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Voto: 6.5/10 Titolo originale: Friday the 13th Part 2 , uscita: 01-05-1981. Budget: $1,250,000. Regista: Steve Miner.

Dossier Venerdì 13 parte II e III; arriva Jason, indossa la maschera e diventa iconica

13/05/2022 recensione film di Francesco Chello

Tra il 1981 ed il 1982 escono L’Assassino ti siede accanto e Week-end di Terrore, diretti entrambi da Steve Miner. Slasher semplici ma onesti, con una buona predisposizione per la violenza. Ma soprattutto col merito e l’importanza storica di aver introdotto e delineato un boogeyman immortale

venerdì 13 parte 3 weekend 3D jason

Orrorificamente parlando, la data di pubblicazione odierna ha un sapore speciale. Immagino di non dovere spiegare cosa voglia dire Venerdì 13 per il cinema horror, e non solo. D’altronde, ne avevamo già parlato in passato, quando avevamo celebrato la ricorrenza rispolverando il reboot del 2009 in occasione del suo decennale ed il capostipite del 1980 per i suoi 40 anni.

All’epoca avevo detto che il miglior modo per celebrare un venerdì 13 qualsiasi dell’anno era parlare proprio di un Venerdì 13. Sono sempre di questo avviso, ma oggi rilancio, considerando che dall’ultima volta sono trascorsi un paio d’anni e tocca recuperare il tempo perduto. Ovvero parlandovi di ben due Venerdì 13.

Mi riferisco a L’Assassino ti siede accanto e Weekend di Terrore, secondo e terzo capitolo della celebre saga, usciti rispettivamente nel 1981 e nel 1982. L’idea di un articolo ‘double feature’ non ha soltanto una valenza doppiamente informativa, ma rientra proprio in un discorso filologico. Perché si tratta di due film diretti dallo stesso regista, primo e unico caso in tutto il franchise. Ma, soprattutto, perché è in quei due film che la saga prende definitivamente forma e diventa iconica settando stilemi e trademark universalmente riconoscibili e riconosciuti ancora oggi.

Venerdì 13 parte 2 - L'assassino ti siede accanto (1981) posterQuello che succede con Venerdì 13, infatti, è particolarissimo e francamente impensabile, specie ai giorni nostri. Se oggi nomini la serie, la risposta è scontata: Jason, maschera da hockey. Ma la suddetta serie per aderire a quella risposta ci ha messo addirittura tre film. Nel primo Friday the 13th, Jason non c’era nemmeno, o meglio, c’era in qualche modo (nei racconti, in un flashback, in una sequenza onirica), ma non aveva una collocazione di primo piano e, cosa più importante, non era l’assassino. Il buon Voorhees compare nel secondo film con un look diverso da quello con cui entrerà nell’immaginario collettivo e che arriverà soltanto nel terzo episodio.

In pratica, un’idea per così dire ‘di ripiego’, porta alla nascita di un mito.

Con la decapitazione di Pamela Voorhees al termine del capitolo originale, diventava un tantinello difficile pensare di poterla resuscitare per un sequel. Seguito che, visti gli incassi da capogiro (70 milioni di dollari worldwide a fronte di appena 550 mila dollari di budget, senza contare l’home video, che incide ancora oggi), era praticamente inevitabile.

Sean S. Cunningham propose di realizzare un Venerdì 13 all’anno, ma di farlo attraverso film autoconclusivi, che fossero slegati tra loro e accomunati soltanto dalla ricorrenza di sangue. La produzione non era di questo avviso, preferiva piuttosto un aggancio alla mitologia del predecessore, motivo per cui spunta l’idea di riportare in vita Jason (che, in realtà, morto lo era nei racconti di Mrs. Voorhees …), incipit che fa subito scendere dalla barca Cunningham, che la riteneva una trovata stupida – dimostrandosi stavolta poco lungimirante, visti i milioni che arriveranno a cascata grazie a quel personaggio rocambolescamente ripescato.

A quel punto la Paramount il sostituto lo cerca in casa, promuovendo sul campo Steve Miner, già associate producer e unit production manager del primo capitolo, dandogli così la possibilità di esordire alla regia (oltre che confermarsi tra i produttori). Con lui diversi membri della crew di Cunningham (che comunque assisterà – in veste informale – l’amico Miner in fase di pre-produzione e casting), ma non Tom Savini (che preferì accettare la proposta per The Burning), anche lui poco convinto dalla figura di un Jason che tutti avevano dato per morto nel 1957. La stessa Betsy Palmer (interprete di Mrs. Voorhees) ebbe da ridire della cosa, ma ciò non le impedì di accettare l’offerta di tornare in un cameo che prevedeva alcune battute filmate in mezza giornata di lavoro per un film finito che lei poi dichiarerà di non aver mai visto.

A bordo sale anche il neolaureato Frank Mancuso Jr., figlio del boss della Paramount, che da quel momento supervisionerà il franchise per conto della compagnia del padre. La sceneggiatura di Ron Kurz non si preoccupa delle presunte incongruenze relative alla sopravvivenza di Jason, affidando la risoluzione a un escamotage semplicissimo: Paul, il counselor, racconta agli allievi le gesta dei Voorhees (con la strage ad opera di Pamela che viene collocata cinque anni prima), di notte intorno al fuoco, come fosse uno di quei racconti ‘scary’ tipici del campeggio; poche parole per ridefinire in qualche modo la mitologia iniziale.

Dal canto suo, Steve Miner si rivela la scelta giusta per L’Assassino ti siede accanto. Il primo Venerdì 13 resta un film col suo potenziale e i suoi punti a favore, ma anche con le sue imperfezioni. La regia di Sean S. Cunningham era elementare, canonica, non incline a particolari guizzi, in linea con uno script non esattamente articolatissimo; l’innegabile forza dell’atto finale arrivava nel momento propizio, ovvero quando il film sembrava si stesse incartando.

Venerdì 13 parte 2 - L'assassino ti siede accanto (1981) jasonPer L’Assassino ti siede accanto Steve Miner non cambia più di tanto la struttura (anche perché non è quello che vuole lo studio) ma cerca di migliorare l’esecuzione. Più ritmo, più cura, possibilmente più sangue. Ricorre all’impiego di una steadycam, parecchie soggettive. Sfrutta la location, crea un minimo di atmosfera a cui contribuisce anche la notte piovosa.

Per due terzi di film riprende dal predecessore anche le impostazioni tipiche del whodunnit (omicidi mostrati dal POV del killer o comunque senza inquadrarlo a figura intera), anche se stavolta la cosa ha meno efficacia visto che anche alla prima visione è abbastanza ovvia l’identità dell’assassino. Venerdì 13 parte 2 – L’Assassino ti siede accanto è visivamente più curato, più veloce, più cruento, più compatto nei suoi 83 minuti.

Nulla per cui strapparsi le vesti, ma un onesto slasher con gli ingredienti al posto giusto e i suoi momenti riusciti. Da ragazzino tendevo un po’ a snobbarlo per la figura di Jason Voorhees che non era ancora quella che avevo imparato ad amare, ma col tempo l’ho rivalutato proprio per i motivi di cui parlavo poco fa. Il boogeyman è ancora un uomo comune, di corporatura media, volutamente goffo nei movimenti. Inciampa, le prende, si fa beffare. Non è ancora l’inarrestabile macchina da morte che conosceremo poi, ma ha già una gustosa predisposizione per l’omicidio truculento. Lo vediamo trascinare cadaveri, ascoltiamo il suo respiro.

Il primo outfit prevede salopette e camicia da boscaiolo. E un sacco di iuta che ne copre il volto che ricorda molto da vicino quello di La Città che aveva Paura (The Town that Dreaded Sundown) del 1976, scelto perché ritenuto un oggetto che Jason avrebbe potuto realmente procurarsi senza difficoltà. Volto che vedremo soltanto alla fine, deforme, occhi asimmetrici, ciocche rossicce di capelli lunghi e peluria sul volto. Un look che sembra rifarsi alla sindrome di Proteus, la rara malattia genetica che aveva colpito Joseph Merrik (più conosciuto come ‘Elephant Man’) che, non a caso, utilizzava un sacco di tela per le sue apparizioni in pubblico.

Un buon lavoro quello di in fase di make-up da parte di Carl Fullerton, che aveva preso il posto di Tom Savini dopo che la produzione aveva tentato di assumere Stan Winston, già impegnato su un altro progetto. Ad impersonare Jason unmasked c’è Warrington Gillette, che inizialmente aveva sostenuto il provino per la parte di Paul e che si infortuna durante la scena della finestra che al primo ciak non si rompe come previsto; Gillette non è l’unico a portare in scena l’assassino di Crystal Lake che, anzi, nella maggior parte delle scene in cui ha il volto coperto viene interpretato dallo stuntman Steve Dash (nome d’arte di Steve Daskawics), mentre le gambe che vediamo nel prologo nei pressi della casa di Alice sono della costumista Ellen Lutter.

Proprio in considerazione dello screentime nel ruolo (e della dedizione che lo porterà a rompersi le costole cadendo su un piccone e tagliarsi un dito col machete impugnato da Amy Steel), Steve Dash rimase contrariato dal fatto di non essere accreditato come Jason nei titoli di coda, cosa che avverrà nel capitolo successivo in riferimento al materiale d’archivio riciclato per i flashback. Con i suoi 185 centimetri, Warrington Gillette risulta il più basso tra i Jason ufficiali (in versione adulta, quindi escludendo Ari Lehman che gli aveva dato il volto da ragazzino), ma in realtà Steve Dash era decisamente più minuto – ricollegandomi al discorso sulla corporatura media di un Jason uomo normalissimo di cui parlavo prima e al fatto che l’interprete on screen fosse quasi sempre lui.

Venerdì 13 parte 2 - L'assassino ti siede accanto (1981) steelAmy Steel è Ginny Field (in omaggio a Virginia Field, la production designer), la nuova final girl. E’ intelligente aver optato per una figura differente dalla Alice di Adrienne King. Ginny è spigliata, minuta ma grintosa, ha un fidanzato (che fa decadere automaticamente il parametro della castità), non nasconde la paura (emblematica la pipì sotto il letto nel momento in cui è braccata), ma non si tira indietro quando deve impugnare armi o giocare d’astuzia come quando indossa il maglione di Mrs. Voorhees per ingannare Jason.

Una Ginny che nella sceneggiatura iniziale di L’Assassino ti siede accanto avrebbe dovuto morire, ma i produttori insistettero per avere almeno un superstite; produttori che, contenti della Steel, volevano ingaggiarla anche per il capitolo successivo, ma l’attrice fu malconsigliata dalla promessa del proprio agente di ruoli migliori, quando poi cinque anni dopo tornerà in uno slasher decisamente meno riuscito come Pesce d’Aprile, prima di sparire gradualmente dalle scene.

La voglia di sovvertire le consuetudini di L’Assassino ti siede accanto viene esplicitata anche dal personaggio di Ted (interpretato da Stu Charno), il simpaticone della compagnia, quello che di solito è tra i primi a morire e che invece troverà casualmente la salvezza in quei bagordi (al bar, tra alcol e donne) che generalmente sono la condanna dello sventurato di turno. Adrienne King torna per due giorni di riprese (e senza script, improvvisando le proprie battute), ovvero il tempo di farsi uccidere nel prologo, che tra l’altro si rivela uno dei momenti migliori del film, nonché una delle scene pre credits più lunghe della storia del cinema – chiusa dall’arrivo del titolo che stavolta esplode.

Dopo circa cinque minuti di footage riciclato dal primo capitolo ad uso recap, l’azione di L’Assassino ti siede accanto si sposta cinque mesi dopo quegli eventi: Jason Voorhees si concede una gita fuori porta per chiudere i conti con colei che ha ucciso sua madre, per farlo ricorre ad un rompighiaccio con cui Adrienne King verrà accidentalmente ferita a causa di un malfunzionamento del meccanismo retrattile.

Per anni si è speculato sul fatto che la King fosse stata repentinamente messa da parte per presunti disaccordi di natura economica, quando invece la motivazione reale è decisamente più seria: in seguito al successo di Venerdì 13, l’attrice ha vissuto uno spiacevole episodio personale che arriverà a condizionarne le ambizioni artistiche chiudendo, di fatto, la sua carriera (ripresa saltuariamente vent’anni dopo); racconterà di essere stata vittima di stalking da parte di un fan, quando il delicato fenomeno non era ancora approcciato con la giusta considerazione dalle autorità.

Venerdì 13 parte 2 - L'assassino ti siede accanto (1981)Alice non è l’unico personaggio superstite del primo Venerdì 13 che per l’occasione ritorna per morire, lo stesso destino tocca a Crazy Ralph (il cui interprete, Walt Gorney, viene visto più volte aggirarsi in zona e parlare da solo, probabilmente per calarsi meglio nel personaggio) che fa in tempo a riproporre i suoi nefasti avvertimenti prima di lasciarci le penne, perché è chiaro che se continui a non farti i cazzi tuoi prima o poi ci resti secco.

Il resto del cast di L’Assassino ti siede accanto si limita a fare da carne da macello, con un bodycount che conta 9 vittime più una presunta ma non confermata (ovviamente nel conteggio non vanno incluse le morti presenti nei flashback) e un repertorio che include simpatiche cosette come coltellate, martellate sul cranio (come in Halloween II – Il Signore della Morte, uscito lo stesso anno), sgozzamenti con cavi metallici, un gradevolissimo colpo di machete in pieno volto (prima volta di un’arma che diventerà vero e proprio marchio di fabbrica di Jason).

Senza dimenticare la scena della coppia infilzata nel mentre di un rapporto sessuale, che omaggia (plagia?) Reazione a Catena del maestro Mario Bava. Quando più su parlavo di ‘possibilmente più sangue’ lo facevo pensando alla censura; approfittando del fatto di partire come progetto semi sconosciuto, il primo Venerdì 13 era passato quasi indenne dalla MPAA che pensò bene di vendicarsi con i capitoli successivi.

I tagli applicati dall’organo di censura americano si aggirano intorno al minuto, che può sembrare poco se ragionate in termini di dialoghi ma che invece può significare molto se si tratta di fotogrammi cruciali delle varie uccisioni. La sequenza della coppia, ad esempio, è quella che ne ha risentito di più: sullo schermo vediamo a malapena una sagoma arrivare e la lancia che fuoriesce sul pavimento, in origine avrebbe dovuto trattarsi di un omicidio più elaborato per il quale erano stati utilizzati manichini e frattaglie varie, che per la sua violenza pare avesse sconvolto alcuni dei presenti durante le riprese.

Tra le citazioni anche Non Aprite Quella Porta – tra il personaggio (poi vittima del killer) sulla sedia rotelle e Ginny che in una scena imbraccia una motosega per difendersi, e Lo Squalo con le note del celebre theme musicale che il sempre prezioso Harry Manfredini aggiunge alla scena in cui Terry nuota di notte.

L’altarino con le simpatiche reliquie (tra cui il maglione e la testa mozzata in bella mostra) è uno degli aspetti scenografici più azzeccati – non a caso, il finale di L’Assassino ti siede accanto si chiude con una zoomata sul volto mummificato di Pamela (che in un finale alternativo apriva gli occhi e sorrideva, opzione scartata perché ritenuta potenzialmente ridicola), così come i corpi delle vittime sul pavimento (c’è pure Alice in decomposizione con tanto di rompighiaccio che fuoriesce dalla testa) come fossero trofei. Il sinistro rifugio di Jason Voorhees è minimalista e fatiscente, testimonianza di anni trascorsi nel bosco in uno stato semi animalesco; altarino che è quindi simbolo del rapporto quasi ossessivo con la madre, carburante di una vendetta che fondamentalmente non sarà mai saziata.

Friday the 13th part 2 esce negli States il primo maggio del 1981, da noi ci arriva a settembre dello stesso anno col titolo, appunto, di L’Assassino ti siede accanto. Qualche genio aveva pensato bene di omettere la sacra dicitura Venerdì 13, che sarà prontamente recuperata in seguito per home video e passaggi televisivi. Costato più del doppio del primo capitolo, incassa meno ma comunque almeno venti volte il suo budget. Insomma, con questi numeri come fai a non farne un altro?

venerdì 13 parte 3 weekend poster 3DEd è quello che succede puntualmente l’anno dopo con Venerdì 13 parte 3 – Weekend di Terrore. Che si apre ancora una volta con dei flashback che riciclano circa sei minuti di footage dal predecessore agganciandovi un riuscitissimo prologo che raggiunge più di uno scopo.

In primis, quello del film dell’orrore, con sufficiente tensione e due apprezzabili omicidi. In secondo luogo, aiuta a far luce sulla conclusione de L’Assassino ti siede accanto e, nello specifico, sulla sorte di Paul (se ricordate, prima parlavamo di una decima vittima soltanto presunta), visto che al notiziario parlano (con la voce di Steve Miner che si concede un cameo vocale) di otto vittime ritrovate al campo estivo (la nona era Alice), tra l’altro confermando che non si trattava di un sogno della protagonista.

Infine, ci mostra la fuga di un redivivo Jason Voorhees, giustificando almeno in parte il cambio di look: ferito ma non morto, ruba dei vestiti dal bucato delle sue prossime vittime, ragion per cui la camicia è evidentemente (e volutamente) di una taglia non sua. Se per l’outfit ci si preoccupa di fornire una spiegazione, lo stesso non si può dire per la trasformazione fisica. La stazza è superiore, cambiamento magari forzato ma che si accetta di buon grado, visto che rende più minaccioso il vecchio boogeyman. Meno giustificabili sono invece i cambiamenti somatici: il volto è ancora deforme, ma differente (restano gli occhi asimmetrici), spariscono capelli e peluria sul viso.

E con questo non vuol dire che il nuovo aspetto non funzioni, anzi – a dirla tutta – si tratta di una versione certamente migliorativa che per questo si fa preferire (e che sarà ulteriormente perfezionata dal ritorno di Tom Savini nel capitolo successivo), la perplessità è giusto di tipo continuativo, considerando che il timone è lo stesso del capitolo precedente con Steve Miner che invece cerca qualcosa di diverso e si affida al make-up di Allan A. Apone e Frank Carrisosa.

Fisionomia di Jason Voorhes che avrebbe dovuto essere curata da Stan Winston, nuovamente corteggiato, iniziò anche a lavorarci per poi abbandonare la produzione di Weekend di Terrore a causa di altri progetti sovrapposti; il suo Jason era ben visibile in un finale alternativo (poi scartato) in cui Chris moriva, ma forse non tutti sanno che nel final cut è comunque presente per alcuni istanti in uno stato di penombra, nel prologo tra i panni stesi.

Steve Miner, dicevo, confermatissimo in regia, che realizza un altro capitolo dignitoso e divertente, storicamente importante (e tra poco ci arrivo) anche se sul piano tecnico viene penalizzato da una scelta che sul lungo periodo si rivela controproducente. Mi riferisco alla decisione di realizzarlo in 3D analogico, con tante scene girate in funzione della visione tridimensionale che ovviamente in 2D perdono senso e/o efficacia – dallo yo-yo alla sequenza dell’occhio che schizza fuori dall’orbita, concettualmente figa ma realizzata maluccio con tanto di molla in bella vista. Io l’ho sempre visto in 2D, ma chi ha avuto modo di vederlo in tre dimensioni lamenta una tecnologia superata con colori distorti e messa a fuoco da mal di testa.

Prima release in 3D per la Paramount dai tempi di Ulisse, uscito 28 anni prima; la produzione di Venerdì13 – Weekend di Terrore si spostò dal Connecticut alla California in modo da essere più vicini agli esperti di tecnica tridimensionale, per un film che tentava allo stesso tempo sia di rilanciare questa gimmick visiva che di utilizzarla come espediente per rinfrescare una formula narrativa che il pubblico aveva ormai fatto sua. A partire dai titoli di testa sparati verso lo spettatore, sulle note di un Harry Manfredini che contamina il suo celebre tema principale con un tocco di elettronica tipico del decennio.

venerdì 13 parte 3 weekend 3D jason slasherUna scelta, quella del tridimensionale, che si rivela dannosa anche dal punto di vista economico, visto che la Paramount si troverà costretta ad investire circa 8/10 milioni di dollari non previsti per fornire la strumentazione necessaria alla proiezione 3D alle 1.079 sale scelte per proiettare il film (il primo in 3D ad essere distribuito in maniera così ampia da una major) nel weekend di apertura, oltre a fornire formazione ai proiezionisti ed un’assistenza telefonica H24 per qualsiasi problema riscontrato dagli esercenti.

