Voto: 8/10 Titolo originale: The Straight Story , uscita: 15-10-1999. Budget: $10,000,000. Regista: David Lynch.
Recensione story: Una storia vera di David Lynch (1999)
27/06/2019 recensione film Una storia vera di William Maga
Nel 1999, il regista di Missoula si allontanava dalle sue tormentate visioni per girare una stoica e poetica riflessione sulla vecchiaia, con un sofferente Richard Farnsworth in stato di grazia
Storie vere dall’America profonda. Ci sono quelle che finiscono male (come il coevo Boys Don’t Cry di Kimberly Peirce) e quelle a lieto fine, o quasi, come The Straight Story, ribattezzato per l’Italia proprio Una storia vera. Lo firma nel 1999 un David Lynch da controverso in stato di grazia, e fuori dai cliché cari ai cinefili. Chissà cosa spinse il regista di Cuore selvaggio a girare questa ballata semplice e toccante ambientata nelle pianure di un’America rurale, dove ancora si muore di vecchiaia.
Il titolo originale è un gioco di parole: significa «una storia lineare», ma anche «la storia di Straight», dal cognome del protagonista realmente esistito, un agricoltore di Laurens, Iowa, che nel 1994, a 73 anni passati e affetto da diabete, si mise in testa di raggiungere il fratello infartuato a Mt. Zion, Wisconsin, a bordo di un trattorino rasaerba John Deere. Quasi 700 chilometri, a una velocità di 8 km/h: fate voi il conto del tempo che impiegò quel vecchio testardo per mettere la parola fine a un rancore familiare troppo a lungo covato.
Cappello da cowboy, stivali e giaccone a scacchi, Alvin Straight incarna nell’affettuoso omaggio di David Lynch (su sceneggiatura della strettissima collaboratrice Mary Sweeney e John Roach) un condensato di virtù americane, forse lo spirito del West o di ciò che resta di esso, che si staglia contro la frenesia del mondo moderno; ma è la superba prova di un sofferente Richard Farnsworth (Misery non deve morire) caratterista di vaglia chiamato solo allora, ormai quasi ottantenne, a un ruolo da protagonista, a fare di lui un personaggio memorabile (venne nominato all’Oscar per la sua prova e morì suicida – in seguito al peggioramento di un tumore – pochi mesi dopo l’uscita del film).
Metaforicamente in viaggio verso la morte, Straight nella sua odissea ricorda altri illustri vecchietti on the road raccontati dal cinema (l’Art Carney di Harry e Tonto del 1974, il Marcello Mastroianni di Stanno tutti bene del 1990), ma qui c’è qualcosa di più.
Allontanandosi dal suo ‘solito’ mondo visionario e ossessivo, David Lynch si intona al respiro e ai colori di un’America contadina raccontata con partecipazione e sentimento. E compone – aiutato dalla struggente e memorabile partitura del fidato compositore Angelo Badalamenti – quasi un elogio della lentezza, ma non alla maniera di Milan Kundera: va lento Straight, macinando chilometri col suo ‘incredibile’ veicolo, va lenta la figlia Rose (Sissy Spacek), colpita da balbuzie per via di un trauma familiare, va lento il film stesso, esponendosi a un discreto rischio commerciale (snobbato dal Festival di Cannes, incasserà negli Stati Uniti solamente 6 milioni di dollari, a fronte di un budget di 10 milioni).
Eppure non si guarda mai l’orologio nelle quasi due ore di Una storia vera, in virtù di un sentimento quieto e pacificato che regala, sul piano cinematografico, momenti da antologia: lo struggente duetto al bar sul tema dei ricordi di guerra, l’incontro fatto solo di sguardi con l’ispido fratello Lyle (Harry Dean Stanton), il bivacco attorno al fuoco in aiuto di una giovane autostoppista incinta.
Magari c’è chi ancora oggi stenterà a riconoscere la mano di David Lynch in questa stoica riflessione sulla vecchiaia che sembra uscire da una canzone texana di Guy Clark, anche se poi dalla partitura vagamente country affiorano inquietanti segnali di disagio, follia e stravaganza (i meccanici gemelli), in linea con la poetica cinematografica del regista di Missoula, che di lì a due anni sarebbe tornato – non a caso – dietro alla mdp proprio per l’onirico Mulholland Drive.
Di seguito trovate il trailer internazionale di Una Storia Vera:
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