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Titolo originale: Sonatine , uscita: 10-04-1993. Regista: Takeshi Kitano.

Riflessione | Come Sonatine di Takeshi Kitano ha anticipato Pulp Fiction

08/07/2019 recensione film di William Maga

Vediamo come, nel 1993, il film giapponese contenesse già tutti gli elementi sdoganati l'anno dopo a Hollywood - e al pubblico occidentale - dal cult di Quentin Tarantino

Takeshi Kitano in Sonatine (1993)

Ritratto dello «yakuza» da giovane. Oggi che Takeshi Kitano è considerato tra i cineasti più popolari del Giappone, nonché un vero ‘mito’ per tutti i cinefili occidentali che abbiano incrociato le sue opere, è interessante risalire alle sue origini. Forse non tutti ricordano che – esattamente 20 anni fa – fu la Lucky Red a distribuire nei cinema italiani Sonatine (la nostra recensione), con ben sette anni di ritardo rispetto alla presentazione del film al Festival di Cannes.

sonatine posterSi trattava già del quarto lungometraggio del nostro (fra i precedenti il più leggendario, per quanto visto da pochissimi, era stato Violent Cop del 1989) ed era circolato solamente in qualche rassegna e in uno storico passaggio ipernotturno sul sempre avanguardistico «Fuori orario». Si tratta di un film abbastanza straordinario: più secco e originale, anche se formalmente meno raffinato di Hana-bi – Fiori di fuoco; enormemente più violento e feroce di L’Estate di Kikujiro, tanto per citare i due lavori successivi di Takeshi Kitano usciti regolarmente nelle nostre sale (rispettivamente nel 1997 e 1999).

L’interesse di Sonatine va al di là del suo regista. Vederlo (o rivederlo) a distanza di così tanto tempo rimette in gioco molte convinzioni consolidate sul cinema degli anni ‘90. Occhio infatti alle date: Sonatine è del 1993, l’anno successivo esplode in tutto il mondo il fenomeno Pulp Fiction. È doveroso ricordare che Quentin Tarantino aveva già diretto Le iene nel 1992, ispirandosi al cinema di Hong Kong (a Ringo Lam in particolare) e al primo poliziottesco-splatter italiano, La belva col mitra di Sergio Grieco del 1977. Non si vogliono, qui, stabilire ordini d’arrivo, togliere la ‘maglia rosa’ dalle spalle del filmmaker americano e consegnarla a Takeshi Kitano.

È invece importante ricostruire un percorso culturale: all’inizio degli anni ‘90, il cinema entrava in una fase «barocca» della propria storia, in cui generi e suggestioni cinefile si mescolano, si ibridano in forme nuove, spesso mostruose, talvolta affascinanti. Il cinema di Hong Kong è su questa strada già dalla metà del decennio precedente. Ma il giapponese Takeshi Kitano è il primo che confeziona un simile frullato con una coscienza d’autore totale. Può farlo perché in Giappone è uno showman (in TV e alla radio) conosciuto e onnipotente; e perché ha alle spalle una tradizione cinematografica in cui da un lato c’è l’industria, con Godzilla e tokusatsu vari (il nostro lungo dossier a riguardo), dall’altro gli autori, magari ‘maledetti’ ma orgogliosi e riveriti come vecchi samurai. Il più monumentale di tutti è certamente Akira Kurosawa, scomparso nel 1998.

sonatine film 1993E Takeshi Kitano è a tutti gli effetti un erede di quest’ultimo. Partendo dal maestro de I Sette samurai, si arriva a Sonatine. Proprio come Kurosawa, Kitano parla di una casta: non dei samurai, bensì degli yakuza, i mafiosi giapponesi. Il Murakawa che egli stesso interpreta in Sonatine è uno yakuza disincantato che vorrebbe uscire dal giro. Ma il suo capo Kitajima (Tonbo Zushi) lo spedisce per un’ultima missione (la riappacificazione fra due cosche in guerra) nella remota isola di Okinawa, dove Murakawa capisce ben presto di essere stato incastrato.

L’inizio e la fine del film sono altrettanti bagni di sangue, ma la parte sorprendente di Sonatine è quella centrale: Murakawa e i suoi uomini – i pochi rimasti in vita – si nascondono in un capanno sul mare e, per alcuni giorni, fanno i bagnanti, manco fossero a Rimini in agosto. I loro assurdi giochi sulla spiaggia (fra i quali figura anche la roulette russa: citazione da Il Cacciatore di Michael Cimino del 1978, ma anche dal fenomenale Bullet in the Head di John Woo del 1990) sono una parentesi tenera e inquietante, perché basta guardare la faccia accidentata di Takeshi Kitano per capire che la violenza riesploderà quanto prima. Ed è esattamente la stessa logica – il riposo forzato, quindi doloroso, del guerriero – sulla quale Akira Kurosawa aveva costruito I sette samurai nel 1954.

Eiji Minakata in Sonatine (1993)Naturalmente Akira Kurosawa ne dava una lettura per metà romantica, per metà quasi marxista (il rapporto samurai / agricoltori, guerrieri decaduti / proletari…). Takeshi Kitano, invece, sceglie una chiave postmoderna: gelida, iperrealistica, ironica. La sua messinscena della violenza è cruda, con tanto di schizzi di sangue, ma talmente paradossale da risultare fumettistica: Sam Peckinpah riscritto come un manga.

Ciò che Takeshi Kitano condivide con Quentin Tarantino è allora l’abilità nel trascinare scene assurde, fra personaggi dementi, facendo esplodere la violenza da spunti assolutamente insulsi. In questo anticipa nettamente Pulp Fiction, che è del tutto costruito su questo meccanismo, peraltro già presente, meno a tappeto, in Le Iene (ma sappiamo bene come il regista di Knoxville ami giocare sui dialoghi, mentre il collega di Tokyo sia più laconico, quindi più complesso). Sono quindi loro i registi con i quali la violenza ludica e scherzosa si afferma nel cinema degli anni ’90, e Sonatine dà una diversa prospettiva storica a questa irruzione.

Da questo si può allora far derivare un’altra audace affermazione: nessuno più di loro ha influenzato – e forse ancora lo fa dopo due decenni – i giovani registi in giro per il mondo. Ci siamo diretti, almeno per un certo periodo, verso un cinema «kitarantiniano», e Sonatine è senz’altro stato un punto di partenza. Solo per questo andrebbe rivisto.

Di seguito il trailer internazionale di Sonatine: