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Voto: 7/10 Titolo originale: La Belva , uscita: 27-11-2020. Regista: Ludovico Di Martino.

La Belva | La recensione del film di Ludovico Di Martino (su Netflix)

30/11/2020 recensione film di Gioia Majuna

Fabrizio Gifuni è l'implacabile protagonista di un action thriller violentissimo, ma troppo derivativo

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Un soldato è progettato per il sangue e la guerra. È programmato per il campo di battaglia, ma cosa gli può accadere quando ritorna nella società ‘civile’? Potrebbe trasformarsi in un mostro, o in una bestia assassina. Potrebbe non arrecare danno agli altri, ma potrebbe danneggiare se stesso. Taxi Driver di Martin Scorsese, scritto da Paul Schrader, è stato tra i primi di molti film che raccontano di questo argomento. Un marine che è tornato dalla guerra del Vietnam sta ora cercando il suo posto all’interno di un mondo in cui è solo. American Sniper di Clint Eastwood girava intorno allo stesso tema. E come dimenticare il John Rambo di Sylvester Stallone, emblema dell’ ‘eroe’ disprezzato da quella patria che ha difeso a costo di perdere ogni cosa. Adesso, il protagonista di La Belva (The Beast) è terrorizzato dallo stesso caos che lo circonda e quindi prova a fare del suo meglio per allontanare da sé le persone, in modo da non finire per ferire i suoi cari o qualsiasi altro essere umano.

La Belva film 2020 posterDiretto da Ludovico Di Martino (Il nostro ultimo) e finito dritto su Netflix per le note ragioni di pandemia, è un action a tinte drammatiche che ruota attorno a Leonida Riva (Fabrizio Gifuni) e che scorre prevedibile abbastanza veloce nei suoi quasi 100 minuti, non rallentato nemmeno dai momenti emotivi più riflessivi, zeppi di musica di sottofondo amplificata che mantiene alta l’attenzione.

Leonida Riva, un veterano di guerra, soffre di disturbo da stress post-traumatico (PTSD). È terrorizzato e inorridito dai ricordi dei 30 anni delle sue missioni militari, ma nega ancora qualsiasi trattamento psichiatrico.

L’unica via di fuga di Riva è un alto dosaggio di farmaci, utili a intorpidire i suoi ricordi. Queste inquietanti cicatrici del passato sono così terribili per l’uomo da averlo spinto ad allontanare la sua stessa famiglia per impedirsi di ferirli. Tuttavia, quando la figlia adolescente di Riva viene rapita, decide di prendere in mano la situazione e di inseguire personalmente il rapitore.

La storia esplora quindi ulteriormente la missione di Riva nel tentativo di recuperare la figlia, mentre prova a impedire alla sua ‘belva interiore’ di uscire allo scoperto. Riva sa che una volta che perderà il controllo, diventerà una bestia feroce che distruggerà tutto ciò che incontrerà sulla sua strada, e quindi deve essere tenuta a bada.

Si sa, il cinema è innamorato degli antieroi. Non che il cinema celebri questi personaggi in senso stretto, ma i protagonisti ‘imperfetti’ sono più realistici e spesso ci ricordano che tutti soffrono per una cosa o per un’altra. E Riva soffre, mentalmente ma anche fisicamente.

Il personaggio di Leonida Riva in La Belva potrebbe essere definito come “un veterano di guerra altamente instabile che tende a muoversi verso l’isolamento. Mostra un alto livello di disabilità sociale, psicologica e fisica“. Per gli agenti della ‘Polizia’, l’uomo è una bomba a orologeria che può esplodere in qualsiasi momento, portando a devastazioni diffuse. È a causa del conflitto esterno di Riva che la società lo etichetta come una minaccia. Riva, invece, ha paura dei suoi ricordi di guerra passati, dove un’intera squadra è stata uccisa nel corso di una missione per salvare proprio lui dai terroristi. Riva si sente quindi atrocemente in colpa per ogni vita persa per salvarlo. La cicatrice è così profonda che respinge tutti, anche i suoi stessi familiari, per la sensazione che potrebbe far male anche a loro. È il conflitto interno di Riva che sottolinea il metodo scelto per salvare la figlia. Preferisce agire da solo piuttosto che farsi aiutare dalle forze dell’ordine (e via anche alle consuete polemiche sull’essere fascistoide …).

la belva film netflix 2020Questa lotta interiore gioca un ruolo importante nel plasmare il carattere del protagonista di La Belva. La mente umana è un’entità complessa. È totalmente impossibile capire come e perché una data persona soffra. Il disturbo da stress post-traumatico nel caso di Riva proveniva da 30 anni passati sui campi di battaglia. E’ così abituato a quel caos che tornare nella società diviene caotico per il suo stesso cervello. Anche i vecchi compagni di Riva commentano: “Tornare alla vita normale … mi è sembrato un incubo“.

Sebbene non sia il conflitto interno di Riva a dominare la scena in La Belva, è la sua stessa resistenza ad accettare una terapia efficace che alla fine fa più danni. Quando comprende il valore della famiglia, delle relazioni, dell’amore e della compassione, decide di dare un’altra possibilità alla vita, unendosi alle sessioni di terapia di gruppo. La sceneggiatura – scritta da ben otto mani, nutrite a dosi di cliché, imprecisioni e sospensione della incredulità – traccia per lui un arco narrativo semplice e completo in questo senso, aiutata dalla grande prova fisica di Fabrizio Gifuni, una ‘macchina da guerra’ silenziosa e letale che però sanguina (e parecchio).

Detto questo, se è vero che il personaggio principale porta in nuce un enorme potenziale, la storia in cui si muove – che ha ben poco di ‘italiano’ (che sia un bene o un male sta allo spettatore dirlo) è stata però stravista ormai numerose volte sullo schermo (qualcuno ha pensato alla saga di Taken?). Se soltanto la narrazione fosse stata più calata nella realtà italiana (si ok, tutti i personaggi di contorno sono approssimativi e recitati ai limiti dell’amatoriale, ma non siamo in un film di Claudio Caligari …) e non in quella hollywoodiana, avesse approfondito alcune allusioni ai postumi della guerra presto dimenticate, e ci avesse magari da subito presentato un cattivo da odiare invece di temporeggiare troppo, ne sarebbe uscito qualcosa di più emozionante e personale.

In definitiva, La Belva resta per lo meno un tentativo – certo, in ritardo di un 15 anni – di offrire qualcosa di diverso al pubblico italiano nel campo dell’action thriller di serie B ultra violento, girato con discreta mano (c’è anche una specie di omaggio a un’iconica scena di Oldboy di Park Chan-wook – o a quella di The Protector con Tony Jaa?), fotografato adeguatamente (quasi del tutto in notturna) dal semi esordiente Luca Esposito, lasciandoci con la speranza che spinga i suoi realizzatori in futuro a uscire un po’ dai facili luoghi comuni per tentare approcci meno derivativi (ma comunque non provinciali).

Di seguito il trailer di La Belva, nel catalogo di Netflix dal 27 novembre: