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Voto: 5.5/10 Titolo originale: Paradise Hills , uscita: 29-08-2019. Budget: $6,000,000. Regista: Alice Waddington.

Paradise Hills: la recensione del film con Emma Roberts e Milla Jovovich

11/11/2019 recensione film di Sabrina Crivelli

La regista spagnola Alice Waddington esordisce con un fanta-thriller che affascina molto nella curatissima estetica, preoccupandosi pochissimo della sostanza della sceneggiatura

Emma Roberts in Paradise Hills (2019) film

Nel 1965, Lewis Carroll (pseudonimo per lo scrittore e matematico Charles Lutwidge Dodgson) pubblicò Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice’s Adventures in Wonderland), racconto fantasy intriso di nonsense che vedeva protagonista una fanciulla, Alice per l’appunto, la quale si ritrovava proiettata in un mondo fantastico.

In molti hanno cercato di portare sul grande schermo l’universo onirico e pieno di meraviglie contenuto nelle pagine del classico, compresi la Disney con la sua versione animata Alice nel Paese delle Meraviglie (Alice in Wonderland, 1951) o Tim Burton con il film omonimo del 2010 (a cui è seguito nel 2016 Alice attraverso lo specchio). L’estrema stratificazione e complessità di rendere visivamente il testo originale ha implicato risultati alterni negli adattamenti e hanno fatto sì che molti si fermassero al lato favolistico della fonte, ignorando il resto. Lo stesso, su per giù, fa ora la regista spagnola Alice Waddington con Paradise Hills, suo esordio al lungometraggio, di cui è anche sceneggiatrice. I giardini di rose, gli abiti graziosi, il tè (o meglio il latte) e gli specchi sono proiettati nella sua singolare distopia fiabesca, che cerca di riprendere anche il sottotesto di lata critica sociale, non portandolo però a degno compimento.

Paradise Hills film poster 2019Opera interessante, quantomeno a livello estetico, le suggestioni del libro di Lewis Carrol assumono via via i contorni dell’incubo e del claustrofico in questo film di stampo fantasy sci-fi, che vede protagoniste Emma Roberts (American Horror Story), Milla Jovovich (Resident Evil) ed Eiza Gonzalez (Baby Driver). Tuttavia, non si tratta certo dell’unico modello a cui si rimanda. Anzitutto, il cuore della critica sociale sottesa dietro a una vaga parvenza di thriller strizza l’occhio a La fabbrica delle mogli (The Stepford Wive, scritto da Ira Levin, 1972).

A ciò si aggiungono indubbiamente echi di Il Prigioniero (The Prisoner): il Villaggio viene tramutato in una struttura per ragazze difficili, mentre i loro carcerieri sono dei prestanti inservienti vestiti di bianco capeggiati da una versione più melliflua, ma altrettanto insidiosa della Regina di cuori. Comunque sia, alcuni degli ingredienti fondamentale della serie britannica permangono, incluse le bevande drogate, la repressione degli involontari ospiti (fanciulle ribelli in questo caso), gli inquietanti e misteriosi metodi per ottenere da loro collaborazione, perfino dettagli della trama del quinto episodio.

L’impossibilità di fuga (nonostante i tentativi), i metodi e i fini non sono poi tanto diversi, ma in Paradise Hills tutto è sottoposto a una lente iper-estetizzante, come in uno dei Cremaster di Matthew Barney. Inoltre – e soprattutto – ogni cosa è riletta in chiave smaccatamente femminile e femminista, divenendo un racconto di formazione che indulge in quella metafora di genere che già in Alice nel Paese delle Meraviglie emergeva qua e là a biasimo dei costumi vittoriani. E di una sorta di società ‘Neo – Vittoriana’ infatti si potrebbe parlare, sospesa tra passato e futuro nell’estetica come nella narrazione.

Analizzando la trama, tutti questi aspetti vengono subito a galla. Uma (Roberts) è una giovane altolocata insofferente insofferente delle imposizioni sociali, rifiuta un matrimonio combinato e si scontra con la madre. Una mattina, tuttavia, si risveglia in una stanza sconosciuta. Immemore di come ci sia arrivata – e terrorizzata -, cerca di fuggire, quando due sconosciuti vestiti di bianco le portano la colazione, svegliandola dal suo sonno. Tuttavia, presto scopre di non avere facili vie di scampo e di essere su un’isola circondata dal mare, a Paradise Hills, una struttura in cui le famiglie dell’alta società inviano le loro figlie per diventare versioni perfezionate di se stesse.

A gestire la struttura è la Duchessa (Jovovich), quella che all’apparenza sembra un’affabile direttrice, ma i cui sorrisi forzati tradiscono qualcosa di misterioso, di maligno. Allo stesso modo, è il luogo nella sua interezza a trasmettere un senso di sinistro, quasi i trattamenti di bellezza, i corsi di yoga e di ginnastica e le diete a cui le sue ospiti si dedicano, celassero sinistri secondi fini. Sarà una sorta di lavaggio del cervello, o il centro dietro belletti e tulle bianco nasconde pericoli ben peggiori? In qualsiasi caso vale la pena trovare un modo per scappare quanto prima.

paradise hills film 2019 millaA tratti ingenuo, a tratti un po’ superficiale, Paradise Hills è una bella favoletta, realizzata con estrema cura nella forma, non con la medesima meticolosità nella sostanza. Sono studiatissimi i costumi di Alberto Valcárcel. Le tenute destinate alle residenti sono tutte uguali e tutte rigorosamente di un virginale bianco – e non a caso -, quasi fossero gli abiti di un gruppo di vezzose vestali o educande, in attesa del loro debutto ufficiale.

Ogni outfit è una perfetta combinazione di retrò e modernità, dall’abito con gonna e maniche a palloncino incorniciate da delle cinghie sul corpetto, una sorta di rivisitazione dell’abito bianco e azzurro di Alice incrociato con dettagli da camicia di forza (il significato va da sé), al minimale ed elegante completo da ginnastica, infine alla vaporosa camicia da notte.

L’unica a contravvenire al monocromatismo è la Duchessa con i suoi abiti dai mille intensi toni pastello; così attraverso i colori è creato un immediato contrasto tra la donna e le sue ‘protette’. Poi ci sono gli arredi, ugualmente candidi, i letti di piume pieni di cuscini, o le lampade da giardino di gusto art dèco che illuminano la sera le tavole imbandite dove le ragazze cenano, circondate da roseti rigogliosi variopinti (anche in netto stacco con il mobilio e probabilmente reminiscenza carroliana). Ogni piccolo dettaglio di Paradise Hills (che è costato 6 milioni di euro), insomma, diventa non solo fonte di stupore negli interni come negli esterni grazie al set design orchestrato da Sol Saban, ma è anche metafora di un valore meno diretto e materiale.

Purtroppo però, quando si tratta di sondare sotto la superficie, Paradise Hills risulta assai meno ricercato. Il canovaccio è quello di un convenzionale racconto di formazione che segue una fanciulla che sfida l’autorità riconosciuta, ossia la madre, e le soffocanti imposizione che derivano dal suo ceto, tra cui delle nozze combinate con un ricco rampollo per sistemare una disastrata situazione economica. Anche in questo caso diversi sono gli spunti potenzialmente validi: lo scontro tra individualità e l’imposizione di un ruolo e di un modo di essere, la necessità di essere ‘perfette’ secondo canoni opprimenti e così via. Il metatesto femminista è determinante nella costruzione della parabola psicologica della protagonista, Uma, e delle compagne, e ne motiva la reclusione, come il desiderio di fuga e di indipendenza.

Emma Roberts, Eiza González, Danielle Macdonald e Awkwafina in Paradise Hills (2019) filmTuttavia, questi spunti non sono sufficienti a una caratterizzazione approfondita, limitandosi più a trasmetterci dei cliché che a delle psicologie a tutto tondo. Ancor più, ciò si sente quando si esplorano questioni delicate come amore, tradimento e slanci saffici (inseriti un po’ a caso, ma poco esplorati).

Tutto è affrontato con estrema banalità. Chi risente di più di tali leggerezze è però la Duchessa, personaggio sulla carta estremamente fascinoso, che finisce per rivelarsi l’apoteosi dello stereotipo dell’antagonista da fiaba per bambini.

Il suo rapporto con le ragazze, la sua vera natura e il mistero che ammantano lei e il luogo che dirige sono risolti con una ingenuità al limite dell’infantile. Il tutto è ancora peggio, se prendiamo in considerazione che non si tratta di un film destinato ai più giovani, ma di una sorta di thriller che dovrebbe coinvolgere anche un pubblico che abbia superato la scuola dell’obbligo.

Se prendiamo quindi Paradise Hills come una storiella leggera e bambinesca, con un messaggio edificante e un’incantevole impalcatura visiva, sicuramente può costituire un piacevole intrattenimento. Qualora però dovessimo soffermarci più a fondo sulla narrazione, sul suo sviluppo e, soprattutto, sull’epilogo, non risulterà certo altrettanto convincente.

Di seguito il trailer internazionale del film, ancora senza una data di distribuzione per l’Italia: