Titolo originale: Снежная королева , uscita: 22-10-1957. Regista: Lev Atamanov.
Dossier | La Regina delle Nevi, il film animato sovietico del 1957 che adatta Andersen (meglio di Frozen)
10/02/2020 recensione film La regina delle nevi di Sabrina Crivelli
Oltre 60 anni fa, il regista Lev Atamanov portava sul grande schermo una prima trasposizione della fiaba classica dello scrittore danese, poi ripresa nel 2013 da Chris Buck e Jennifer Lee in modo assai differente
Sin dai tempi remoti, la Walt Disney Company ha portato sul grande schermo gli adattamenti animati delle favole più celebri, da Biancaneve e i sette nani (1937), tratto dall’omonima fiaba dei fratelli Grimm, a La bella addormentata nel bosco (1959) dal classico di Charles Perrault, passando per il carrolliano Alice nel Paese delle Meraviglie (1951) e infiniti altri titoli. In tutti i casi, però, le versioni cinematografiche si discostano in maniera netta dalle controparti su carta. Frozen – Il regno di ghiaccio, diretto da Chris Buck e Jennifer Lee nel 2013, non fa eccezione. Il 53° lungometraggio d’animazione di casa Disney era infatti liberamente ispirato a La regina delle nevi (Sneedronningen, 1844) di Hans Christian Andersen, ma forse addirittura più che negli altri casi citati le differenze con l’opera originale sono abissali. E non è tutto: seppure di sicuro quello più celebre presso al grande pubblico, non è certo la prima resa su pellicola del classico della letterature per bambini, né la più fedele, né – soprattutto – la migliore.
La regina delle nevi, alle radici dell’adattamento sovietico della fiaba di Hans Christian Andersen
Tale merito appartiene invece a un’opera del 1957 realizzata nella Russia sovietica, capace di aggiudicarsi il primo premio nella sua categoria alla 18ª Mostra del Cinema di Venezia, La Regina Delle Nevi (Снежная королева, Snežnaja koroleva) di Lev Atamanov. Viaggio immaginifico attraverso una serie di scenari fantastici (esattamente come nella favola, la vicenda si suddivide in precisi capitoli), il film ha addirittura ispirato uno dei più grandi maestri dell’animazione nipponica, per sua stessa ammissione, il grande Hayao Miyazaki. Inoltre, se entrambi i lungometraggi sono basati sulla medesima favola, solo quello sovietico le è rimasto fedele nella trama e nello spirito, dettaglio tutt’altro che indifferente.
Ad aprire La regina delle nevi è la voce di Ole Lukøje (anche conosciuto come Ole Chiudigliocchi), una creatura benigna “vecchia quanto i sogni” che concilia per l’appunto il sonno infantile ed è protagonista di un’altra opera anderseniana, che da lui prende il nome. Come ad invitarci in un universo fatto di sogni, schiude il suo magico ombrello e attraverso le sue parole siamo cullati in una piccola cittadina nordica, sul piccolo terrazzo che unisce due casette suggestive. Qui, due amici inseparabili, Gerda e Kai, stanno coltivando due bellissime rose, una bianca e una rossa, e come segno del loro legame le piantano insieme in un unico vaso. La bella stagione lascia il passo all’inverno e un vento batte incessante sulle lande imbiancate. Una notte gelida, i due bambini si rifugiano insieme davanti al fuoco, mentre la nonna di Gerda racconta loro un antica leggenda. Tutti i fiocchi si neve, rivela la vecchia signora, vengono da una terra lontana, algida quanto bellissima. Lì, in un palazzo di ghiaccio abita la statuaria e fredda Regina delle nevi, la quale di tanto in tanto, stufa della solitudine, osserva il mondo da lontano. Convinta che lei li stia spiando fuori delle finestre, Gerda sussulta spaventata e Kai per rassicurarla, spavaldo, deride la divina monarca.
Quest’ultima, però, sta davvero guardando attraverso il suo specchio magico e adirata lo rompe in mille pezzi; poi, per punizione, ordina alle schegge ghiacciate di cercare il ragazzino e trafiggergli gli occhi e il cuore. Quando i frammenti raggiungono infine la loro vittima, un terribile maleficio ha inizio: Kai d’improvviso cambia completamente, diviene crudele e insensibile perfino con l’amata Gerda e con sua nonna. E non solo. Un giorno di sole, mentre sta giocando con il suo slittino, gli compare davanti nientemeno che la Regina delle nevi. Come ammaliato il bambino allora attacca il proprio mezzo alla sua carrozza, che lo trascina via con sé fino all’estremo Nord. Disperata, Gerda parte alla sua ricerca, decisa a non darsi per vinta finché non l’avrà riportato indietro.
Lev Atamanov vs. Walt Disney: due filosofie opposte a confronto
Diversamente dal cartone sovietico, la Disney ha sin da principio pensato a uno script molto distante dalla fiaba di Hans Christian Andersen. In tutte le tre versioni (letteraria e filmiche) il motore della narrazione è la ricerca del castello della Regina delle nevi, ma gli sceneggiatori americani hanno mantenuto ben poco altro. Anzitutto, il racconto non è più incentrato su una commovente storia d’amicizia, che porta la piccola Gerda ad affrontare ogni tipo di difficoltà e pericolo pur di raggiungere il suo Kai, arrivando perfino a combattere la potente e spietata Regina delle nevi. In Frozen, il personaggio femminile viene liberamente reinterpretato, assumendo le sembianze di una giovane principessa: Elsa. Primogenita della famiglia reale di Arendelle (un regno scandinavo), ha sin da quando è nata il potere di dominare il ghiaccio, senza però averne il totale controllo. Dopo aver messo in pericolo per sbaglio la sorella minore, Anna, i genitori decidono di tenerla nascosta al resto del mondo, isolando così tutta la famiglia. Quando però gli adulti perdono la vita in un tragico incidente, l’isolamento viene meno. Durante la festa per l’incoronazione di Elsa, che è la legittima erede al trono, Anna conosce un principe che su due piedi le propone di sposarla, con lei che accetta prontamente. La sorella maggiore la prende male, fugge e si isola su una montagna in un castello di ghiaccio da lei stessa creato. Così, Anna parte alla sua ricerca, per salvarla e riportarla a casa.
La ricerca di una persona cara, quindi, accomuna La Regina delle Nevi e Frozen, ma le protagoniste, le tappe del racconto di formazione e i personaggi sono ben diverse; soprattutto, poco ha in comune la monarca di ghiaccio con la ben meno fascinosa e più ‘moderna’ Elsa. Per il resto, nel secondo sono riproposti senza troppo approfondimento alcuni dei valori tipici delle fiabe per bambini (quelle disneyane comprese). Oltre all’amore fraterno, ci sono l’affermazione della propria libertà e individualità, la sfida alle tradizioni opprimenti e, naturalmente, la capacità di ‘lasciarsi andare’. Così, in Frozen viene affermato, senza troppo problematizzare, che il superamento di un trauma e dell’isolamento può avvenire agilmente se si ha fede, si tengono vicini i propri cari e si mantiene il proprio cuore aperto all’amore. Insomma, un messaggio piuttosto semplice, uno sviluppo all’insegna dei buoni sentimenti, condito da una pletora di simpatiche creature cartoonesche e piacevoli, tra cui un Troll, il pupazzo di neve Kristoff e la renna Sven.
Del tutto differente è il film diretto cinquant’anni prima da Lev Atamanov. Va comunque detto che, anche in La Regina delle Nevi, s’intravede una morale analoga, che inneggia all’importanza dei legami affettivi che danno il coraggio necessario per combattere ogni avversità e ritrovare chi si ama. Ci sono altresì anche non pochi elementi bizzarri e inquietanti che coesistono al fianco della pura innocenza della piccola Gerda. La figura della Regina delle nevi è ben diversa da quella di Elsa, assai più enigmatica, imperscrutabile e sinistra. Bellissima nell’aspetto, ha in verità un’indole mostruosa affine a quella delle streghe cattive al centro della favolistica tradizionale. Rapisce un bambino per capriccio e per ripicca, gli gela il cuore e lo tramuta in un suo simile (o, almeno, poco ci manca). Perfino il ‘lieto fine’ è piuttosto ambiguo e posticipa, piuttosto che risolvere, le tensioni centrali del film. Nella fattispecie, viene tutt’altro che sconfitta quella incombente e angosciante presenza che dal suo dominio nell’estremo Nord si diletta a spiare e minacciare i bambini di tutto il mondo. In confronto, l’epilogo di Frozen è completamente prevedibile e lineare.
D’altra parte, Elsa è uno strano ibrido tra i ruoli in principio rivestiti da Kai e dalla Regina delle nevi. Dell’una ha i poteri (o quantomeno qualcosa di simile, anche se manca della stessa colpevolezza nell’utilizzarli), dell’altro ricopre in parte la funzione di meta ultima delle ricerche (sebbene l’origine della sua sparizione sia ben diversa). Allo stesso tempo, quasi i caratteri dei personaggi della trama fossero nel film pressoché interscambiabili, anche Anna risponde a una finalità nell’economia del racconto affine a quella di Kai. Il suo cuore, come quello del bambino, è stato congelato, ma non per punizione, solo per sbaglio dalla sorella. Quest’ultima, infine, sempre in questo gioco delle parti che denota la totale perdita del significato del testo originario (mero pretesto per parlare di tutt’altro), replica sul finale l’azione salvifica di Gerda, liberando Anna dal suo stesso incantesimo grazie al proprio amore.
La magia come metafora del passaggio all’età adulta e le sue due diverse rappresentazioni
Se invece ci soffermiamo più a fondo sulle trasformazioni subite da Kai e da Elsa, potremo per entrambi i film parlare della metafora di una fase di passaggio all’età adulta. Anche in questo caso, tuttavia, il modo in cui la pubertà viene descritta è agli antipodi. In Frozen, dopo aver nascosto i propri poteri – e la propria natura – per tutta la vita, La Regina delle Nevi finalmente gli dà pieno sfogo, mentre lei canta allegra “Let it Go”. Ben meno serena è la trasformazione del piccolo Kai che, dopo che un agente esterno (un frammento di ghiaccio) inizia a mutare irreversibilmente le sue percezioni e il suo carattere, diventa solitario, scontroso e aggressivo. Insomma, un vero e proprio adolescente. Più che fare finalmente pace con le mutazioni a cui è andato incontro, il ragazzino viene però in ultimo salvato e riportato allo stato di innocenza infantile da cui era partito, in una sorta di strana regressione. Nessun nodo è stato sciolto, mentre la crescita è tratteggiata più che altro come una maledizione, celando una profonda ansia nel passaggio all’età adulta, una sorta di ‘sindrome di Peter Pan’. Se confrontiamo questo complesso iter freudiano a una lieta canzone che proclama di lasciarsi andare, ovvero “Let it Go”, certo denota un processo ben meno problematico e una limpida accettazione della propria femminilità, sottolineata dal look più maturo di Elsa, nonché l’apertura a nuove esperienze e conoscenze.
Anche il viaggio di Gerda potrebbe simboleggiare un tortuoso superamento della fanciullezza, ma – come per Kai – è tutt’altro che privo d’insidie. Le tappe attraversate dalla la bambina evocano un universo di pericoli, che lei è del tutto incapace di affrontare o controllare. L’improvviso cambiamento (e la scomparsa) di Kai destabilizza profondamente la sua vita e ritrovandolo spera di riportare le cose indietro alla condizione iniziale. A guidarla è la sua innocenza e la sua totale fiducia nell’amicizia, come confermato dalla donna finlandese – assai simile a una strega bianca – che incontra sulla sua strada e che si contrappone alla maligna Regina delle nevi.
La purezza che caratterizza la protagonista attrae – ed è sfruttata – da una serie di personaggi in cui s’imbatte, molti dei quali decisamente inquietanti e morbosi. Dapprima, dopo aver attraversato il fiume su una piccola barca, s’imbatte in una maga solitaria disperatamente in cerca di una qualche compagnia. La donna attira la malcapitata nel suo bellissimo giardino fiorito e con un incantesimo l’addormenta e le fa dimenticare ogni cosa. Due rose, una rossa e una bianca, riportano alla mente obnubilata di Gerda la sua missione e lei prontamente fugge. Poi, dopo aver affrontato la tempesta, la ritroviamo seduta su una spiaggia, dove un sinistro corvo parlante la conduce in una castello, dove dice di aver visto un ragazzino che corrisponde perfettamente alla descrizione di Kai. Ovviamente non trova ciò che cerca e rischia invece di essere arrestata, ma riesce ancora a scampare il pericolo. Tuttavia, le sue disavventure non sono finite, la sua carrozza viene assalita dai briganti e una torva ragazzina la vuole tenere prigioniera insieme a molti altri animaletti indifesi che ha catturato.
Infine, naturalmente ci sono la Regina delle nevi stessa e il suo desolato regno spazzato da costanti venti gelidi. Mentre la donna trascina Kai tra le nuvole, gli dice con voce suadente e insieme sinistra “Ti condurrò con me in un regno incantato, in un luogo meraviglioso dove tutto è oblio. Diventerai anche tu come un freddo pezzo di ghiaccio. Non ci sarà in te né gioia, né dolore, ma solo pace e gelo. Questa è la felicità“. Intanto, con il suo alito congela un uccellino nel nido, lasciando i suoi piccoli soli al mondo. Che sia il distacco necessario per passare all’età adulta? Indubbiamente denota una lettura piuttosto disincantata dell’esistenza e della vera gioia. La stessa sensazione è trasmessa dalla scena ambientata nel suo palazzo. In un’enorme sala ghiacciata, la luce riflette in maniera meravigliosa sulle superfici lisce e del tutto spoglie. Quivi Kai trascorre il proprio tempo guardando poligoni ghiacciati, ammirandone la precisione delle forme, arrivando ad affermare: “Belli, sono più belli dei fiori veri!” “Hai ragione Kai”, replica lei, aggiungendo “Tu sei diventato intelligente”, come a sottolineare il valore del distacco raggiunto dal bambino.
Questo in fondo è la vera differenza tra Frozen il film di Lev Atamanov: nell’uno vige la propensione verso il prossimo e verso il mondo esterno, nell’altro non si percepisce lo stesso ottimismo. La figura stessa della Regina delle nevi incarna tale contrapposizione. La sua versione sovietica pare affermare che essere aperti verso ciò che ci circonda implichi solo il pericolo di subire insidiosi attacchi. Le uniche soluzioni sono pertanto un preventivo isolamento assoluto, oppure una proattiva innocenza, tale da risultare disarmante per qualsiasi malintenzionato; una purezza fiabesca insomma. E poiché questa è una fiaba, quando Gerda e la Regina delle nevi si trovano faccia a faccia, è l’innocenza a trionfare. Eppure non si capisce del tutto perché ciò accade. Infatti, nel momento in cui la bambina affronta la sua temibile avversaria, appena dopo aver liberato il suo amico con la forza del proprio sentimento, la donna tace e la fissa, sembra che stia per incedere verso di loro, ma si limita a scomparire e a lasciarli liberi. Così, Kai può far ritorno alla sua casa e alla sua infanzia e, lungo la strada, li accolgono e salutano tutti i personaggi che Gerda ha incontrato in precedenza. E tutti gridano: “Siate felici!”.
Insomma, se l’innocenza di Gerda è stata sufficiente per salvare Kai, il mondo intorno a loro non è molto cambiato, e non è detto che un giorno i due bambini non debbano affrontarne le ingiustizie. D’altra parte, è proprio questo che rende La Regina delle Nevi tanto poetico, la capacità di tratteggiare attraverso meravigliosi disegni (tra gli altri, realizzati dal grande Fëdor Chitruk) l’estrema bellezza – e bruttezza – del creato, le continue contraddizioni che contraddistinguono l’esistenza umana. Forse, ciò discende dal fatto che sia il frutto di un contesto storico e geografico diverso, dominato da un regime, da carestie e dall’oppressione del popolo. Al suo confronto, Frozen è inevitabilmente incapace di raffigurare la complessità che contraddistingue la nostra esperienza quali esseri umani; si ferma alla superficie, fornendo un comodo messaggio edificante e risolvendo problemi piuttosto articolati con soluzioni semplici.
Di seguito una clip internazionale di La Regina delle Nevi, che fu doppiato in italiano per l’uscita nei cinema del 1959, ma rimasto ad oggi clamorosamente inedito in DVD:
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