Per non parlare delle difficoltà nel corso di una produzione che utilizzava per la prima volta il sistema Marks 3-D, rivelatosi un processo di apprendimento costante che spesso ha rallentato il ritmo delle riprese di Weekend di Terrore per impostare di volta in volta tutti i parametri necessari (e spesso rifare tutto daccapo) spazientendo un cast che riteneva ci fosse più attenzione per la tridimensionalità visiva che per l’aspetto recitativo.

La sceneggiatura non inventa nulla, tocca ripiegare visto che inizialmente si sperava in un ritorno di Amy Steel ancora nei panni della sua Ginny finita in un ospedale psichiatrico mentre Jason si spinge nell’edificio per darle la caccia, col cambio di location che avrebbe potuto fungere da variazione sul tema. Il rifiuto dell’attrice porta a rivedere i piani, con conseguente conferma dell’ambientazione boschiva e annessa nuova comitiva di vittime sacrificali.

Non siamo a Crystal Lake ma probabilmente nei pressi, i personaggi non fanno riferimento a Camp Blood e, unica volta in tutta la saga, non fanno mai il nome di Jason Voorhees che quindi non viene mai menzionato nel corso di un film che lo vede protagonista.

Due persone (Martin Kitrosser e Carol Watson, marito e moglie) per buttare giù uno script piuttosto basilare che sarà persino rivisto da Petru Popescu (ingaggiato dalla Paramount, senza essere accreditato, per renderlo più sinistro e minaccioso), una scrittura che sembra inserire elementi che riportano al primo capitolo, al contrario di quello che provava a fare il secondo. Ci viene spiegato che Chris, la nuova final girl, ha già avuto un incontro ravvicinato con Jason Voorhees (nelle prime bozze avrebbe dovuto trattarsi di uno stupro, idea che per fortuna è stata repentinamente abortita), un trauma che la rende fragile oltre che tiepida nei confronti del fidanzato ingrifato (Paul Kratka) che, come da prassi, viene punito con una brutta fine.

Confermato l’inserimento del ‘simpa’ della compagnia, che per l’occasione torna a schiattare, parliamo di Shelly (interpretato da Larry Zerner), nerd che serve da depistaggio quasi metacinematografico, oltre che porre uno sguardo fugace sulla sofferenza e la ricerca di attenzioni da parte dei giovani, per così dire, meno popolari. Per ovvi motivi a mancare è Crazy Ralph, sostituito da tale Abel (David Wiley), che nelle sue minacciose profezie non ha il minimo impatto del predecessore.

venerdì 13 parte 3 weekend 3D kimmellLo stesso finale di Weekend di Terrore ci infila un sogno con colpo di scena che omaggia quello del primo (ma con un impatto meno vigoroso), invertendo Jason e Pamela nell’effetto sorpresa lacustre. Citazione (attraverso un poster) per The Great Train Robbery, cortometraggio del 1904 ritenuto una sorta di proto 3D con la sequenza dello sparo a favore di camera che terrorizzò i presenti in sala che iniziarono a scappare presi dal panico.

Nella canonicità di questo slasher, il main event arriva a 57’34”: Jason Voorhees indossa la maschera da hockey. E’ una svolta epocale, il resto è storia. Dietro un gesto apparentemente semplice, non solo il suo boogeyman trova un look tremendamente impattante (con cui diventa icona istantanea), ma la stessa saga abbraccia definitivamente la propria anima. Da quel momento Jason viene quasi sempre inquadrato a figura intera, viene accantonata la tensione del cosa avverrà in favore dell’attesa del quando avverrà, in quella che diventa pura esaltazione della violenza di film in cui – diciamolo – si fa il tifo per il cattivo.

Consapevolezza che la serie conserverà per sempre e con lei i suoi fan (io sono tra loro: Jason è il mio boogeyman del cuore), che hanno abbracciato e adorato la formula senza pretese di profondità o raffinatezza. E nello specifico, Venerdì 13 parte 3 – Weekend di Terrore non delude sul versante ‘omicidiario’.

Il bodycount segna 12 caduti (tra cui la prima ed unica donna incinta della saga), sotto i colpi di un campionario variegato che tra le altre cose include infilzamenti da forcone, un attizzatoio incandescente, un colpo di machete alla schiena che fuoriesce dal petto (omaggio all’uccisione di Kevin Bacon nel primo Venerdì 13, non a caso la vittima sta sfogliando un numero di Fangoria in cui compare Tom Savini che quell’effetto lo aveva creato e realizzato), per arrivare al tizio che fa lo splendido facendo la verticale venendo poi squartato dall’inguine che vince la palma di miglior uccisione del film. Peccato solo che, anche stavolta, la MPAA abbia preteso di ficcarci il naso richiedendo il taglio di fotogrammi strategici che avrebbero reso il contesto ancora più juicy.

Veniamo al nostro (anti)eroe. In Weekend di Terrore, Jason Voorhees, dicevamo, è più grosso ma anche più sicuro di sé nei movimenti, più brutale, più resistente, sfonda un vetro con una testata, conservando comunque un lato umano che porta a commettere degli errori, ad essere vulnerabile – si ferisce, fa persino dei versi di dolore. Mi piace il modo in cui subdolamente gioca con la final girl, togliendosi la maschera per farsi riconoscere e rievocare vecchi e inquietanti ricordi.

Steve Dash aveva dimostrato interesse a riprendere il ruolo del massacratore di Crystal Lake, ma ci ripensa nel momento in cui gli viene detto che gli spostamenti per la California sono a sue spese, in pratica un modo molto elegante per sbolognarlo visto che Steve Miner voleva un attore più grosso con la scelta che ricade sull’ex trapezista Richard Brooker, 192 centimetri d’altezza, corporatura atletica ma senza massa eccessiva, motivo per cui indosserà un’imbottitura in lattice sotto gli indumenti che non gli ha impedito di realizzare da solo tutti i suoi stunt.

venerdì 13 parte 3 weekend 3DL’idea della maschera da hockey è di Martin Jay Sadoff, supervisore degli effetti 3D e grande appassionato di hockey di cui portava sempre qualche accessorio con sé; nel momento in cui stavano testando potenziali nuove maschere per Jason (la volontà di cambiare il sacco di tela c’era a prescindere), Sadoff ha tirato fuori quella del portiere dei Detroit Red Wings che ha fatto subito innamorare Steve Miner, il quale ha apportato giusto qualche modifica per arrivare alla versione utilizzata nel film.

Friday the 13th part 3 esordisce nelle sale statunitensi venerdì 13 agosto 1982, arrivando in Italia il settembre successivo semplicemente come Week-end di Terrore, eliminando nuovamente (ed imbecillemente) il riferimento a Venerdì 13 che anche in questo caso sarà doverosamente recuperato in un secondo momento. Budget iniziale da 4 milioni di dollari (che, come detto, sale vertiginosamente per le spese sostenute per l’adeguamento delle sale), incasso globale di circa 37 milioni. Numeri che, nonostante tutto, impongono di andare avanti. E noi siamo felici che sia andata così.

Non mi resta che augurarvi un sanguinoso Venerdì 13. Magari facendo un salto a Crystal Lake per un rewatch di due capitoli come L’Assassino ti siede accanto e Weekend di Terrore. Slasher semplici ma onestissimi, con i loro azzeccati momenti di violenza. E soprattutto con il merito e l’importanza storica di aver contribuito alla nascita ed alla delineazione di un mito immortale come Jason Voorhees.

Di seguito la clip con l’iconica scena della maschera da hockey da Week-end di Terrore: