per completezza, è utile citare in ultimo alcuni tra i moltissimi film che invece contengono un riferimento alla dimora maledetta per eccellenza anche nel titolo originale, giusto a conferma che il longevo cliché è assai prolifico anche a Hollywood. Tra i vari ci sono La casa di Cristina (Christina’s House, 2000) di Gavin Wilding, La casa stregata di Elvira (Elvira’s Haunted Hill, 2001) di Sam Irvin, sequel di Una strega chiamata Elvira, La casa dei fantasmi (The Haunted Mansion, 2003) di Rob Minkoff, La casa della peste (The Sick House 2008) di Curtis Radclyffe e La casa muta (La casa muda, 2010) di Gustavo Hernández. Non tralasciamo neppure l’italiano La casa nel vento dei morti di Francesco Campanini del 2012. Per chiudere il cerchio, menzione infine per il già citato La casa delle bambole e l’altrettanto recente adattamento per il grande schermo Il Mistero della Casa del Tempo (la nostra recensione) di Eli Roth, che però, diversamente dal film di Pascal Laugier, risulta una trasposizione non troppo lontana dell’originario e anglofono The House with a Clock in its Walls.
Siamo certi che la ‘tradizione’ dei nostri titolisti non si sia esaurita col 2018, quindi non ci resta che aspettare i prossimi adattamenti liberi.
Di seguito il trailer originale di La Casa:
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