Il regista giapponese torna sulle scene con un'opera glam spiazzante e suggestiva, che rielabora a colpi di musica una storia vera che affonda le radici nel mito
Inu-Oh, ultima fatica (forse in tutti i sensi, viste le sue sibilline dichiarazioni …) del regista giapponese Masaaki Yuasa, è un racconto fantastico-soprannaturale immerso nella storia del Giappone, che prende spunto da un artista del teatro Noh realmente esistito che raggiunse una grande popolarità 600 anni fa e tesse un substrato allegorico intorno al mistero della sua vita.
Basato sul romanzo The Tale of the Heike: Chapter of Inu-Oh di Hideo Furukawa, il film lega la storia di Inu-Oh, che diventa un celebre artista nonostante sia nato con orribili deformità, a quella di Tomona, un musicista cieco amico e collaboratore del protagonista. Si tratta di un’opera suggestiva, con cui tuttavia entrare in contatto non è semplice, soprattutto per chi non conosce bene il fascino molto specifico delle rappresentazioni Noh.
Inu-Oh, presentato nel 2021 alla Mostra del Cinema di Venezia e ora a Sitges, è guidato più dalla musica che dalla sua narrazione un po’ zoppicante, e non è immediatamente accessibile come altri lavori del regista. Tuttavia, offre un approccio estremamente originale che dovrebbe consentirgli di distinguersi facilmente nel panorama dell’animazione nipponica.
Sia Inu-Oh che Tomona nascono in un’epoca in cui la narrazione – sia per quanto riguarda le storie che vengono raccontate, sia per i mezzi con cui vengono raccontate – si attiene a parametri molto rigidi.
Una leggenda popolare, che è stata tramandata come tradizione orale da generazioni di sacerdoti che suonano il biwa (o liuto), è quella della sconfitta del clan samurai Heike nel 1185 nella battaglia di Dan-no-ura.
Tomona e la sua famiglia vivono vicino al luogo della battaglia e vengono costretti dai lacchè di un avido shogun a immergersi nel relitto di una nave da guerra e a recuperare una cassa.
All’interno c’è una spada talmente potente che la magia che sprigiona uccide istantaneamente suo padre e acceca Tomona. Nel frattempo, Inu-oh nasce con deformità così allarmanti che la sua famiglia decide di coprirgli il volto con una maschera ricavata da una zucca e lo caccia di casa per farlo vivere tra i cani randagi. La sua presenza è infatti un’offesa per un clan che si dedica al raggiungimento della bellezza e della perfezione attraverso la danza e lo spettacolo. Ma Inu-Oh ha un dono: la sua danza è pura ed espressiva. E a ogni danza, le sue ‘anomalie’ sembrano regredire.
L’amicizia che nasce tra Inu-Oh e Tomona incoraggia entrambi ad accettare le loro differenze rispetto al resto della società. Ben presto Tomona inizia a truccarsi e indossa “un kimono da prostituta” e si muove sul palcoscenico a torso nudo come una sorta di Iggy Pop suonatore di liuto del XIV secolo.
Eppure, come prevedibile, quando ci sono di mezzo degli stravolgimenti allo status quo secolare, lo shogunato non vede affatto di buon occhio questi suonatori di liuto ‘gender fluid’ e quegli interpreti che si allontanano dalle leggende proibite dell’Heike. A Inu-Oh e Tomona viene proibito quindi di esibirsi nel loro stile unico, perché troppo scandaloso e moderno per i tempi.
Così, uno si piega alle pressioni, l’altro cerca di rimanere fedele alle proprie idee, in un atto finale che funge da commento al processo creativo e alla pressione a ‘vendersi’ pur di garantirsi la fama e il successo compiacendo le masse.
Alla fine di Inu-Oh, che può a tutti gli effetti essere considerata una singolare opera rock animata che immerge per 100 minuti – probabilmente spiazzandolo – lo spettatore in un mito arcano rivisitato, non si può certo dire che Masaaki Yuasa sia un autore a cui piace andare sul sicuro in termini di potenziale successo commerciale.
Di seguito il trailer internazionale di Inu-Oh, al momento senza distribuzione italiana: