Voto: 7/10 Titolo originale: Vertigo , uscita: 28-05-1958. Budget: $2,479,000. Regista: Alfred Hitchcock.
Dossier: La donna che visse due volte (Vertigo), il fantasma del doppio secondo Alfred Hitchcock
15/06/2020 recensione film La donna che visse due volte di Sabrina Crivelli
Nel 1958, il regista ci sprofondava nelle tenebre del perturbante freudiano con un thriller interpretato da Kim Novak e James Stewart
Familiare eppure distante, riconoscibile e al contempo sfuggente, così era definito il Perturbante da Sigismund Freud nel suo saggio del 1919, Das Unheimliche. Secondo lo studioso, il doppio, angosciante rimosso dell’Io, ritorna a infestare i sogni, o gli stati della mente in cui la componente razionale vacilli, ripresentandosi come frammento dell’identità percepito come altro. La sua comparsa è straniante, riaffiorava come uno spettro nella psiche del soggetto, come una crepa della sua unità.
Tale condizione si può presentare non solo nella fase 0nirica, ma anche nella veglia, in alcuni casi limite. Perciò, come un inquilino indesiderato, il suo affiorare genera profonda angoscia e smarrimento, il medesimo che sembra affliggere all’inizio del film l’affascinante Madeleine Elster/ Judy Barton (Kim Novak), ossia ‘la donna che visse due volte‘ che dà il titolo italiano al capolavoro di Alfred Hitchcock, in lingua originale Vertigo.
Tuttavia, nel film non si tratta solo di un semplice doppio, ma di un più complesso gioco di specchi che il geniale regista inglese mette in scena nel suo thriller del 1958 tratto dall’omonimo romanzo del 1954 di Thomas Narcejac e Pierre Boileau. Una donna bellissima e misteriosa, Madeleine, è ossessionata da una sua antenata defunta in tragiche circostanze, a cui somiglia e di cui pare voler replicare il destino.
Un ex detective, ritiratosi per un’esperienza traumatica e una fobia – quella dell’altezza – inabilitante, viene assoldato dal marito di lei, all’apparenza premuroso, per indagare sulle strane abitudini e comportamenti della consorte. Seguono un tragico incidente – un ‘suicidio’- e il senso di colpa, ma nulla è realmente come sembra e ogni personaggio, dietro alla superficie, cela un lato oscuro, una (o più) diverse identità che emergono lungo allo sviluppo di Vertigo.
Sono create difatti una serie di combinazioni di identità, a volte antitetiche, altre complementari. Alcune di esse corrispondono addirittura a soggetti anagrafici differenti, come nel caso di Madeleine/(Carlotta)/Judy, o – a un livello solo di mera sostituzione (come spiegheremo in seguito) Midge/Madeleine/(Carlotta). Altre fanno capo a uno stesso soggetto, che tuttavia presenta due differenti e opposte personalità, come per Gavin Elster marito premuroso/uxoricida (Tom Helmore) e John “Scottie” Ferguson (James Stewart) protettore / omicida.
Curioso è sottolineare che sono proprio i personaggi maschili a presentare insieme una sola identità anagrafica e la maggiore problematicità (quasi esistesse un maligno doppelganger per ciascuno dei due), mentre quelli femminili hanno plurimi ‘alter ego’, ma c’è maggiore continuità tra di questi (basti pensare che quando Judy sostituisce Madeleine, è ancora innamorata del detective).
Non ci resta dunque che esplorare le dinamiche narrative e i livelli estetici e psicologici del fantasma del doppio nel tesissimo La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock.
Suicidio / omicidio: la trama bifronte
Ancor prima dei personaggi, è la trama stessa di Vertigo a essere costruita su un meccanismo duplice e ambiguo, anzitutto perché i fatti che vengono mostrati la prima metà del film sono poi smentiti nella seconda, in cui l’inganno e la verità vengono svelati. Il soggetto piuttosto è convenzionale: un uomo, Galvan Elster, per appropriarsi delle ricchezze della moglie (Madeleine per l’appunto), ordisce un piano per eliminarla. Ha però bisogno di un alibi e, per ottenerlo, ingaggia una ex poliziotto e vecchio conoscente, Scottie, come testimone del ‘suicidio’ di lei.
Per inscenarne la morte, inoltre, assolda una donna, Judy Barton, che somiglia in maniera impressionante alla consorte, che finge di essere affetta da una forte psicosi (dice di credere di essere posseduta dalla bisnonna Carlotta Valdes) e, in preda a un raptus di follia, simula di buttarsi giù da un vecchio campanile.
Non è altresì la sosia, ma la vera miss Elster (spinta dal coniuge) a precipitare sul tetto sottostante, perdendo la vita. Scottie però non è in grado di appurare lo scambio di persona perché, soffrendo di vertigini (da cui il titolo Vertigo), non riesce a salire fino a in cima alla torre; anzi, in un accesso di delirio, scappa dalla scena del crimine. Ne consegue che il tutto sembri una tragica sventura e il marito sia giudicato innocente durante il processo.
L’omicidio, altresì, non costituisce l’unico o il principale epicentro narrativo, ma più una sorta di elemento scatenante, che porta lo spettatore a scoprire la vera natura, non solo degli eventi, ma anche di chi ne ha preso parte. Il vero nucleo del discorso è la crisi dell’identità dell’uomo moderno e i disturbi annessi, che viene concretizzato nelle forme di alienazione che tangono ambedue i protagonisti: il delirio – simulato – di Madeleine, la donna che visse due volte, con addirittura tre personalità, e l’acrofobia di Scottie, impotente davanti alla fobia delle altezze e in preda alle sue ossessioni prima e dopo la morte della sua protetta.
Poi, c’è la rivelazione. Mentre l’ex detective erra senza meta per i luoghi che la vittima frequentava, si imbatte in Judy, ossia colei che Galvan aveva assunto per interpretare la moglie. Scottie infatti non ha mai incontrato la vera Madeleine, ha solo visto per pochi secondi il suo cadavere. Ha piuttosto conosciuto Judy, si è innamorato di lei ed è corrisposto dalla truffatrice. Quest’ultima, quindi, rimane a San Francisco proprio nella speranza di rincontrarlo e s’imbatte in lui davanti al fioraio che in cui si recava nei panni della ‘visionaria’ miss Elster. I due dunque si ritrovano e, come sperato da lei, lui la insegue fino al suo albergo e la invita a cena.
Proprio in questo momento, Alfred Hitchcock inserisce per il pubblico un flashback rivelatore. Con l’espediente di una lettera (in cui lei dichiara la sua colpevolezza), viene spiegato che in fondo alle scale della torre l’aspettava Galvan, che intanto aveva rapito e portato lì la vera Madeleine. Avveniva così una repentina sostituzione, senza che Scottie potesse rendersene conto, poiché era incapace di salire fino in cima all’edificio. Il momento della rivelazione, inoltre, è indubbiamente importante spartiacque, poiché la storia non è più raccontata dalla prospettiva di Scottie, ma di Judy, ossia oggetto del desiderio di lui e in ultimo la vittima dello stesso.
Amore e morte: Madelein/(Carlotta)/Judy
Madeleine Elster è certamente il motore dell’intera narrazione e il cuore del mistero. La sua figura sfuggente, poliedrica, varia in maniera paradossale diverse volte lungo lo svolgimenti di Vertigo. È la donna che visse non due, ma diverse volte, e in ciascuna è il riflesso di uno spettro del passato. Lo schema si ripete.
Nella prima sezione del film, Madeleine ha una duplice personalità, cela in sé la presenza spettrale di Carlotta Valdes, sua bellissima antenata che si tolse la vita dopo che l’amante non solo la abbandonò, ma le tolse anche la figlia. La poverina impazzì e si getto dal campanile della vecchia missione spagnola a 150 km a sud di San Francisco (ossia lo stesso luogo dove viene inscenato il suicidio della finta Madeleine e si consuma l’omicidio della vera).
L’enigmatico personaggio, incarnato da una magnetica Kim Novak, sembra quindi inizialmente vivere sospeso tra due mondi, tra presente e passato, colta da ricorrenti blackout che la portano ad andare – quasi in una sorta di tranche- in una serie di luoghi (tra cui la missione spagnola in cui la bisnonna fu cresciuta dalle suore, il cimitero in cui fu seppellita e il McKittrick Hotel, ossia la residenza della suddetta) e a emulare l’antenata nell’acconciatura, nei bouquet di fiori e, infine, nella tragica morte. Lo sdoppiamento del soggetto è reso con grande efficacia dapprima nella scena ambientata in una delle sale del Palazzo della Legione.
Scottie pedina Madeleine fino all’interno dell’edificio e la trova seduta, immobile e catatonica, davanti al gigantesco ritratto di Carlotta. L’occhio della camera di Alfred Hitchcock si sofferma sul dipinto, l’abito, il volto, il bouquet (uguale a quello che la protagonista ha appena comprato), poi l’acconciatura. In un montaggio alternato, l’inquadratura si sposta su Madeleine. Dal dipinto alla donna in carne e ossa viene creato un parallelo: i fuori e, soprattutto, il modo in cui sono raccolti i capelli di entrambe divengono quasi un segno premonitore… del destino fatale che le accomuna.
Inoltre, c’è il magistrale dialogo, tra Madeleine e Scottie, in cui lei le rivela della sua ossessione. Così, la donna descrive il suo stato di tranche, la perdita del controllo e la sensazione di straniamento:
È come se attraversassi un lungo corridoio che un tempo era pieno di specchi. I frammenti sono ancora lì. E, una volta giunta al termine del corridoio c’è solo oscurità. E so già che camminando in quell’oscurità, morirò. Ma non sono mai arrivata fino alla fine. Mi sono sempre fermata prima. Eccetto una volta.
Ieri!
‘Ieri’ è il momento in cui si butta in mare, nella baia di San Francisco, e Scottie la salva appena in tempo. Noi però sappiamo che si tratta solo di una simulazione. Tuttavia, dalla finzione alla realtà la storia si ripete, e questa volta è per davvero. Allora, il ‘gioco di specchi’ menzionato nella battuta diviene la perfetta metafora per descrive come La donna che visse due volte stesso sia stato costruito da Alfred Hitchcock.
Nella seconda metà del film, è Judy a essere perseguitata dal fantasma di un defunto, non di un suo avo, ma quello della donna che ha interpretato, di Madeleine. Stavolta non si tratta di un caso di dissociazione della personalità, o di presunta possessione, ma di volontaria interpretazione di un ruolo per (ri)conquistare l’uomo che ama.
Scottie, è difatti ossessionato da colei che non è riuscita a salvare, dal senso di colpa e dalla figura della donna da lui idealizzata, che però è inesistente. Così, obbliga Judy ad assumerne le sembianze, a vestirsi nello stesso modo, a tingersi i capelli, addirittura ad acconciarli come lei. Quest’ultima si presta, anche se con parecchi dubbi, arrivando ad affermare: “se cambierò ciò che sono mi amerai?”.
Smarrisce però così la sua individualità e diventa a sua volta il doppio della defunta (ad un certo punto, sul finale, vestita come quest’ultima, la sua figura è inquadrata attraverso un filtro verde e i contorni ne risultano innaturalmente sfocati, come se già fosse un fantasma…) e, come fu per Madeleine e Carlotta Valdes, ne condivide il triste fato! Il tragico e repentino epilogo è difatti la realizzazione di un destino di morte che sin da principio incombe sulla triplice identità Madelein/(Carlotta)/Judy.
Echi diffusi: Midge/Madeleine /(Carlotta)
Prima di procedere oltre con l’analisi dell’ambigua personalità del protagonista maschile di La donna che visse due volte è necessario soffermarsi su un’altro personaggio femminile che viene presentato – o meglio si propone – come ulteriore riflesso del trittico incarnato da Kim Novak. Stiamo parlando dell’amica di lunga data di Scottie, Marjorie “Midge” Wood (Barbara Bel Geddes). Confidente e donna in carriera, la incontriamo sin da una delle scene iniziali, mentre dialoga con l’ex poliziotto del ritiro di lui, dopo l’incidente che ha portato alla morte di un collega. Ci è chiaro sin da subito che lei abbia un debole per lui, e d’altro canto lo dichiara pure, scherzando sul fatto che l’unico che potrebbe sposare sia lui.
L’amore non è però ricambiato e, nonostante i suoi sforzi per aiutarlo e stargli accanto, tutto è inutile. All’opposto, viene subito scalzata quando compare la misteriosa Madeleine. Scottie gliene parla, le racconta della fosca vicenda di Carlotta Valdes, e del ritratto che la moglie del suo cliente fissa senza requie. Così Midge decide di compiere un passo decisivo e dichiararsi, ma come? Avvedutasi delle attenzioni della sua fiamma per un’altra, decide di dipingere sé stessa vestita e acconciata come la donna del dipinto.
In tal modo, essa stessa diventa ulteriore proiezione della fantasmatica figura, e assume un’altrui identità per conquistare l’amore di lui (come fa anche Judy peraltro, seppure in maniera differente). Ci ritroviamo quindi innanzi a un ulteriore gioco di riflessi, in cui l’elemento femminile, incarnato da due interpreti, la Geddes e la Novak, ruotano intorno a un medesimo fantasma, divenendone ambedue emanazione (la prima in modo faceto, la seconda no), entrambe spinte dal sentimento per il protagonista maschile.
John “Scottie” Ferguson: salvatore e carnefice
Giungiamo quindi alla figura maschile principale: l’ex poliziotto John Ferguson. Il suo personaggio, almeno nella prima parte di La donna che visse due volte, presenta alcuni dei tratti fondamentali dell’investigatore tipo.
Eroe travagliato che perde la testa per una donna estremamente affascinante e altrettanto problematica, risponde perfettamente alle convenzioni di genere proprie della detective story. E, come si conviene, quello che sembra in principio viene ribaltato nella seconda parte del film. Però, cambiamento abissale riguarda non solo uno o più compi di scena, ma la personalità del protagonista stesso.
Scottie mostra, fin dall’inizio di Vertigo, una psicologia fragile. L’incidente occorso al suo collega (morto in servizio) e il senso di colpa che ne deriva sono il motore dei suoi comportamenti. Quando, perciò, incontra Madeleine, in lei vede una possibilità di redenzione. Tuttavia, per la seconda volta, le vertigini gli impediscono di salvare chi cerca di proteggere. La sensazione di impotenza e la fobia sono tradotte immediatamente dal girato: il protagonista di affrontare una terrificante crisi di acrofobia e la camera lo concretizza con la deformazione dello spazio circostante. L’uomo insegue l’amata fin dentro al campanile.
Lei sale veloce la stretta scalinata, lui la insegue, ma a metà si blocca. Guarda in basso e la struttura – che percepiamo spiraliforme, escheriana – si allunga a dismisura con effetto straniante. In tal maniera è reso il vissuto disturbato dell’individuo. Lo stesso è replicato ed enfatizzato nel sogno che Scottie ha poco dopo la morte di Madeleine. Si tratta di una sezione surreale, grafica (sono immagini animate), in cui gli incubi del personaggio si concretizzano in una sinfonia di colori innaturali (e filtri con cui sono fotografati volti e figure), forme pure e silhouette che precipitano (riproducendo la caduta della vittima).
La psicosi, però, è solamente una delle molteplici ombre che il protagonista nasconde in La donna che visse due volte. Esiste un ulteriore lato oscuro. Da cavaliere in breve si tramuta infatti in egocentrico prevaricatore che, non solo obbliga la sosia donna amata a trasformarsi per soddisfare i suoi desideri, ma addirittura è sul punto di ucciderla lui stesso. Dopo aver scoperto che Judy gli ha mentito, poiché lei si è tradita indossando un ciondolo che era di Madeleine (e di Carlotta prima ancora), da incarnazione del salvatore passa a carnefice e la trascina sulla torre da cui è stata gettata la vera miss Elster.
Sul finale sembra ravvedersi e bacia Judy (o forse in un delirio crede che sia Madeleine), ma è solo una breve parentesi. Poi, però, sconvolto afferma: “Tu eri una copia, eri l’imitazione”. In ultimo, una suora compare dall’ombra, e nello stesso istante Judy precipita giù dal cornicione; così il tragico incidente si ripete per l’ennesima volta e Scottie perde, nuovamente, la donna che amava.
Gavin Elster: marito premuroso / uxoricida
Prima di concludere, c’è un’ultimo doppio da esplorare in La donna che visse due volte, quello incarnato da Tom Helmore nei panni di Galvin Elster. La sua entrata in scena è ancora una volta forviante. Lo vediamo in principio nel suo studio. Quivi invita un ‘vecchio amico’ (Scottie), per chiedergli aiuto. Ha sposato una ricca ereditiera (e qui i malpensanti subito sentiranno squillare un campanello d’allarme), che dichiara di amare moltissimo.
Marito premuroso, si è accorto che la moglie ha iniziato a comportarsi in maniera estremamente strana. La donna erra senza meta, sembra del tutto spaesata, in preda a una qualche sorta di disturbo dissociativo. Un giorno, racconta all’ex detective, l’ha seguita e l’ha scoperta avventurarsi in una missione spagnola fuori San Francisco. Spaventato, ha pensato di portarla da una specialista, ma prima vuole avere un’idea più certa di cosa la sua ‘amata’ consorte faccia durante le sue giornate, su quale problema l’affligga.
In verità, come scopriamo poi, si tratta di una trappola, di un inganno, ordito solo per portare a termine il delitto perfetto e non essere scoperto. Tuttavia, non sarà mai svelata la vera natura di Galvin, o almeno non compare mai sullo schermo, poiché il suo personaggio è sempre frutto di simulazione, è interamente una farsa. Non sappiamo perciò come lui sia davvero (come marito e come uomo), né che cosa succederà dopo la riuscita nell’uxoricidio.
Tutto ciò che ci è dato sapere è che una giuria non l’ha ritenuto colpevole e, in un ultimo magistrale momento di dissimulazione, conforta l’amico dicendo che non è colpa sua e, fingendo disperazione, afferma che se ne andrà lontano per ricominciare una nuova vita (quella che in verità ha pianificato e ‘conquistato’ con fatica).
Di seguito una scena clou di La donna che visse due volte:
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