Voto: 6/10 Titolo originale: Hogar , uscita: 25-03-2020. Regista: Àlex Pastor.
Dov’è la tua casa | La recensione del film di David e Alex Pastor (su Netflix)
03/04/2020 recensione film Dov'è la tua casa di Arianna Screpanti
Javier Gutiérrez è il protagonista di un thriller che riflette crudelmente sui tempi che viviamo
Direttamente dalla Spagna e distribuito su Netflix da fine marzo arriva Dov’è la tua casa, thriller scritto e diretto a quattro mani da David Pastor e Alex Pastor, i due fratelli di Barcellona che nelle loro ultime pellicole The Last Days (2013) e Contagio mortale (2009) ci hanno “allietato” con pandemie virali e virus misteriosi, precedendo di pochi anni quello che sta più o meno succedendo ora nella realtà.
Hogar, titolo originale della pellicola, in spagnolo non significa semplicemente ‘casa’, in quanto posto fisico dove vivere, ma racchiude in sé significati più profondi quali focolare domestico, luogo familiare. È proprio questa parola, in parte, a rivelare la tematica su cui gira tutta la trama del film made in Catalogna, che racconta la discesa all’inferno personale e familiare di Javier Muñoz, pubblicitario disoccupato, che non si arrende alla sua inevitabile caduta, anzi riesce a canalizzare talmente bene la sua rabbia da ribaltare, a suo favore, completamente la situazione di declino ormai degenerata.
Ben interpretato da Javier Gutiérrez, che abbiamo visto in thriller migliori di questo come La isla minima e Il movente, per i quali si è aggiudicato il Premio Goya come miglior attore, il pacato consulente senza lavoro e ormai quasi cinquantenne si ritrova a fare i conti con il gap generazionale quando si imbatte nei primi colloqui con persone più giovani ma più affermate di lui. Spinta dalla pressione delle difficoltà economiche la moglie Marga, interpretata da Ruth Díaz (La vendetta di un uomo tranquillo) spinge il marito a ridimensionare le spese familiari iniziando proprio dal taglio dell’affitto del loro bellissimo attico, che sono costretti a lasciare per un buio e triste appartamento di periferia.
Javier non incassa bene il colpo e inizia contemporaneamente a covare risentimento per la sua famiglia, alla quale inizialmente sembra aggrapparsi ma dalla quale poi successivamente rifugge, ed a provare invidia per il nuovo proprietario di quella che era la sua casa. A pagare le conseguenze della frustrazione di Javier, è Tomás, interpretato dal mono-espressivo ma molto adatto a questa parte da “uomo perfetto”, Mario Casas, che si è già fatto notare, più per la sua avvenenza che bravura, in film come El Bar (la recensione) e Contratiempo. Javier, che non riesce ad accettare la mediocrità della sua nuova vita, si scontra con i suoi demoni interiori e invece di combatterli li asseconda. Assume, pian piano, atteggiamenti ossessivi, quasi psicotici, riversando tutto il suo rancore nei confronti del giovane in carriera, che diventa ben presto vittima di uno stalkeraggio sempre più invadente, solo per aver scelto la casa sbagliata, la sua. L’ossessione, che si riesce a percepire anche nella mimica e nella gestualità tormentata del protagonista, lo porta a commettere premeditati piani perfettamente progettati con l’unico scopo, non solo di riappropriarsi della sua ex abitazione, ma di intrufolarsi nella vita di Tomás, di distruggerlo e sminuirlo agli occhi della sua famiglia.
Angoscia e ansia sono le emozioni che i due registi vogliono trasmettere allo spettatore e scelgono di farlo attraverso situazioni intricate e altri personaggi oscuri coinvolti, i quali potrebbero svelare il fine diabolico del protagonista, ma dai quali con astuzia e sangue freddo riesce poi a liberarsi, gestendo ogni singolo imprevisto con reazioni spietate.
Il personaggio di Javier, in realtà, non viene descritto da David e Alex Pastor come un tipico psicopatico pericoloso, ma come un soggetto che si è fatto travolgere dai propri fallimenti. Sembra quasi giustificarsi dei suoi comportamenti efferati. Perde il controllo sempre più facilmente, prendendo letteralmente il sopravvento sulla vita di Tomás, che non merita tutto quello che ha e va punito. Secondo la sua mente, quasi del tutto offuscata dall’astio, è giusto riappropriarsi, anche con l’inganno e la violenza, di quello che lui ha perso, il successo e il benessere. Non è solo la casa quello che vuole, ma ben altro. Si autoconvince che Tomás non sia all’altezza, non solo della sua ex abitazione, ma di tutto quello che ha. Il suo fine è rubargli la vita.
Con le dovute distinzioni, il personaggio di Javier è quasi il risultato della fusione tra la feroce rabbia di Max Cady (Robert De Niro), detenuto sadico di Cape Fear – Il promontorio della paura di Martin Scorsese (1991), e la voglia di vendetta covata pian piano dal mediocre Kitaek (Kang-ho Song) nel film coreano fresco vincitore degli Oscar Parasite (la recensione). Ed è sicuramente anche grazie alla prova di Javier Gutiérrez, uno dei punti di forza del film, se Dov’è la tua casa è nei suoi 100 minuti di durata, se non tanto stimolante quanto avrebbe potuto, almeno scorrevole e capace di coinvolgere.
Quello che lascia perplessi è tuttavia lo sviluppo conclusivo, lasciato sospeso dai fratelli Pastor (più narrativamente che concettualmente), come per delegare allo spettatore l’arbitrio di ‘scegliere’ le sorti di Tomás. Personalmente non amo i finali ‘aperti’, ma in questo caso non reputo sia una scelta forzata o incoerente.
Di seguito il trailer internazionale di Dov’è la tua casa, nel catalogo di Netflix dal 25 marzo:
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