Voto: 5/10 Titolo originale: Rambo: Last Blood , uscita: 19-09-2019. Budget: $50,000,000. Regista: Adrian Grünberg.
Rambo: Last Blood, la recensione del film di Adrian Grunberg con Sylvester Stallone
16/05/2020 recensione film Rambo - Last Blood di William Maga
La star 73enne torna a interpretare il tormentato veterano in un nuovo capitolo dal messaggio controverso, che preferisce la brutale exploitation all'esplorazione dei tormenti interiori dell'eroe
Riportare in vita le vecchie icone. Questo è il compito che Sylvester Stallone si è prefissato negli ultimi anni. Nel contesto della trilogia di I Mercenari – The Expendables aveva già riunito gli anziani colleghi di bisbocce coi quali aveva letteralmente posto le fondamenta del cinema d’azione degli anni Ottanta, ma ultimamente la star 73enne ha preferito dedicarsi ai suoi lavori più personali, riportando sul grande schermo i due leggendari personaggi che più di ogni altro hanno plasmato la sua immagine presso il grande pubblico: Rocky Balboa e John Rambo (il nostro dossier sulla saga cominciata nel 1982).
Mentre il pugile campione del mondo ha consegnato la cintura e i guantoni al figlio del suo ex rivale nei due capitoli di Creed (la recensione del film più recente), apparecchiando sapientemente la tavola per un promettente futuro della serie, il tormentato veterano del Vietnam ha scelto di passare da un teatro di guerra all’altro, indulgendo nella forza bruta ad ogni occasione.
Gli intelligenti aggiustamenti della saga Rocky, sono infatti completamente mancati in quella di Rambo. Non a caso, il taciturno guerriero preferisce ancora nel 2019 usare l’artiglieria pesante per risolvere un conflitto. Per lui, il mondo è fatto di Bene e di Male, ma questa idea è legata a un tempo lontano, come gli spiega la nipote Gabriela (Yvette Monreal, un mix tra Selena Gomez e Ariana Grande) all’inizio di questo quinto capitolo. Rambo: Last Blood (Rambo V), dopo le sfuriate nella giungla tailandese del 2008, riporta il protagonista in patria, sul suolo americano, il luogo dove fu versato il ‘primo sangue’.
Ora, Rambo cavalca come un vecchio cowboy tra i brulli paesaggi da vecchio western che circondano il suo ranch, guardando con orgoglio il piccolo idillio che ha costruito con grande perizia e fatica dopo tutti gli omicidi compiuti.
Quando non è impegnato in una qualche burrascosa missione di salvataggio per aiutare le autorità locali, l’uomo si prende cura con devozione del suo appezzamento e addestra i cavalli. In contrapposizione col complesso mondo di sua nipote adolescente, John Rambo vive in un ‘paradiso’ ordinato e niente e nessuno può disturbarlo. Scava lunghe gallerie nel sottosuolo come un pazzo, quasi a voler seppellire il vasto trauma degli anni della guerra, che però conserva benissimo nella sua memoria (e prende anche delle medicine per questo motivo).
Sempre più a fondo nella coscienza americana: la sceneggiatura scritta da Matt Cirulnick e Sylvester Stallone si incanala inizialmente su un percorso promettente, presentandosi come una sorta di coda riflessiva sugli eccessi violenti dei film precedenti. Come preventivabile, alla fine non ci vuole molto perché il Rambo: Last Blood capitoli davanti alla presunta riconciliazione e si arrenda a una devastante impotenza: John Rambo, che ha sempre lottato per riavere il futuro che ha perduto, è ancora una volta colpito da un enorme dolore, anche se fa di tutto per mantenere il controllo. Non appena sua nipote attraversa il confine con il vicino – e pericolosissimo – Messico (un paese tratteggiato nel peggiore dei modi, salvo la giornalista Paz Vega), tuttavia, non gli rimane altro che aggrapparsi al più crudo istinto, che sonnecchia sempre dentro di lui in attesa di essere infine nuovamente scatenato.
Il regista Adrian Grunberg, che nel 2012 aveva fatto compiere a Mel Gibson una spietata vendetta nel suo debutto alla regia Viaggio in paradiso, gioca volutamente con le aspettative degli spettatori, facendo montare un crescente clima di incombente minaccia e sprofondando nel dolore – fisico e dell’anima – Sylvester Stallone. Sorprendentemente però, passa molto tempo prima che l’attesa – e inevitabile – grande esplosione di violenza faccia il suo dirompente e implacabile corso, con il film che prima si perde in una discussione stranamente contorta e superficiale – anche per gli standard di Rambo – sullo spargimento di sangue e le sue alternative.
Comunque, John Rambo rimane intrappolato in una spirale di violenza crescente, fatta di ritorsioni e avvertimenti, finendo con l’attirare i rozzi e sadici leader di un cartello messicano guidato da Sergio Peris-Mencheta dedito alla tratta delle ragazze (vendute come prostitute negli USA) fuori dalla loro tana fino nel proprio familiare territorio, un labirinto costellato di letali trappole (esplosive o affilatissime), accuratamente preparate grazie all’esperienza decennale in campo militare.
Quel che segue è una mezz’ora finale di pura exploitation vecchia scuola che non si tira indietro su nulla, arbitrariamente mesa in scena all’ombra delle tenebre con CGI ed effettacci pratici, tra teste che esplodono sotto i colpi di un fucile a canne mozze, arti tagliati e ossa tritate in malo modo.
In più, John Rambo, non pago, spara ai corpi che sanguinanti e urlanti per assicurarsi che nessuno di loro si alzi di nuovo (l’R-Rated raccolto in patria è assolutamente guadagnato). In ogni caso, non si può notare come questo quantitativo di brutalità, ai limiti del compiaciuto, assomigli a qualcosa di imposto ‘dall’alto’, come pure le questioni politiche (leggi la questione del muro col Messico, qui mai realmente affrontata però) che aleggiano nascoste tra le righe della sceneggiatura.
Anche se la saga di Rambo non è certamente mai stata così ambigua come avrebbe potuto essere, la spietatezza con cui la violenza – peraltro premeditata – come ‘risposta definitiva’ a un torto subìto (pur grave che sia) viene sbandierata sullo schermo in Rambo: Last Blood non può non colpire e dar da riflettere. Esattamente come in un classico film di vigilanti solitari, da Il Giustiziere della notte in giù.
Solo che qui, al posto del buon padre di famiglia disperato, c’è uno zio che è una macchina da guerra. Cambia il meccanismo che fa scattare John Rambo, che passa dall’essere il soldato inviato in missione per salvare qualcuno a ‘cittadino’ (americano) che si sente in dovere di farsi giustizia da solo perché gli hanno toccato la famiglia (e all’interno della sua proprietà tutto è lecito). Le forze dell’ordine non vengono mai prese in considerazione. Anzi, sono ritratte in qualche modo come deboli e inutili (si veda il prologo), oppure come corrotte e meschine (si vedano i poliziotti messicani conniventi).
In qualche modo, Rambo: Last Blood ricorda negli intenti Logan – The Wolverine (la recensione), immergendo il vecchio eroe in uno scenario western in cui prova a proteggere la nuova generazione con i suoi metodi ‘arcaici’. Ma dove James Mangold lavorava con coerenza e senso di tragedia, Adrian Grunberg non riesce a tenere per le briglie tematiche ed emozioni del suo film, finendo per non scavare come avrebbe dovuto nel sofferente animo del personaggio e costringendolo all’ennesimo – e forse non ultimo … – parossistico sterminio di massa che non servirà nemmeno stavolta a placare i suoi demoni interiori.
Di seguito trovate il trailer italiano di Rambo – Last Blood:
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