Voto: 8/10 Titolo originale: 기생충 , uscita: 30-05-2019. Budget: $11,363,000. Regista: Bong Joon-ho.
Parasite: la recensione del film da Oscar di Bong Joon-ho
07/05/2020 recensione film Parasite di Sabrina Crivelli
Satira e dramma si combinano nel nuovo surreale e caustico lavoro del regista coreano che vede protagonista il fidato Kang-ho Song
Bong Joon-ho riesce a fondere realtà e surreale, tragico e grottesco con una maestria di cui in pochi sono dotati. Ciò è valido sia che si tratti di figurazioni più apertamente fantascientifiche, al di là del concreto, come in Snowpiercer, sia nel caso che il conturbante sia inserito in un contesto più vicino al tangibile, come in The Host (Gwoemul) o nella produzione originale Netflix Okja (la recensione), in cui una creature immaginifica è collocata in un mondo non poi così lontano da quello che noi tutti siamo abituati ad esperire e diviene un elemento di rottura che origina una più profonda riflessione (ambientalista e antropologica).
Infine, ci sono i lavori in cui vigono invece la vena cruda e la detective story, come nel film Memorie di un assassino (la recensione). Certo il thriller è più aderente al reale degli titoli citati, ma nonostante tutto, una nota straniante emerge nelle efferate gesta, nei macabri feticci lasciati alle sue spalle dal serial killer, di cui seguiamo le tracce sullo sfondo di una fosca provincia coreana. Una nota crime, seppur meno smaccata, contraddistingue anche l’ultima fatica del regista coreano, Parasite (Gisaengchung), premiata con un clamoroso Oscar dopo la vittoria della Palma d’Oro al Festival di Cannes.
Siamo di fronte alla singolare e (a tratti) satirica rappresentazione – fino ad un’irrealistica esasperazione – di una Corea contemporanea capitalista e plutocratica. La storia è incentrata sulla -piuttosto indigente- famiglia Kim. Alla ricerca di una possibilità di ascesa sociale, il giovane Ki-woo (Choi Woo-shik) propone difatti ai consanguinei un piano: cercare fortuna alle spese degli assai più benestanti Parks.
Il primo passo per conseguire l’obiettivo è farsi credere uno studente di una prestigiosa università (di cui la falsifica i documenti), per essere assunto come mentore della figlia maggiore Da-hye (Ji-so Jung), in modo da poterne poi conquistare le attenzioni e puntare a un ottimo matrimonio…
Non solo, per favorire il proprio disegno e le entrate domestiche, il ragazzo progetta di far assumere la sorella Ki-jung (Park So-dam) come terapista per il piccolo e ipercinetico Da-song (Hyun-jun Jung), il padre Ki-taek (Kang-ho Song, già protagonista di The Host e Snowpiercer) come autista e la madre Chung-sook (Hye-jin Jang) quale donna delle pulizie. Ovviamente, il loro legame di parentela è accuratamente tenuto nascosto ai datori di lavoro.
La narrazione in Parasite è (almeno all’apparenza e inizialmente) costruita interamente sulla serie di sotterfugi, via via sempre più elaborati (al limite del criminale quelli per sbarazzarsi dei dipendenti scomodi dei Park), e sulla successione di bugie tesi a manipolare l’uterina padrona di casa Yeon-kyo (Hye-jin Jang) e il rampante marito e uomo di successo Dong-ik (Sun-kyun Lee), così da conquistarne fiducia e le pecunie. È un crescendo, in cui suspense e grottesco si uniscono, nella caratterizzazione di personaggi dal primo all’ultimo paradossali, ciascuno con una lato caricaturale.
La componente bieca dell’agire e del macchinare dei Kim, d’altra parte, è inscindibile dalla profonda amarezza che ne ammanta l’esistenza e che li porta a una scaltrezza istintiva, nata da un istinto di auto-conservazione che supera ogni morale. La loro misera condizione è immediata sin dalle prime sequenze, quando li vediamo stipati in un sottoscala, che assemblano a mano scatole della pizza e cercano di connettersi a una rete wi-fi aperta. Emblematica è, poco dopo, la scena tragicomica dei disinfestatori, che passano a cospargere la strada di pesticida in forma gassosa. I Kim lasciano volutamente le finestre aperte per eliminare la pletora di animali infestanti che popolano la loro mesta magione.
Gli stessi dark humor e cipiglio critico sono applicati, d’altronde, anche alla descrizione dei Park. I genitori, due benpensanti con una smodata idea di sé e del decoro, sono tratteggiati come ipocriti e umorali. Non dubitano un momento a licenziare il domestico di turno dopo anni di onorato servizio sulla base di un mero sospetto, ma per non essere ‘ineleganti’ concordano di propinargli una scusa.
Yeon-kyo è facilmente manipolabile e di una cordialità melliflua supportata da un totale vuoto, mentre Dong-ik è uno smargiasso manierato facile da raggirare puntando sulla sua vanità (come per la scena in cui viene turlupinato da Kim che gli raccomanda la falsa agenzia di collocamento di lusso “The Care”, basta il biglietto da visita a convincerlo!). Poi ci sono i figli, Da-hye, la tipica liceale di buona famiglia incline a fantasie romantiche, e Da-song, precoce – o forse semplicemente ineducato – piccolo rampollo con la fissazione per gli indiani, il quale necessita di una (presunta) plurititolata arteterapeuta per sviluppare al massimo le sue potenzialità.
Il modo in cui Bong Joon-ho affronta le dinamiche di classe in Parasite è intelligente, scanzonato e al contempo fortemente drammatico. Più di tutto sono, però, cinismo e materialismo a dominare la smaliziata visione della collettività: coloro che sono ai gradi più bassi cercano inevitabilmente un modo per arrivare alle vette, mentre chi è in cima è contraddistinto da conformismo, strane manie che finanzia con i propri – quasi – illimitati mezzi e superficialità estrema.
Quando, però, siamo ormai profondamente coinvolti in tale meccanismo narrativo e sociale (da cui deriva un insieme di aspettative), un imprevisto colpo di scena ci proietta in sviluppi inaspettati. Così, gli eventi, prima ordinati secondo impeccabile premeditazione, degenerano nell’incontrollato, nel cruento. Quasi a simboleggiare le possibili perturbazioni all’orizzonte della perfetta e ordinata società coreana, invisibile, ma incredibilmente vicino è celata una minaccia che potrebbe distruggere tutto (un po’ come nell’assai meno coerente Noi di Jordan Peele – la nostra recensione).
Come sempre, il pericolo impalpabile si propaga a tutta l’inquadratura in Parasite (spesso campi lunghi, come a spiare o lenti movimenti di macchina che lasciano lo spettatore sospeso), agli ambienti minimali della residenza di lusso e al caos dei bassifondi. Giochi di luci e ombre, dettagli sinistri, luoghi scabri e nascosti, tutto concorre ad accrescere la sensazione di angoscia. In generale, il regista riesce a proiettare le molte ombre che aleggiano sulle nostre certezze, sulle nostre piccole e sicure quotidianità.
L’assurdo, l’imprevedibile estraneità emergono dal sottosuolo a mettere in discussione il piccolo microcosmo in cui i Park e i Kim – e non solo – si incontrano e scontrano destabilizzando ogni rapporto, svelando il peggio di ognuno e portando ad estreme conseguenze (che si concretizzano nel finale ad effetto).
Di seguito il trailer internazionale di Parasite:
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