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[Film memories on the road] In Turchia sulle tracce di Yılmaz Güney (parte II)

05/04/2017 news di Mario Bulletti

Prosegue il viaggio, tra un bicchiere di tè, una vecchia foto e polverose videocassette dimenticate

Yılmaz è curdo e l’ho capito fin da quando ho visto poster di Yılmaz Güney dappertutto. Non ci vuol molto per capire e fare due più due. Chi ama Yılmaz Güney ama la verità e la giustizia sociale. Chi ama la giustizia sociale spesso è il povero, il contadino, l’oppresso, lo sfruttato, il servo della gleba. I curdi spesso sono tutte queste cose insieme. O perlomeno lo sono stati fino a non molto tempo fa.

Poster YolYılmaz Güney era giovane quando cominciò nei primi anni ’60 a scrivere poesie e canzoni, i primi articoli di denuncia dell’arretratezza feudale delle campagne turche e curde in particolare e poi i primi film come attore.
Un personaggio scomodo che piano piano acquista popolarità tra la gente povera, i diseredati, i contadini servi della gleba e della religione della Turchia anni ’60. Soprattutto diventa l’eroe e il beniamino dei curdi di cui comincia ad interpretarne i sogni, i drammi e le faide secolari nelle campagne arretrate. Nei film d’esordio, prima come attore e poi come regista incarna l’Efe, il contadino pecoraio dei brulli monti curdi che spesso deve compiere spietate vendette di sangue nei confronti di feudatari spietati, capo di banditi che passano l’inverno sui monti innevati della Turchia orientale in attesa di compiere la vendetta verso chi ha disonorato la moglie o rubato il gregge a poveri contadini disperati (Aç Kurtlar/Hungry Wolves, quasi una versione curda di Il grande Silenzio svolto in un Kurdistan anni ’50 che potrebbe benissimo essere un secolo prima, semplicemente meraviglioso).

Il Kurdistan di Yılmaz Güney non è tanto diverso dal Far West immaginato dagli italiani: eroi solitari e silenziosi, avvezzi a lunghi inverni solitari passati a meditare la vendetta, fucile in mano e guanti bucati sulle dita pronti a far fuoco contro oppressori, tiranni locali e rivali d’amore. Con la differenza che le storie degli Efe sono storie vere, sono testimonianze di un mondo feudale ed arretrato che ancor oggi sopravvive in larghissime parti della Turchia curda.

Canli Hedef VCD Gala FilmCol tempo Yılmaz Güney interpreta personaggi costretti ad emigrare nella grande citta’ (quasi sempre Istanbul, al tempo il più importante dei 5 distretti produttivi cinematografici esistenti in Turchia) e costretti a venire a contatto con la malavita per sopravvivere e mantenere la povera famiglia. Il codice d’onore dei curdi e la dura esistenza temprata dalle campagna spesso fanno si che da contadino emigrante, Yılmaz Güney piano piano divenga piccolo boss di quartiere, magari a Kasımpaşa o nella Kadıköy ancora sporca e puzzolente di pesce marcio, oppio e profumi di puttane armene. Anche qui il finale e’ sempre tragico.

Nel frattempo Güney si fa i primi 2 anni di carcere per istigazione all’odio sociale e propaganda comunista: comincia a diventare un personaggio scomodo, conosciuto e odiato dalla classe politica perchè ha il coraggio di parlare di poverta’, arretratezza, ingiustizie sociali ed il popolo povero, il popolo delle campagne o degli emigrati in città lo ama quasi come fosse un Dio. Il loro Dio.
Dal carcere continuera’ a scrivere e dirigere i film in modo clandestino, passando i fogli della sceneggiatura ad amici suoi che lo vanno a trovare ed hanno l’incarico di dirigere fedelmente secondo le sue direttive.
Viene scarcerato in una amnistia politica nel 1969 ma due anni dopo verrà condannato ad altri 3 anni sempre per motivi politici. Scontata la pena, verrà condannato ad altri 19 anni di carcere per aver ucciso un giudice. Passerà il resto della sua vita in carcere, dal quale continuerà a dirigere e scrivere sceneggiature sempre più profonde e pregne di un realismo sociale poetico e drammatico.

Yilmaz Guney in carcere 2Il suo film più bello, Yol (La strada), sarà il penultimo che dirigerà dal carcere, la storia di 5 detenuti curdi ai quali viene data la semilibertà per due settimane. Il film segue le vicende di ognuno di loro che con autobus, treni, carretti, a piedi nei gelidi inverni curdi cercheranno di raggiungere ognuno il proprio villaggio natale per passare poche ore con i cari. E’ il dramma di 5 reietti in quella Turchia spaventosamente arretrata che Güney chiamerà “un carcere a cielo aperto con 45 milioni di detenuti“. Bellissimo e commovente e’ forse il suo atto di protesta più sincero nei confronti di un paese, la Turchia e non solo il “suo” Kurdistan che deve avere l’obbligo morale di liberarsi dalle catene del feudalesimo religioso e rurale. Riuscirà ad evadere nel 1982 all’età di 47 anni, portando con se i negativi del film prima in Svizzera e poi a Parigi dove si rifugerà in clandestinità. Lo stesso anno avrà l’onore di vincere la Palma d’Oro a Cannes e di ricevere riconoscenza internazionale per i suoi film considerati capolavori assoluti di neorealismo sociale. Ma la gioia durerà poco. Neanche 3 mesi dopo morirà di cancro all’età di soli 47 anni, subito dopo le riprese di Durvar, il suo ultimissimo testamento cinematografico, dopo un totale di 13 anni passati in carcere, oltre 200 film interpretati come attore e 25 come regista nei brevissimi periodi in cui non era incarcerato, a testimonianza della sua intensissima attività come Uomo, nel vero senso della parola.

Qui al bazaar di cose antiche, in questi ripidi vicolini dai muretti in pietra e dalle miserabili casette in fango sventrate e diroccate, tra i dedali della antica Angora dove tempo sembra non passare mai , tra vecchi alberi d’ulivo che spuntano dai tetti di abitazioni ormai abbandonate da decenni, le foto di Yılmaz Güney sono dappertutto, negli stretti pertugi di una bottega o sui muretti polverosi, incorniciati sopra la poltrona di un rigattiere o timidamente nascosti dietro montagne di vecchie videocassette che farebbero la gioia e la disperazione di un qualsiasi collezionista occidentale. Un vecchio videotecaro ha quasi 4.000 film in vecchissime videocassette turche dei primi anni ’80: coperte di polvere nera e antica, Ağıt e Seyyit Han – pose ieratiche e statuarie per un tipo di cinema e di eroi che oggi non esistono più – sono in bella mostra davanti a tutti. Qui tutti son curdi e sono fieri di lui.

Yilmaz Guney in Hungry Wolves - Ac Kurtlar 2Il primo giorno che sono andato ho visto la sua foto in un buio anfratto, in bianco e nero, segnata dal tempo…la prima delle tante che avrei scoperto poi in tutti i giorni successivi nascoste qua e la.

“Yılmaz Güney!” ho esclamato!

Un uomo con un bel sorriso gentile, dalle manone grosse grosse e dai baffi bianchi mi ha dato una pacca sulla spalla e mi ha guardato con i suoi occhi profondi, felici e onesti….

Adam! adam!” mi ha detto stringendomi la mano e indicando fiero col volto quella vecchia foto scolorita di un attore dal viso sofferto e dalla barba incolta, coi capelli scarruffati e gli occhi che emanavano fiamme.

Adam significa “Uomo”. Uomo vero.

Da quel giorno, ogni giorno, molti al bazar mi salutano e mi offrono sempre un po’ di te’ caldo.

continua… 

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