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Voto: 7/10 Titolo originale: I Think We're Alone Now , uscita: 14-09-2018. Regista: Reed Morano.

I Think We’re Alone Now | La recensione del film sci-fi di Reed Morano

23/09/2018 recensione film di William Maga

Peter Dinklage ed Elle Fanning si aggirano solitari in un mondo apparentemente deserto in dramma post-apocalittico dove ordine e caos collidono

I THINK WE'RE ALONE NOW film Peter Dinklage

Per quelli che non avessero particolare dimestichezza con i più fini concetti della termodinamica, l’entropia può essere intesa come la mancanza di ordine o di prevedibilità, oppure come l’espressione della casualità o della mancanza di informazioni all’interno di un sistema. In un universo qualsiasi in cui l’entropia è in aumento, il peso dell’apparente assenza di significato quindi può far sì che una persona si atrofizzi. A volte, il miglior rimedio consiste nel muoversi per il semplice motivo di doverlo fare. Dal suo punto di vista, è un tentativo di combattere proprio l’entropia a spingere in I Think We’re Alone Now Del (Peter Dinklage) a (ri)pulire le case del suo tranquillo quartiere di New York, visto che i loro ex residenti non sono più in grado di farlo a causa di un’insolita e nebulosa pestilenza che ha apparentemente spazzato via la vita umana dal mondo, a eccezione di Del.

Del, solo e soddisfatto della situazione, ha riorganizzato il suo universo casuale e privo di senso in uno ordinato e routinario. Ogni giorno guida un pick up giù per le strade vuote della periferia, ripulendo i cadaveri decomposti e i frigoriferi dal cibo andato a male, spolverando i ripiani non più utilizzati e rifacendo i letti prima di tracciare con lo spray una X bianca sulla strada per segnalare che quella casa è stata bonificata. A ogni X sull’asfalto corrisponde una croce su una mappa della cittadina che l’uomo conserva in quella che ora è la sua casa, ovvero il seminterrato della locale biblioteca universitaria. Lì, tiene anche alcune fotografie raccolte nelle abitazioni dei defunti, catalogate in modo preciso e archiviate con ordine. Non c’è motivo per Del di fare nulla di tutto ciò, ma farlo gli dà una ragione per continuare.

Del è da solo nel suo universo, ma non si sente solo. Piuttosto, ha lui il controllo; è in una posizione di equilibrio stabile. La telecamera della regista / direttrice della fotografia Reed Morano (Meadowland – Scomparso) ci fa ben capire che questa realtà esiste simultaneamente grazie a e per colpa di Del stesso, ponendolo sempre al centro di obiettivi grandangolari che rasentano l’esagerazione. Questa estetica trasmette una mancanza di preoccupazioni per qualsiasi cosa si trovi al di fuori dei confini geografici e metafisici in cui il protagonista esiste. Non è un caso che la prima volta in cui Del si vede leggermente decentrato accada dopo l’entrata in scena della giovane Grace (Elle Fanning).

Se Del è l’Ordine, Grace è il Caos. Non una classica strana coppia, i due si avvicinano al loro mondo post-apocalittico con atteggiamenti diversi: Del è contento di rimanere dove è, ma Grace sta scappando da qualcosa; Del ha i suoi riti quotidiani, ma Grace gli chiede perché se ne preoccupa; Del vuole essere lasciato solo, ma Grace vuole che lui si apra. Letteralmente nel bel mezzo della notte, è introdotta nell’universo di Del la mancanza di prevedibilità. “Non ti senti solo qui?” gli chiede lei durante una cena altrimenti silenziosa. “Ero solo quando c’erano altre 1.600 persone che vivevano in questa fottuta città”, risponde lui in modo perentorio. Grace sfida Del ad aprirsi, ma l’apertura richiede l’essere vulnerabili. E Del non ha dovuto essere vulnerabile da diverso tempo. Anzi, sembra probabile che non abbia voluto essere vulnerabile per ancora più a lungo.

Come sappiamo fin troppo bene, di film post-apocalittici ce ne sono disponibili di ogni forma e dimensione (The Road, Delicatessen, L’esercito delle 12 scimmie), ma a prescindere dal genere o dal regista, i più riusciti tengono sempre la domanda “Cosa ha causato la catastrofe?” in sottofondo piuttosto offrire una risposta precisa ed esaustiva in merito. I Think We’re Alone Now rientra nella cerchia di questo tipo di pellicole, perché il suo focus, sia in senso figurato che letterale, è orientato sul raccontare una storia emotivamente risonante. Questo obiettivo comincia, prima di tutto, con la sceneggiatura scritta da Mike Makowsky.

Comprensibilmente minimalista nei dialoghi, lo script è comunque ammirevole per come costruisce efficacemente personaggi definiti e che si completano a vicenda. Altri sceneggiatori avrebbero potuto essere tentati dal renderli eccessivamente ridonanti nella loro opposizione spirituale l’una all’altro, ma Makowsky evita tale strada, scegliendo di dar forma a due figure che sono piuttosto diverse in ​​superficie ma abbastanza simili nei loro cuori che è facilissimo capire subito come questa loro opposizione di facciata potrebbe gradualmente lasciare il posto a una forte connessione. In particolare, Peter Dinklage è eccezionale nella sua performance, la mancanza di battute richiede che egli debba riuscire a trasmettere agli spettatori i suoi dilemmi filosofici per la gran parte attraverso il linguaggio del corpo e lo sguardo.

Naturalmente, nonostante tutto, ciò che rende I Think We’re Alone Now interessante è la regia di Reed Morano, la cui esperienza come direttore della fotografia le consente di creare quel tipo di immagini che consentono al suo film di raccontare una storia come nessun altro medium potrebbe. Usando soprattutto la luce naturale a disposizione – sobria e parte integrante della messa in scena -, e obiettivi ampi per i primi piani, sono le tecniche che la regista americana utilizza per rendere l’universo che stiamo osservando un riflesso perfetto della realtà emotiva in cui vivono Del e Grace.

A volte volutamente spettacolare – si pensi alla sequenza notturna illuminata quasi interamente dall’esplosione di fuochi d’artificio in lontananza -, lo stile di ripresa di Reed Morano è spesso un mix di belle simmetrie e ammaliante delicatezza. Per quanto ci è dato sapere, i colori leggermente smorzati che si diffondono nel cielo mentre il sole si posa sull’orizzonte potrebbero significare la fine di ogni cosa oppure l’avvento di una nuova possibilità. L’ambiguità è ulteriormente accentuata dai vivaci colori che emergono con un contrasto aggressivo durante l’atto finale del film.

Un ultimo atto che, tuttavia, si distingue come la parte evidentemente più debole di I Think We’re Alone Now. Gli ultimi 20′ gettano infatti nella mischia gli altri due grandi attori accreditati, Paul Giamatti e Charlotte Gainsbourg, per contribuire a guidare il viaggio emotivo dell’opera fino a una conclusione che sapevamo sarebbe quasi sicuramente arrivata, ma in un modo che sembra appartenere a una pellicola di un altro genere. La sterzata che i loro personaggi fanno intraprendere a I Think We’re Alone Now sarebbe apparsa ben meno confusa e affrettata se in precedenza fosse stata fatta un po’ più di chiarezza sui non secondari fini – e importanti rivelazioni – che i due portano con sé.

In ogni caso, pur zoppicando sul traguardo, le immagini di Reed Morano riescono a illuminare (letteralmente) l’epilogo e a garantire una degna chiusura all’arco narrativo di Del e Grace. Sia per i protagonisti che per il pubblico, la prevedibilità viene ripristinata, ma in modo imprevedibile.

Di seguito il full trailer di I Think We’re Alone Now, uscito in VOD il 21 settembre:

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