Joey King è la sventurata protagonista di un teen horror per famiglie sconnesso e dalla CGI scadente che banalizza l'interessante Creepypasta alla base e il suo boogeyman
Era il lontano 2009 quando Erik Knudsen, in arte Victor Surge, dava vita per un concorso fotografico sul sito Something Awful a un personaggio raccapricciante quanto geniale: lo Slender Man, essere caratterizzato da un’altezza decisamente sopra la media (2.40 mt.), volto privo di occhi, naso e bocca (un po’ come le ‘Muse’ di Giorgio De Chirico), una serie di tentacoli dietro alla schiena e un abito scuro. L’inquietante individuo, rappresentato vicino a un gruppetto di bambini in un parco giochi, fruttò al suo creatore il primo premio e un notevole seguito sulla rete, divenendo presto virale e l’origine di numerosi Creepypasta (storie del terrore perlopiù nate online) influenzando inevitabilmente diversi film, serie e videogiochi (come Slender: The Eight Pages). Non solo, il misterioso boogeyman in completo è divenuto presto anche il protagonista di un nutrito numero di corti e di un paio di lungometraggi, Always Watching: A Marble Hornets Story di James Moran (2015) e il mockumentary Slender di Joel Petrie (2016), ambedue non certo particolarmente esaltanti.
Trascorsa quasi una decade, l’influsso della sinistra invenzione di Knudsen sul cinema pare non essersi ancora esaurita: anche il regista Sylvain White non ha resistito al suo richiamo decidendo di dedicarsi ora a un lungometraggio a lui dedicato intitolato semplicemente Slender Man, girato a distanza di ben 8 anni dal suo precedente The Losers (2010). Purtroppo anche in questo caso, il tentativo di portare sul grande schermo l’Uomo Nero in abito scuro si rivela fallimentare, non riuscendo a dare la giusta consistenza al villain e alla sua leggenda, a causa della sceneggiatura scombinata e superficiale di David Birke (che inspiegabilmente è passato dall’ottimo Elle di Paul Verhoeven a questo obbrobrio) e uno sviluppo a più tratti confuso, tedioso e ripetitivo.
E’ uno scherzo? E’ una fuga dovuta a una ribellione adolescenziale? E’ qualche maniaco che l’ha rapita? Non si sa bene, ma le sue tre migliori amiche decidono, dopo aver consultato l’apparentemente esperto utente sconosciuto su una chat apertasi dal PC di Katie, di recarsi nel bosco nottetempo e compiere il rituale di donare ciascuna un oggetto a lei caro come merce di scambio all’entità soprannaturale che ritengono colpevole, così da riavere indietro la scomparsa. Ovviamente il risultato dell’operazione non sarà lo sperato, anzi, le protagoniste attireranno su di sé ancor i più l’infausta attenzione della creatura demoniaca del titolo.
Slender Man è un film innegabilmente mal riuscito (per una lunga serie di motivi) e, seppur abbia forse qualche scusante, è assai difficile salvarlo. Il canovaccio è sempre la solita ricetta ritrita da teen horror: dei liceali annoiati si incontrano per un’attività latrice di guai ed evocano / liberano più o meno consapevolmente una forza luciferina. Gli ingredienti fondamentali sono una selezione di ignavi personaggi in età scolare con crisi adolescenziali e amorose annesse (studiati ad uopo per rispecchiare le problematiche dello spettatore target), dialoghi vocali e virtuali (messaggistica istantanea) non particolarmente illuminati, una dose di petulanza, pianti e urla, un proficuo uso di device tecnologici (laptop, cellulari) che si integra proficuamente con la narrazione (giusto per reiterare il messaggio in caso di scarsità di comprendonio o di attenzione) e un’entità malvagia che porta a una scia di cadaveri e un buon numero di jumpscare. Solo pochi mesi addietro queste erano state le premesse per quello che allora pareva il ‘grado zero’ della cinematografia orrorifica del 2018, ovvero Obbligo o Verità di Jeff Wadlow (che però aveva il ‘vantaggio’ di essere R Rated), eppure Sylvain White è riuscito a raggiungere qui nuovi impensabili abissi.
