Titolo originale: Der Golem, wie er in die Welt kam , uscita: 28-10-1920. Regista: Paul Wegener.
Riflessione | Il Golem di Boese e Wegener (1920): il volto magico dell’Espressionismo tedesco
23/08/2021 recensione film Il Golem - L'uomo d'argilla di Sabrina Crivelli
Alla (ri)scoperta delle radici storiche, leggendarie, letterarie e stilistiche di un capolavoro trascurato
Le premesse storiche e leggendarie del Golem
Radicato nel vernacolo culturale del medioevo ebraico, la storia del Golem è ammantata di mistero e di magia. Mostro d’argilla dalle sembianze antropomorfe e dotato, la leggenda forse più celebre vede questa creatura mostruosa al centro di tragici avvenimenti occorsi nella Praga del XVI secolo. A quei tempi regnava Rodolfo II d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano impero – che comprendeva nei suoi vasti territori i regni di Germania, Austria, Ungheria e Boemia-, oltre che uomo di cultura, mecenate e, fatto interessante, appassionato studioso di arti magiche.
Nella fattispecie, il suo interesse verso l’occultismo concorse a creare intorno alla corte imperiale – spostata da Vienna a Praga nel 1583 – un’aura di mistero che ispirò negli anni diversi letterati presenti, quali Leo Perutz, Gustav Meyrink, John Banville e Bruce Chatwin, a scrivere cronache fantastiche sulla Praga magica.
Indubbiamente Rodolfo II era un sovrano aperto a diverse forme di sapere e culture. Infatti, in generale, il suo regno era contraddistinto da tolleranza. In particolare, poi, il sovrano era in rapporti di amicizia con la comunità ebraica praghese guidata dal rabbino Loew. D’altra parte, con ogni probabilità, il suo favore non era a titolo gratuito, ma mecenatismo e passione per arte e manufatti rari erano almeno in parte finanziati con i contributi provenienti dalla ‘protezione’ degli abitanti del ghetto. Proprio in questo contesto si inserisce la vicenda del mitico Golem di Praga.
Tra i protagonisti alla base della narrazione fantastica, insieme all’imperatore, c’è il sopracitato rabbino Loew. Anch’egli personaggio storicamente esistito, era Reichsrabbiner (ossia “rabbino dell’impero”), leader spirituale oltre che politico, la cui carica era ufficialmente riconosciuta nel Sacro Romano Impero. Egli fu inoltre grande conoscitore delle scritture sacre, matematico e, soprattutto cabalista con grande passione per l’esoterismo.
La leggenda narra anche che, per proteggere la propria comunità da attacchi antisemiti, il Loew avesse modellato con l’argilla e poi portato in vita a una creatura magica, il Golem – o meglio diversi Golem-. Per far ciò, si era avvalso di conoscenze parte della Cabala Pratica, una componente della tradizione mistica giudaica. Si trattava nello specifico di un incantesimo che combinava un amuleto con l’utilizzo di formule magiche e di parole aventi valenza sacra – ossia ‘verità’ – tesi a evocare uno spirito che si insidiasse nella materia bruta e fornisse il soffio vitale a quella che altrimenti sarebbe stata una mera scultura in argilla.
Di tanto in tanto, le sue creature acquisivano troppa autonomia, per porvi rimedio, scrivendo ‘morte’ sulla loro fronte, queste si accasciavano esanimi. Tuttavia, capitò che un enorme Golem sfuggisse al suo controllo e, con la sua innaturale forza fisica, distruggesse tutto ciò con cui veniva a contatto. Resosi consapevole del lato oscuro dei suoi portentosi servitori magici, il rabbino allora decise di disfarsene in toto una volta per tutte. Così, prima che la situazione degenerasse ulteriormente, neutralizzò definitivamente il mostro che, si dice, si trovi ancora – pietrificato – nella Sinagoga Vecchia-Nuova di Praga.
Dal mito alle versioni per il grande schermo
Prendendo spunto dalla leggenda, Gustav Meyrink scrisse un romanzo Il Golem (Der Golem), inizialmente uscito a puntate tra il 1913 e il 1914 sulla rivista “Die Weißen Blätter” e poi pubblicato in un unico volume nel 1915. Il libro segue le avventure di Athanasius Pernath, un restauratore e commerciante di gemme preziose che abita nel getto di Praga. Tra sogno e realtà si dipanano una successione di eventi oscuri, crimini e allucinazioni che spaziano tra presente e passato del protagonista.
Non c’è certezza che gli avvenimenti narrati siano realmente accaduti, anzi, forse sono solo il frutto della mente sconvolta del personaggio principale, che infatti sembra avere un crollo psicotico e perciò perdere il contatto con la realtà. Ad un certo punto, si trova perfino coinvolto in un omicidio, e viene scagionato solo perché tutti gli altri protagonisti del fattaccio sono morti. Altro sinistro ingrediente della finzione narrative, aleggia poi in generale lo spettro del Golem, concretizzazione delle radici mistiche della comunità ebraica.
Sul mito al centro del Il Golem di Meyrink sono state basate diverse pellicole dall’era del muto in poi. Primo tra tutti è il lungometraggio omonimo diretto nel 1915 da Henrik Galeene da Paul Wegener. Va specificato che il primissimo adattamento cinematografico è pressoché contemporaneo alla prima edizione definitiva del libro, ma è andato del tutto perduto, eccezion fatta per una manciata di fotogrammi e la sceneggiatura. Grazie a quest’ultima, abbiamo però un’idea della trama che vede protagonisti alcuni abitanti del quartiere ebraico che si imbattono per caso nel in una gigantesca statua d’argilla. Riportato quindi in vita da un antiquario grazie a una formula magica, il colosso s’invagisce della figlia del suo padrone, impazzisce per il suo rifiuto, e inizia a seminare caos e distruzione. Il tutto si conclude con la morte del mostro, che si schianta a terra dopo essere caduto dal una torre.
Questa prima versione del 1915, a detta dei cronisti contemporanei, ebbe un incredibile seguito, con un’affluenza di oltre 100.000 spettatori a Weimar (risultato notevolissimo per i primi del ’900) e una distribuzione internazionale nei paesi scandinavi, in Polonia, Giappone e negli Stati Uniti. Proprio per il successo ottenuto, fu messo in cantiere un secondo film col medesimo soggetto.
In principio pensato come sequel, venne poi optato per un prequel ambientato nel XVI secolo. Quivi veniva narrata la genesi del Golem. Tuttavia, è bene specificare che sono pedissequamente ripresi molti degli elementi narrativi centrali nella trama fossero ripresi, a partire dal risveglio della creatura fatta d’argilla allo scatenarsi sua furia – originata anche qui dall’amore non corrisposto per figlia del suo creatore (da parte del suo apprendista in questo caso). Inoltre, è riportato che alcune sequenze vennero rigirate in maniera pressoché identica al predecessore. Si può parlare quasi di un remake, o comunque di un sostituto vero e proprio con alcune variazioni su tema nella collocazione temporale e in alcuni dettagli.
Il Golem del 1920: la storia di com’è nato il mostro d’argilla
Giungiamo dunque al cuore del discorso: Il Golem – Come venne al mondo di Carl Boese e da Paul Wegener. Come anticipato, il film del 1920 risaliva a ritroso alla nascita del colosso d’argilla, ricongiungendosi con le vicende medioevali e la loro rielaborazione folklorica. La narrazione si apre, difatti, con il rabbino Loew. Lo vediamo nella sequenza iniziale che scruta la volta celeste ricercando nelle costellazioni indizi sull’imminente futuro della sua gente. Nella volta stellata legge una minaccia incombente, ma quale? In tal modo, viene suggerita allo spettatore la premonizione di circostanze avverse e, tutt’uno, sono subito introdotte le doti di ‘mago’ e astrologo, che a loro volta si rifanno all’aura mistica intorno personaggio realmente esistito.
Insieme all’emisfero magico e ai riferimenti al rabbino, un secondo fattore in comune con le premesse storiche è la presenza della figura dell’imperatore. Non solo, nella finzione filmica, è proprio lui a scatenare involontariamente gli eventi. Tutto origina da un editto regio, quello che bandisce dal ghetto praghese la comunità ebraica con l’accusa – guarda caso- di occultismo e negromanzia, e nonostante Loew sia stato a lungo astrologo di corte.
Quest’ultimo, terrorizzato per il destino che attende le sue genti e l’amata figlia, si crogiola in cerca di un rimedio. Ironia della sorta, proprio quella magia che ha causato la diffidenza e l’ostilità dell’imperatore si rivela origine e soluzione al problema. Deciso a dimostrare al suo sovrano gli usi positivi delle arti occulte, dà vita a una scultura di creta, il Golem, invocando i poteri di forze oscure. Il rito è piuttosto celere, dopo aver plasmato una scultura nella creta e aver costretto Astaroth a pronunciare ‘la terribile parola che dà la vita alle cose’, il rabbino incastra l’amuleto a forma stella di David nel suo petto e la statua si anima d’improvviso.
Loew ha un progetto ben preciso per la sua creatura: il portentoso servitore verrà condotto a palazzo per dimostrare al sovrano le sorprendenti possibilità della magia di cui il vecchio saggio è capace. E il piano sembra funzionare. Arrivati nel mezzo di un ballo a corte per mostrare il Golem all’imperatore e ai nobili, si verifica un terribile incidente. Mentre il rabbino sta mostrando la storia e le peripezie del suo popolo scoppia un incendio e le mura del palazzo sembrano crollare addosso agli invitati, quando il Golem, con la sola forza – sovrumana- delle braccia, sostiene il soffitto.
Grazie al salvataggio miracoloso, Loew si conquista la benevolenza del re e la revoca del bando imperiale che condannava gli ebrei all’esilio. Il colosso d’argilla, dunque non è più necessario e, tolta la stella dal suo petto, questo cade a terra senza vita. Tutto sembrerebbe essere andato per il meglio, senonché l’aiutante del rabbino, geloso della storia d’amore della figlia di quest’ultimo per il figlio dell’imperatore, risveglia il Golem e glielo scaglia contro, ma il discepolo inesperto è incapace di mantenerne il controllo sul mostro. Esso fugge senza meta scatenando l’inferno, distruggendo e bruciando tutto quello che incontra sulla sua strada. Alla fine, tuttavia, l’essere – che invero non è cattivo- s’imbatte in un gruppo di bambini che gioca e prende in braccio una di loro. La piccola, per gioco stacca la stella dal suo petto e, subito, lui rimane immobile, pietrificato.
La Praga di Il Golem: luci e ombre di un Medioevo magico
Senza dubbio, l’accattivante combinazione di magia, dramma e passioni amorose illecite che dominavano la trama Il Golem furono un richiamo irresistibile per il pubblico dell’epoca. Ciò che però ha reso immortale la pellicola diretta da Carl Boese e da Paul Wegener è lo stile unico ed eclettico. Da un lato, come Lotte Eisner sottolinea nel suo celebre saggio Lo Schermo Demoniaco, l’uso di un luminismo evocativa strutturato su un forte contrasto chiaroscurale – ispirato alla regia teatrale del visionario Max Reinhardt – dona a molte delle scene di interni ed esterni una atmosfera surreale, per l’appunto magica.
Memorabile è l’evocazione di Astaroth, presentato come testa di demone che sputa fumo dalla bocca, mentre Loew e il suo aiutante, terrorizzati, cercano di obbligarlo a dirgli la parola magica che animerà il Golem. Luci, lampi e una cortina fumosa li avvolgono durante il rituale; infine, l’entità esala un miasma dalla bocca che prende i contorni della formula richiesta.
In generale, la suggestiva messa in scena di Il Golem è il suo principale tratto distintivo. È giusto ribadire che l’influsso del teatro reinhardtiano influisca indiscutibilmente sulla configurazione filmica. Eppure, si tratta di una libera ripresa dell’allestimento drammatico. La contrapposizione netta tra luci e ombre è certo uno caratteri immediatamente riconoscibili: le stelle si stagliano brillanti nel cielo notturno in apertura; le luci a olio proiettano nell’oscurità un alone giallastro che taglia di netto forme e contorni, le candele nella sinagoga rubano pochi dettagli alla tenebra …
Eppure, l’uso del chiaroscuro non rappresenta l’unico contatto con il modello teatrale. Hans Poelzig, a cui si devono le scenografie di Il Golem, fu prima collaboratore di Max Reinhardt. Convinto sostenitore della rielaborazione in chiave attuale di stilemi classici o del passato, la sua ricostruzione della Praga del XVI secolo ha un’estetica medievaleggiante e fantastica e insieme. All’esterno, le costruzioni in pietra, legno e materiale argilloso, con i tetti a spiovente, richiamano alla mente alcuni antichi villaggi dell’Europa continentale. Inoltre, gli edifici sembrano essere edificati nella medesima stessa sostanza di cui è fatto Golem, come a metafora di una unità essenziale che accomuna l’abitato, perciò i suoi abitanti, ossia la comunità ebraica.
La creatura è figlia di una magia che aleggia ovunque nel ghetto, nei vicoli stretti e nelle case senza tempo, sul ciottolato che ricopre i gradini ripidi e ai piedi della muraglia che circonda la zona, limite invalicabile con il mondo esterno. Allo stesso modo, un’aura mistica contraddistingue gli interni delle abitazioni, che combinano pareti cavernose e volte d’ogiva e trifore goticheggianti (emblematica è la dimora di Loew e della figlia).
Dunque, lo stile unico che contraddistingue Il Golem è rintracciabile solo nella sua matrice teatrale? E inoltre, come si rapporta invece con il Cinema Espressionismo Tedesco? Diversi teorici, tra cui Thomas Elsaesser hanno sottolineato quanto sia complesso definire con esattezza quali film e registi appartengano alla celebre avanguardia cinematografica. Le filmografie di Fritz Lang, Friedrich Wilhelm Murnau e Paul Leni sono tutte caratterizzate da peculiarità uniche tanto che (anche solo concentrandosi solo sulla produzione degli anni ’20) è difficile pensare a una tendenza generale.
Ciò è ancora più evidente a confronto del caposcuola del cosiddetto caligarismo: Robert Wiene. Tornando a Il Golem, rispetto allo stile grafico e alla bidimensionalità stretta dei fondi dipinti di Il gabinetto del dottor Caligari, le scenografie tridimensionali del film di Paul Wegener e Heinrich Galeen differiscono in maniera netta sia nei punti di riferimento che nella messa in scena. Il lungometraggio muto del ’19 rimanda evidentemente a quella distorsione grafica che caratterizzava le opere degli esponenti della precedente corrente pittorica espressionista, primo tra tutti Ernst Ludwig Kirchner.
È innegabile una certa affinità con il luminismo di matrice drammatica. Tuttavia, l’influsso delle arti visive è primario. Diversamente, il medioevale fantastico evocato negli scenari di Il Golem ha altre fonti primarie. Le forme tondeggianti, le architetture vernacolari, la ricostruzione a tutto tondo di una immaginaria Praga seicentesca devono più alle figurazioni simboliste in stile Alfred Kubin e una libera rielaborazione di motivi gotici che all’espressionismo pittorico.
Espressionista, ma in modo peculiare, Il Golem rappresenta dunque una declinazione differente e spesso trascurata dell’Espressionismo Cinematografico. Lungi dall’estetica distorsiva vista per la prima volta in Caligari e divenuta parte dell’immaginario collettivo connesso a tale tendenza, il film del 1921 mostra un altro volto, quello fantastico. Scenari urbani goticheggianti dai contorni favolistici prendono il posto dei cupi paesaggi stilizzati. La componente magica influisce su tutta la configurazione filmica.
Ciò non vuol dire, però, che il fantastico non celi un lato oscuro. Al contrario, un rituale cabalistico e una creatura della tradizione giudaica si sostituisce ai vampiri, spettri e alle altre figure oscure prototipiche dell’avanguardia tedesca degli anni ’20. Permane la minaccia di un’entità sinistra, sovrumana, che incombe su una comunità indifesa. In tal senso, in Il Golem, come in Caligari, Nosferatu il vampiro e diversi altri film afferenti alla medesima corrente, si percepisce un sentore di indefinito e imminente pericolo, lo stesso che ha portato Siegfried Kracauer a parlare di premonizione filmica dell’ascesa del regime nazista nel suo celebre Da Caligari a Hitler. Una storia psicologica del cinema tedesco.
Di seguito trovate Il Golem completo (via YouTube):
https://www.youtube.com/watch?v=j5RaT6e6P_w
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