Eppure, il giorno dopo è quieto sul divano della sua spelonca a sbronzarsi, quando Wren suona al suo campanello e la accoglie cortesemente (forse non la ritiene dedita al satanismo come Hallie …). Le ragazzine (soprattutto Wren) sono hacker esperte che craccano il computer dell’amica dispersa, contattano online oscuri utenti e riescono a ottenere la cartella medica di un paziente psichiatrico scoprendone l’identità (non rappresenta uno spoiler perchè è un dettaglio buttato lì sul finale, senza alcuna conseguenza sul piano narrativo).
Uno degli altri studenti, il giorno prima s’incontra con una delle future prede dell’Uomo Nero, il giorno dopo si palesa a scuola con sguardo stralunato, affetto da singolare mutismo, con un cappello di lana in testa, lividi sul braccio e bascula catatonico. Cosa gli è successo? Che cosa ne sarà di lui? Chissà, no lo sapremo mai! Si tratta di un anche qui di un particolare gettato lì a scopo di mera suggestione … Ancor più, i genitori di tutte compaiono forse per tre minuti sul totale dell’intera durata e la loro attenzione per i pargoli in età scolare è pressoché inesistente (a parte sul finale), mentre queste ultime sono libere di pascolare nel mezzo della notte nei boschi senza che siano stati dichiarati coprifuoco o altro dall’inesistente polizia.
Inoltre, la creatura, incarnata dall’altissimo veterano dell’horror Javier Botet (la nostra intervista esclusiva) – qui sfruttato veramente poco e male -, non riesce le poche volte che compare e a creare nessun palpabile senso d’angoscia. Al contrario, il massimo a cui Sylvain White ricorre per instillare in chi guarda un po’ di sano spavento (a parte le apparizioni repentine finalizzate a sporadici salti sulla sedia) sono scricchiolii, fruscii di foglie, sagome lontane e sfocate, il già menzionato video che sembra la brutta copia della cassetta maledetta con Sadako e qualche corsa all’impazzata in mezzo agli alberi nelle tenebre. D’altronde, come la sventurata ragazza dell’horror di Hideo Nakata anche questo boogeyman è solito (video)chiamare le sue vittime prescelte prima di eliminarle, aggiungendo anche il vezzo di riprendere col cellulare la sua entrata nelle di loro magioni (sequenza che si ripete pari pari per più di una di loro).
In ultimo, ad aggravare il tutto, non si vede nemmeno un secondo di vera violenza, né una goccia di sangue! Certo il PG 13 (già, è un film del terrore per tutti …) ha implicato a sorpresa l’eliminazione di ogni elemento particolarmente terrificante, scabroso o cruento, impattando così sul risultato finale e determinando il taglio maldestro di molte sequenze, fatto che dà la reiterata percezione di mancanza di coesione tra un momento e il successivo … A coronare il tutto c’è, poi, la fastidiosa e poco credibile performance della leader delle giovani scream queens, Joey King, che qui conferma la poco naturale recitazione che l’aveva contraddistinta già nel similmente scadente Wish Upon di John R. Leonetti.
In conclusione, davvero arduo è trovare delle qualità nell’opera di Sylvain White, il cui livello di regia, montaggio, sceneggiatura e recitazione è insospettabilmente basso, sprecando malamente un concept, quello del tentacoluto Slender Man per l’appunto, pieno di potenziale. Sarebbe certo stato più interessante esplorare i terribili fatti di cronaca contenuti nell’interessante documentario della HBO Beware the Slenderman di Irene Taylor Brodsky …
Di seguito trovate il full trailer italiano di Slender Man, nei nostri cinema dal 6 settembre: